Marta Meo, tra i miei amici e complici preferiti, rilancia il problema del nepotismo in Italia e nella politica italiana. All’epoca delle primarie dicevo sempre che in questo nostro paese anche per presentare Quark devi essere il figlio del presentatore di Quark. Scherzavo, ma nemmeno poi tanto. Marta ha ragione. Già il fatto che ad ogni governo italiano, di ogni colore, il sottosegretario alla presidenza del consiglio sia un Letta la dice lunga sulla mobilità sociale in Italia.
Poi vengo a sapere che il sindacato sta allegramente firmando accordi per favorire l’esodo dei dipendenti a seguito delle mega-fusioni bancarie e che questi accordi prevedono che la risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente sia condizionata all’assunzione del figlio del dipendente in uscita.
E anzi, da un ultimo accordo sindacale di qualche giorno fa, si legge che addirittura “nel corso del confronto, è stata superata la discriminazione nei confronti dei figli dei dipendenti tutti, in servizio o esodati, per l’accesso alle selezioni di personale. Pertanto risulta eliminato il vincolo dell’uscita del genitore.” Come se la vera discriminazione non stesse invece tra coloro che trovano il posto in banca perché hanno i genitori che fanno i bancari e quelli che poverini invece (alla faccia magari di anni di studio e di eccellenti lauree in scienze bancarie) no.
Se questo succede in Italia, in aziende che in teoria dovrebbero affrontare le durezze del libero mercato, su spinta del sindacato, e se nessuno si indigna, se questo obbrobrio non finisce sulle prime pagine di tutti i giornali, ditemi voi cosa ci resta da fare.
5 risposte a “Parenti dipendenti”
Ci sono passato anch’io in questo meccanismo e dalla parte del privilegiato per giunta. Ho uno zio che lavora in banca e uno stuolo di parenti che mi diceva “vedrai che quando va in pensione, prendi il suo posto! Non sei contento?”
No, non ero contento e facevo pure la figura del pirla.
Non ero contento perché:
– l’idea che in italia i “figli/parenti di…” abbiano dei privilegi mi deprime più che vedere Briatore in perizoma.
– io ho studiato per diventare un informatico, un progettista software e sono profondamente innamorato di questa professione. Senza offesa per voi che lavorate in banca ma non ho nessuna voglia di fare il vostro mestiere e vorrei invece occuparmi di sviluppo software.
Per quanto riguarda i sindacati, anche al loro interno trovano “parcheggio” schiere di parenti di segretari/sottosegretari e coordinatori del sindacato stesso.
Forse non resta che espatriare… Soluzione che crea problemi a genitori ed amici, ma cosa deve fare un neolaureato a 26, dopo anni di studio? Quali prospettive trova in Italia, come può vedere il proprio futuro garantito? Penso si possa capire quanto bruci allontanarsi da una casa che si ama, ma se si deve scegliere cosa fare della propria vita, come non considerare seriamente l’opzione estera? Sarà una decisione estremamente egoistica, perché non considera l’eventualità di battersi per migliorare le cose, ma troppi anni sono già stati spesi con la speranza e l’impegno per generare il cambiamento. La sola idea di dover aspettare decenni affinché in patria si facciano passi avanti, sinceramente mi fa rabbrividire…
Non mi stupirei se tra qualche anno i sindacati si trasformassero in veri e propri partiti politici. Hanno già tessere, privilegi, contributi in nero e nepotismo diffuso.
e aggiungo sono tra i piu’ larghi utilizzatori dei cococo/pro e lavoratori precari.
[…] mio post per “Il Post” su un tema già toccato più di tre anni tre anni fa. L’Italia non […]