22 Marzo 2009

L'Antitrust censura gli ordini professionali

Diario

professioni.jpgL’Antitrust ha terminato un’indagine su 13 ordini professionali concludendo che non si tratta che di corporazioni messe lì a difendere i propri privilegi e a chiudere il mercato alla concorrenza e all’innovazione. Anche l’Unione dei giovani avvocati chiede l’abolizione dell’ordine forense. 

Concordo e rilancio: come ho scritto su L’Unità, l’abolizione degli ordini professionali – insieme all’abolizione del valore legale dei titoli di studio, a serie norme antidiscriminazione sul lavoro e nelle Società per Azioni e ad una legge di standard europeo sulle coppie di fatto – potrebbe essere una delle 5 azioni per fare dell’Italia un paese in cui valga la pena lavorare. Anche per chi ha fatto la scelta di andare via.

10 risposte a “L'Antitrust censura gli ordini professionali”

  1. Leo Perutz ha detto:

    … e pensare che non molto tempo fa un pezzo grosso de iMille ( diciamo il numero 1,33333 ) in piena tempesta Alitalia richiedeva sul suo blog l´istituzione dell´Ordine professionale anche per i piloti di linea.
    Della serie: l´importante e´ avere tante idee e poco chiare.

  2. scalpha ha detto:

    Signor Perutz, io parlo dal 2005 di abolire gli ordini professionali e non mi risulta che nessuno de iMille abbia intenzione di moltiplicarli, né mi pare che i piloti Alitalia da noi abbiano riscosso particolari simpatie, anzi. Ci fu un articolo di Marco Simoni (il n. 1 del gruppo, senza decimali) che disse cose molto dure in materia. Questa è la posizione del gruppo. Spero di aver chiarito i suoi dubbi e le sue peplessità. IS

  3. Leo Perutz ha detto:

    Sig. Scalfarotto,
    a quanto pare lei ignora che il prof. Marco Simoni non si limito´a pronunciare “cose molto dure” in materia ma a piu´riprese e con motivazioni (a suo dire) circostanziate, ribadi´ il concetto che per i piloti di linea (classe di lavoratori , secondo il Simoni, particolarmente privilegiata dalla entita´del proprio reddito) non si dovesse piu´ parlare di sindacato ma piuttosto di “ordine professionale” e ne auspicava quindi, in modo piu´o meno diretto, la creazione, dimostrando in realta´ di ignorare il significato giuridico del termine.
    Mi risparmi cortesemente l´onere della reference elettronica, chiami il numero 1, quello giusto, al telefono e verifichi di persona se quanto da me scritto non corrisponda al vero.
    Non si preoccupi tanto dei miei dubbi e delle mie perplessita´quanto della reale univocita´delle proposte del movimento al quale appartiene.
    Saluti.

  4. Marco Simoni ha detto:

    Nel caso al visitatore casuale venisse il dubbio, io non ho mai scritto nè auspicato che si creasse alcun ordine professionale in aggiunta a quelli esistenti. Per carità, ne abbiamo fin troppi. In coda all’articolo linkato da Ivan ho posto un problema lessicale, evidentemente in maniera non chiara per tutti, e me ne scuso.

  5. tanner ha detto:

    ottima idea, abolire gli ordini professionali, soprattutto perchè così i cervelli in fuga potrebbero tornare al nido. tanto per capirci, pensate di abolire anche gli esami di accesso alle professioni? di modo che – ad esempio – un laureato in giurisprudenza che negli ultimi quindici anni ha fatto il blogger e giornalista in – che so – norvegia o nuova zelanda possa tornare subito e mettersi a fare l’avvocato o il notaio? adesso non potrebbe e sembra in effetti una discriminazione ingiusta e retrò.

  6. piergiorgio ha detto:

    D’accordo sugli ordini, come linea politica generale, poi chiaro che nei particolari ci sarebbe da precisare e discutere molto.
    Però oggi volevo soprattutto chiedere una spiegazione.
    Volevo capire meglio la storia del “valore legale del titolo di studio”. Dovete scusare la mia ignoranza ma ne sento parlare spesso, per invocarne l’abolizione appunto, però non ho mai approfondito il problema. Spero di non risultare troppo naif, ma in che si esplica oggi esattamente il valore legale? e quali conseguenze avrebbe precisamente abolirlo?
    Voglio dire: certo che un datore di lavoro,per es., richiede una laurea, e il candidato può limitarsi ad esibire il titolo con valore legale appunto rispetto alla richiesta di questo requisito di preparazione professionale . Però, anche oggi, nessun datore di lavoro si accontenterà mai della laurea, del puro “titolo legale”: poi vorrà fare un colloquio, studiare un curriculum, conoscere la persona, rendersi conto se è idonea, far fare un tirocinio ecc. ecc. Quindi in effetti che differenza fa?
    Come pure è vero che il “titolo” legale è richiesto, che ne so, come pre-requisito per fare un concorso, o per iscriversi all’abilitazione ad una professione: ma poi appunto devi fare il concorso, o devi fare la pratica e poi superare un esame di abilitazione professionale dove si verifica (o si dovrebbe verificare= questo poi è altro discorso) l’effettiva preparazione del candidato, indipendentemente dal pre-requisito del titolo di studio.
    Perciò, ripeto, che differenza fa? cioè sì vabbè, “valore legale”, ma poi a cosa “abilita” questo valore legale, che cosa “ottiene” il valore legale dal punto di vista del lavoro?
    di fatto questo valore legale, mi pare, che sia ben poco spendibile nel mercato del lavoro; se non appunto come un prerequisito (oggi dato sempre più per scontato) ma che di per sé, anche adesso, non comporta nulla o quasi.
    Ecco sarei grato se qno mi volesse spiegare meglio il problema in tutte le sue implicazioni.

  7. Leo Perutz ha detto:

    Prof. Simoni,
    non ho nessun dubbio o perlomeno nessuno che Lei riuscira´, nonostante gli sforzi sul piano lessicale, a chiarire.
    E non ho nemmeno dubbi che Lei rammenti la piccola polemica generata dalla sua uscita maldestra su piloti, stipendi, ordini e sindacati, riparata in corner qualche tempo tempo.
    Continuo invece a notare che le strutture retoriche della sua dialettica necessitano ancora di forme primitive e acerbe di contropiede come lo “snobbare l´interlocutore”. Beh! Cosa vuole che le dica? Se va bene a Lei, a me certamente non crea nessun imbarazzo.

  8. Sergio Graziosi ha detto:

    Piergiorgio, provo a rispondere io.
    Non voglio interpretare il pensiero del padrone di casa, ma sono d’accordo col principio, penso che sia una questione difficile da “digerire” e quindi son contento di spenderci qualche parola.
    Partiamo dalla situazione attuale: al momento, come dici tu, il titolo di studi è usato come prerequisito da dare per scontato. Il primo problema è che una laurea ottenuta per corrispondenza (purché riconosciuta) vale esattamente come una ottenuta nel migliore degli istituti possibili.
    Questo significa che le università non hanno nessun motivo strutturale per offrire corsi di alta qualità, che garantiscano l’eccellente preparazione dei propri studenti. Di fatto, ci sono istituti di chiara fama, interessati a mantenere il proprio prestigio, ma altri che sono semplici distributori di cartaccia, che sopravvivono grazie a questa loro scelta strategica. Il primo risultato è che produciamo un buon numero di laureati inetti.
    Questi si presenteranno ai concorsi, e non ci sarà un modo oggettivo di distinguerli dagli altri. Se hai avuto occasione di provare un concorso pubblico, saprai che spesso (se non sempre) la prova scritta favorisce chi ha avuto tempo di mandare a memoria più cose, è un sistema che le commissioni usano per stare fuori dai guai e non impedisce di truccare il concorso (una telefonatina al candidato qualche giorno prima della prova è sufficiente).
    Perciò, adesso, il valore legale del pezzo di carta, che ci garantisce? Che tutti i nostri giovani devono parcheggiare qualche anno presso qualche università, che queste università non hanno sempre interesse a insegnargli qualcosa di utile (alcune hanno interesse solo a dargli buoni voti), che poi chi assume è comunque libero di scegliere “il nipote di”, perché questo avrà senz’altro il pezzo di carta in mano, e non ci sono problemi.
    Se abolisci il valore legale, non significa “far-west”, in Inghilterra, tutti i concorsi che ho visto usano una formula del tipo “titolo di studi X, o esperienza equivalente”. Questo permette alcune cose:
    1) le università che producono solo carta, non avranno più motivo di esistere. Chi vuole assumere il “nipote di”, lo può fare da subito. Si risparmiano un po’ di soldi della comunità, e cambia poco altro. Certo, il “nipote di” sarà un pochino più ignorante, ma forse il risparmio collettivo è già sufficiente a compensare.
    2) le università davvero buone avranno interesse a migliorare ancora, e la possibilità di attrarre più intelligenze: Se la laurea in quanto tale non ha un valore intrinseco e prefissato, è chiaro che una laurea pesante potrà pesare di più, cosa che ora non avviene. Le persone che puntano su intelligenza, innovazione, competenza, creatività, sapranno a chi rivolgersi, sia per studiare, che per assumere persone di valore.
    3) metti che Steve Jobs si fosse stufato dei computer, e che volesse dedicarsi ai treni, metti che non sia laureato (non lo so, ma potrebbe essere), potrebbe diventare amministratore delegato di trenitalia, se lo volesse? No, al momento no. Se passasse la formula dell’esperienza equivalente, potrebbe eccome, e probabilmente l’Italia ci guadagnerebbe.
    E’ un esempio un po’ estremo, ma coglierai il punto: il sistema attuale premia i figli di papà, se uno ha soldi e può permettersi di prendersi una laurea, magari mettendoci il doppio del tempo previsto, o semplicemente comprandola, poi potrà pigliarsi altri sei mesi per mandare a memoria tutta la sequela di idiozie richieste per un concorso a caso, e lo potrà vincere. Se uno tiene 2 figli da sfamare, non ha soldi in famiglia, lavora come un mulo, è bravo, intelligente, ed è capace di imparare autonomamente, potrà fare l’imprenditore, ma l’accesso alla classe dirigente del paese, tramite tutte le vie diverse dalla libera professione, gli sarà preclusa a prescindere dal suo talento.
    Lo sappiamo tutti che gli alti dirigenti degli apparati pubblici sono quasi sempre burocrati ammuffiti privi di qualunque barlume di intraprendenza: eliminare il valore legale dei pezzi di carta, è un modo a costo zero per iniziare a badare più alla sostanza che alla forma.
    L’idea spaventa, lo so, spaventa anche me, ma il discorso qui sopra mi convince (l’ho scritto anche per vedere se funziona!).
    Un saluto,
    Sergio

  9. piergiorgio ha detto:

    Uhmm…si, grazie sergio, comincio ad intuire i vantaggi…

  10. rosa mauro ha detto:

    è chiarissimo ma a me l’idea e la proposta non spaventano affatto il problema è la qualità della democrazia la nostra è debole per questo siamo il paese delle patenti, delle corporazioni, delle caste, dei titoli, del sospetto e della doppia morale nei paesi solidi e sicuri le persone si danno tutte del tu e si chiamno tutti signori e signore nessun bisogno di titoli ed onori nessuna ipocrisia il rispetto è presupposto non garantìto dalla forma insomma l’abito non fa il monaco ed il monaco è tale senza abito il re è re anche se è nudo
    rosa mauro