È morta per i suoi ghazal, Nadia Anjuman, 25 anni. Le poesie di amore – non certo erotiche, in genere tristi, a volte mistiche – della grande tradizione arabo-persiana, che la coraggiosa ragazza di Herat ha scritto per anni di nascosto. Poi, caduto il regime dei talebani, pubblicato nella raccolta Gule Dudi, fiore scuro. La settimana scorsa, nella stessa cittadina afghana che ha appena visto come prima eletta al Parlamento una donna, Nadia è stata massacrata di botte. Probabilmente uccisa dal marito, con la connivenza della sua stessa madre, o almeno così pensa la polizia che ha arrestato i due. Il giovane vedovo, laureato in letteratura, sostiene che Nadia si è suicidata. Nonostante un bimbo di sei mesi e le sue poesie finalmente stampate. E nessuno gli ha creduto. «Era una grande poetessa, una vera intellettuale, ma come molte di noi doveva obbedire ciecamente al marito», ha commentato la sua migliore amica. Poi ha aggiunto di sapere che la famiglia era «furiosa» dopo l’ uscita di Gule Dudi. Una donna che rende pubblici i suoi canti d’ amore e bellezza, per quanto mesti e casti, porta «disonore alla sua gente». Pochi mesi fa a Kabul la conduttrice tv Shaima Rezayee, 24 anni è stata uccisa per strada. Probabile motivo: il suo show poco «onorevole».
(Fonte: Corriere della sera, 14 novembre 2005)
Buona parte del territorio afghano “liberato” dalle truppe occidentali è oggi sotto il controllo dei “signori della guerra” mujaheddin, che controllano eserciti, mass-media, narcotraffico dei loro microstati feudali e patriarcali oltre a occupare posizioni di responsabilità nel governo Karzai. Herat, la città in cui Nadia Anjuman ha trascorso la sua breve vita, è oggi sottoposta a un controllo poliziesco capillare più insidioso che ai funesti tempi dei talebani. E’ nuovamente proibito alle donne uscire di casa non accompagnate da un parente stretto maschio, proibito guidare o andare in bicicletta – in ogni caso sarebbe impossibile usando il burqua, che viene nuovamente imposto nei fatti -, proibito viaggiare a bordo di un’auto se non con un parente stretto, proibito quindi anche usare un taxi, mentre i mezzi pubblici sono quasi inesistenti. Chi contravviene ai divieti viene arrestata e condotta in ospedale per una visita ginecologica forzata, allo scopo di certificarne la verginità o, nel caso di donna sposata, per verificare se ha avuto rapporti sessuali recenti. Ovunque in Afghanistan, le donne e le ragazze sono imprigionate e accusate per relazioni sessuali fuori del matrimonio e per tentare di separarsi dai loro mariti, anche quando i matrimoni erano stati imposti o il marito era violento. Il numero di suicidi tra le donne è in crescente aumento. 5.000 donne e ragazze perdono la vita ogni anno per “delitti d’onore”. Questo il mondo a cui Nadia ha voluto opporre la ragionevole forza della bellezza, della creatività, dell’amore. E il suo corpo mortale. Scriveva Nadia: “Da quando ho memoria di me so di aver amato la poesia. L’amore per la poesia e le catene di sei anni di schiavitù dell’era dei Talebani, che mi avevano legato le gambe, hanno fatto sì che appoggiandomi alla penna e zoppicando, componessi passi ed entrassi nel territorio della poesia. Il sostegno dei miei amici e di coloro che condividevano i miei stessi orizzonti mi hanno permesso di continuare su questo sentiero, ma… ahimè… tuttora, ogniqualvolta compongo un nuovo verso, sento il tremore della mia penna e con essa trema anche la mia anima”.
Gabriella Stanchina