22 Dicembre 2005

Malalai Joya, una donna libera nel Parlamento afghano

Diritti

Eletto in settembre, il parlamento dell’Afghanistan si è insediato ieri, con una cerimonia inaugurale accompagnata da parole solenni. Dopo il giuramento di 351 membri delle due camere, il presidente Hamid Karzai ha fatto appello alla riconciliazione nazionale – ed è in nome della riconciliazione che in parlamento siedono capi di milizie armate («signori della guerra»), ex Taleban, accanto a indipendenti e a donne impegnate nella società. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Human rights Watch, il 60% dei deputati sono warlord o persone a loro legati. E’ per questo che Malalai Joya, deputata di appena 27 anni, esprime forti riserve sulla «transizione alla democrazia» in Afghanistan: «Come si può parlare di democrazia, all’ombra dei fucili? I grandi warlord sono al potere, grazie alle armi, ai soldi, e al sostegno di alcuni paesi stranieri. La campagna elettorale è avvenuta nel loro segno. E ora molti di questi signori siedono in parlamento», ci aveva detto qualche giorno fa, in visita in Italia.
Eletta nella provincia di Farah con 7.813 preferenze, una valanga di voti («in un paese dove si vota per fedeltà di clan, io ho raccolto consensi di diversi gruppi»), Malalai si era fatta conoscere nel dicembre del 2003. Allora lavorava con un’organizzazione non governativa «per la promozione delle donne afghane» (Opawc). «Giravo nei villaggi, prendevo nota dei problemi: salute, scuola, le molestie dei “signori della guerra” che controllano tutto». A Kabul era convocata la Loya Jirga, il «Gran consiglio» tradizionale che doveva scrivere la nuova costituzione dell’Afghanistan post-taleban, e Malalai è stata inviata tra i rappresentanti della sua provincia. «A Kabul vedevo bene chi era intorno a me. Nei campi dei profughi afghani in Pakistan, da interprete, avevo ascoltato le loro storie: sapevo chi aveva distrutto il nostro paese e ora queste persone erano sedute là, nella Loya Jirga, a discutere del futuro assetto dell’Afghanistan. Ho chiesto di parlare per la nuova generazione afghana. Mi ha dato 3 minuti: ma dopo un minuto mi ha tolto la parola. Sono riuscita però a dire che la legittimità dell’assemblea era compromessa dalla presenza delle stesse persone che hanno trasformato il paese in un teatro di guerre, e che andrebbero portati ai tribunali internazionali. “Se le rovine avessero la lingua, parlerebbero per denunciarvi”, ho detto. Un putiferio. Mi hanno insultata, minacciata».
E’ stato difficile candidarsi al parlamento?
Mi hanno coperto di minacce e insulti. Dicevano “Malalai infanga l’onore dei mojaheddin”. Buttavano volantini con la mia foto senza foulard, con scritto “prostituta”. Il capo della tv di Farah, che è un fondamentalista, non ha mai dato spazio ai miei interventi. Ma nel bazar ripetevano le cose che io dicevo. Durante la campagna elettorale molti hanno fatto promesse: strade, scuole, diritti, democrazia. Io non avevo promesse da fare: dicevo, farò del mio meglio per riportare sicurezza e pace, eguaglianza di diritti e diritti umani. Ma è possibile realizzare tutto questo in un parlamento dominato dagli stessi “signori della guerra” che hanno distrutto il paese? Ho fatto una sola promessa agli elettori: che non scenderò mai a compromesso con questi signori, continuerò a denunciare questi nemici giurati dei diritti umani, delle donne e della democrazia in Afghanistan. Cercherò di dare battaglia. Alla fine, gli elettori si sono fidati di me. Sono felice di essere in parlamento, ora potrò parlare.
Quali sono i problemi più urgenti per gli afghani?
La sicurezza. E’ ancora più importante del cibo e dell’acqua: non c’è sicurezza in Afghanistan, né per le donne né per gli uomini, e la ragione è che la legge è fatta dai warlord. Molti ormai hanno perso fiducia nel processo democratico. Gli afghani si erano fidati di Karzai perché non ha sangue sulle sue mani. Erano andati a votare con entusiasmo. Ma poi lui è venuto a compromessi con i vecchi signori della guerra, li ha messi nel suo governo. I fondamentalisti hanno imparato il linguaggio della democrazia, ma la loro ideologia non è cambiata. Sì, a Kabul le donne possono andare a scuola, lavorare. Ma tra la capitale e le province la differenza è abissale. L’Afghanistan resta un paese maschile. Non c’è libertà per le donne, né libertà di stampa. Né lavoro. L’unica attività che prospera è l’oppio, siamo il più grande esportatore, e l’oppio è una mafia a cui sono legati anche dei ministri. Mancano strutture sanitarie e scuole. Un po’ di soldi arrivano, ma non vanno nelle opere pubbliche. Dove vanno a finire? E poi manca ogni controllo sulla legalità.
(Fonte: Il Manifesto, 20 dicembre 2005)
Ho avuto l’inestimabile fortuna di conoscere personalmente Malalai Joya. E’ una donna piccola, esile, un volto da ragazzina, e un inesauribile coraggio, ardimento, passione e forza interiore. In questi ultimi due giorni ha tentato inutilmente di prendere la parola al Parlamento afghano per denunciare i Signori della Guerra. E’ stata zittita e minacciata. Gli osservatori internazionali temono che la sua vita sia seriamente in pericolo. Per conoscere di più questa straordinaria figura e inviare messaggi di solidarietà ci si può connettere al sito del Malalai Joya Defense Committee.
Gabriella Stanchina