Qualcosa si muove, nella vertenza più difficile e più importante. Ieri è ripreso il confronto tra Federmeccanica e i sindacati metalmeccanici nella speranza – almeno di qualcuno – di rinnovare un contratto scaduto da un anno. In che direzione vadano i movimenti, però, non è ancora chiaro. Non è chiaro in particolare se alle dichiarazioni di buona volontà degli imprenditori, soprattutto quelli delle grandi imprese che si dicono interessate a chiudere in fretta, corrisponda una concreta disponibilità ad abbondanare la linea del «tutto e subito» della loro organizzazione principale. Una mezza novità riguarda i soldi: Federmeccanica è passata da un’offerta iniziale di 60 euro a 76 euro, niente a che vedere con i 105 chiesti da Fim, Fiom e Uilm attraverso una piattafarma unitaria votata dai lavoratori, a cui ne andrebbero aggiunti 25 per chi non è coperto dal contratto di secondo livello, cioè aziendale. E’ una mezza novità, in quanto tale cifra circolava da giorni nei giornali e tra le controparti. Su un solo punto Federmeccanica sembrerebbe aver accolto le richieste sindacali: essendo quella in corso una trattativa che riguarda il solo rinnovo del biennio economico, va rimandata ad altra sede la pretesa di strappare l’esigibilità del sabato lavorativo, oltre a quelli previsti dal contratto, senza dover trattare con le Rappresentanze sindacali unitarie nei posti di lavoro. …. Fim, Fiom e Uilm si dicono disponibili a lavorare a un accordo di procedura sulla flessibilità che salvaguardi comunque la contrattazione con le Rsu, ma in cambio chiedono un impegno concreto a ridurre la precarietà del lavoro. Su questo, neanche a dirlo, i padroni fanno orecchie da mercanti. Questa mattina il confronto tra le parti sarà sospeso per consentire alle organizzazioni sindacali di riunire le rispettive delegazioni. La trattativa dovrebbe riprendere nel pomeriggio, e quello sarà il momento per capire se ci sono le condizioni per arrivare a una stretta, cioè alla possibilità di raggiungere rapidamente un accordo, oppure se non esistono le condizioni per il rinnovo del contratto. Ma intanto si tratta, e questa è forse la novità più importante.
(Fonte: il Manifesto, 29 dicembre 2005)
Chi urla scandalizzato contro i drastici tagli alle università si tiri su con lo spirito: quella montagna di soldi risparmiati ha fatto felici tante famiglie. Sono finiti infatti sotto l’albero dei dipendenti del ministero dell’Economia. Chiamati a spartirsi 407 milioni di euro e benedetti ciascuno, in media, da un «premio» di 6 mila. Che raddoppiano per centinaia di dirigenti e arrivano a punte, per i massimi vertici, di 55 mila euro. Cento milioni di lire. E poi dicono che lo Stato è povero e taccagno… Spiegano ora, al dicastero che gestisce le pubbliche casse, che è così anche da altre parti e che i premi di produttività sono utili al buon funzionamento degli uffici e che è tutto regolare e sancito dalla legge eccetera eccetera. Certo, a prendere ad esempio quanto è stato recuperato dando la caccia agli evasori, i numeri denunciati da Beniamino Lapadula della Cgil sono (causa condoni) da brividi: 11 miliardi nel 2001 e 4,8 quest’anno. Con un crollo che, insieme con altri dati, non pare dimostrare una efficienza tale da meritare regalie a pioggia. Che tutte le carte siano formalmente a posto, però, è verissimo.
La prima è la legge 350 varata dal governo alla vigilia di Natale del 2003. Dove si diceva che il Ministero dell’Economia, sulle somme riscosse con le «attività di controllo fiscale», le «maggiori entrate realizzate con la vendita degli immobili dello Stato », i «risparmi di spesa per interessi» sul debito pubblico e «l’attività di controllo e di monitoraggio dell’andamento della finanza pubblica e dei flussi di bilancio», fissa una percentuale da spartire tra i dipendenti ministeriali degli uffici «che hanno conseguito gli obiettivi di produttività definiti, anche su base monetaria». Quanti a Tizio e quanti a Caio? La decisione era demandata alla «contrattazione integrativa ». Prova provata che il premio non sarebbe finito affatto a chi aveva aiutato lo Stato eliminando degli sprechi, promuovendo dei risparmi, lavorando il doppio o scovando evasori (come almeno in parte accadeva in passato) ma a tutti. Purosangue e somari, stakanovisti e lavativi. E qualche giorno fa, ancora una volta proprio alla vigilia di Natale (quale momento migliore, per impacchettare un regalino?) è arrivato il via libera del governo a spartire la somma fissata: 407.100.000 euro. Pari al taglio fatto nella Legge finanziaria a tutte le Province messe insieme invitate a tirare la cinghia. Oppure a quello alla sicurezza, con gratitudine dei delinquenti. O pari, come dicevamo, alla sforbiciata data alle Università italiane che secondo Alessandro Bianchi, segretario della Conferenza dei rettori, ammontano appunto a 415 milioni di euro. Di cui 200 destinati agli aumenti di stipendio (spese fisse: inflazione, anzianità, contratti…) dei dipendenti, dai luminari ai bidelli. Scavalcati dal «premio» ai ministeriali dell’Economia. Oddio, non che sia l’unico. Nel silenzio pressoché totale e un po’ omertoso, un bonus natalizio il nostro squattrinato Stato lo dona ad esempio (grazie all’approvazione d’un emendamento di pochi anni fa di Giuseppe Fioroni, della Margherita) anche ai 1800 dipendenti dell’Istituto Superiore di sanità e ai 1200 dell’Ispesl (l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro). Nei cui Consigli di amministrazione siede, senza imbarazzi di incompatibilità, lo stesso Fioroni. Il meccanismo qui è leggermente diverso. E nelle buste paga viene dirottata una quota delle somme che la nostra derelitta Sanità non è riuscita a utilizzare. Ma il premio, evidentemente guadagnato grazie al luccichio del nostro sistema sanitario, c’è. E lussuoso.
Pochi esempi: 6.323 euro ai funzionari di quarto livello, 9.937 ai direttori di ricerca, 10.163 ai dirigenti di prima fascia. Per un totale, distribuito quest’anno, di 7milioni di euro. Il costo di una quindicina di tac di ultimissima generazione. Indispensabili come l’aria a decine di ospedali del Sud che devono mandare i pazienti nelle cliniche private. Ma all’Economia, accusa la deputata diessina Laura Pennacchi rilanciando le denunce di una parte degli stessi dipendenti bagnati dal felice acquazzone di denaro, la regalia (che la stessa Cgil ha di fatto approvato chiamandosi fuori dall’accordo ma senza mettersi di traverso per non inimicarsi gli iscritti) è ancora più stupefacente. Basta consultare le tabelle riportate dal sito dei sindacati di base www.rdbcub.it. Tabelle che lasciano sconcertati, in questi anni di vacche magre in cui lo Stato va a tagliare anche sull’assistenza ai disabili.
Dicono dunque queste tabelle che ai 203 dipendenti del Gabinetto del Ministro sono destinati pro-capite 5.911 euro di cadeau-premio. Ai 904 del Dipartimento del Tesoro 6.073. Ai 2.242 della sede centrale della Ragioneria Generale 13.679. Ai 462 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione 3.463. Ai 9.305 del Dipartimento Amministrazione Generale, Personale e Servizi del Tesoro 2.610. Ai 3.660 del Dipartimento per le Politiche Fiscali 9.224. E infine ai 109 della Scuola Superiore Economia e Finanze 8.330 euro. Ma questa è la media dei bonus per tutti. Coi dirigenti, abbiano o meno contribuito sul serio a fargli guadagnare o risparmiare dei soldi, lo Stato è stato infatti ancora più generoso.
L’accordo del 15 novembre scorso tra il dipartimento generale e i sindacati, firmato da Unsa, Dirstat, Unadis ma anche dalla Cgil, stabilisce infatti che i dirigenti del Gabinetto di Giulio Tremonti si spartiscano 308 mila euro, quelli del Dipartimento del Tesoro (che sono un centinaio) un milione e 242 mila, quelli della Ragioneria Generale (mezzo migliaio) sette milioni e 204 mila, quelli del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione 465 mila e quelli della Amministrazione Generale un milione e 702 mila. Per un totale da dividere, tra i soli dirigenti, di 10 milioni e 921 mila euro. Pari a quasi 23 miliardi di lire. Con una maggiorazione del 65% ai dipendenti dell’ex-Tesoro. Fate i conti: circa 12 mila euro a un dirigente del Tesoro, circa 14 mila a quelli della Ragioneria. Con vette di 55 mila euro ai massimi responsabili dei dipartimenti. Le vacche saranno magre. Ma se le sai mungere…
(Fonte: Gian Antonio Stella, il Corriere dela Sera, 29 dicembre 2005)
Alcuni anni fa Silvio Berlusconi si presentò agli italiani vendendo il sogno del benessere e della felicità. Molti credettero che, da bravo uomo d’affari, avrebbe governato l’Italia come una delle sue aziende, facendola crescere e prosperare. Era anche un “presidente operaio” e, sotto la sua guida, “nessuno sarebbe rimasto indietro”. Promise di “rivoltare il paese come un calzino”, cancellando tutte le sorture e i blocchi, che impedivano il pieno dispiegarsi del suo sviluppo. L’immensa ricchezza personale, poi, avrebbe garantito il disinteresse della sua azione di governo. Cinque anni dopo, l’Italia dei più si sta leccando le ferite. I metalmeccanici (e con loro molti altri lavoratori “produttivi”), che già stentano a vivere con stipendi da fame, lottano per 76 euro lordi e una piccola riduzione della precarietà delle condizioni di lavoro, mentre i colleghi ministeriali, i più vicini ai centri del potere, si spartiscono premi milionari per un inesistente incremento della produttività. Un qualsiasi dirigente del Ministero del Tesoro riceve, come premio per aver recuperato metà evasione fiscale rispetto al 2001, una cifra pari a due anni di stipendio di un metalmeccanico. Proprio come in azienda: la produttività scende, il valore delle azioni anche, mentre salgono i compensi dei dirigenti, svincolati da ogni giudizio di merito. Le centinaia di migliaia (perché queste sono le cifre ormai) di privilegiati, che vivono di politica, di clientele e di inganni acquisicono un potere anche economico sempre maggiore ed una “coscienza di classe” fortissima. Impongono alle altre categorie sociali di fare sacrifici per stare al passo con la globalizzazione, per risanare i conti dello stato, per sfiancare la concorrenza, ma non sono disponibili a rinunciare nemmeno ad una briciola del loro privilegio che, anzi, cresce di giorno in giorno, secondo la regola aurea di pubblicizzare le perdite e privatizzare i guadagni: nei loro confronti, Berlusconi ha mantenuto tutte le promesse.
Emilia Giorgetti