Sul sito di Reporters sans frontiers (rsf.org), è indicato un tragico “barometro”: segna il numero di giornalisti morti nel mondo per garantire la libertà di stampa. Nel 2005 sono stati uccisi 68 giornalisti, l’anno più sanguinoso per la professione dal 1995.
Per il terzo anno consecutivo, il paese più pericoloso per i reporter rimane l’Iraq, dove l’anno scorso sono stati uccisi 24 giornalisti e cinque operatori dell’informazione: “Dall’inizio dei combattimenti, nel marzo 2003, 76 giornalisti ed operatori dell’informazione sono stati uccisi in Iraq, più che nell’intera guerra del Vietnam dal 1955 al 1975”.
Rsf è nata vent’anni fa grazie a Robert Ménard, allora dipendente della Radio France Montpellier. Lo spirito di creare un’agenzia di contro-reportages è stata coltivata e garantita dall’85 ad oggi con cura e tanto coraggio. Oggi, Reporters sans frontieres è presente in 110 paesi, il sito internet è aggiornato su tutti i casi in cui la libertà di stampa è minacciata o repressa. Ogni anno, Rsf interviene almeno in 700 casi, al fianco delle testate censurate, dei giornalisti uccisi o minacciati.
“Il nostro lavoro non è facile”, racconta il fondatore Robert Ménard. “Rsf ha molti corrispondenti locali ma in alcuni paesi corrono rischi enormi e non si dichiarano per evitare di essere minacciati. Un tempo i finanziamenti per la nostra organizzazione provenivano essenzialmente da enti pubblici, in primo luogo dall’Unione Europea, ma il flusso si è ridotto. Oggi – spiega il fondatore di Rsf – il 70% delle entrate dipende dalla vendita dalle nostre pubblicazioni e dalle quote di iscrizione”.
Recentemente, la presidenza dell’organizzazione in Italia è stata affidata a Mimmo Candito, de La Stampa e nel direttivo è presente Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto sequestrata e ferita a Bagdad. Ma la sede storica di Rsf resta nel vecchio quartiere della stampa a Parigi, dove lavorano una ventina di dipendenti.
L’ultima guerra proclamata da Reporters sans frontieres è contro il rischio di censura sui siti internet: “La Rete è in pericolo”, avverte il fondatore dell’organizzazione. “Bisogna vigilare: nei paesi dove il rispetto per i diritti umani lascia tradizionalmente a desiderare. Sfruttando con opportunismo la campagna antiterroristica internazionale avviata dopo l’11 settembre, il potere ha rafforzato dispositivi polizieschi e legislativi d’inquadramento della Rete e accentuato la repressione dei ciber-dissidenti. Dobbiamo tenere alta la guardia. Sarà questa la nuova frontiera della battaglia di Rsf”.
(Fonte: Repubblica.it, 4 gennaio 2006)