«Donna sana, società sana». È un desiderio e un impegno quello impresso nell’ufficio di Jamila Mujahed, direttrice di Malalai TV & Voice of Afghan Women Radio, la prima radio femminile nata a Kabul dopo la caduta del regime talebano.
In un Paese in cui l’analfabetismo raggiunge l’83% della popolazione, dal 25 marzo 2003 la voce delle donne passa attraverso la frequenza FM 96.3. Tutti i giorni dalle 9 alle 18, dodici programmi su temi culturali, politici e sociali in lingua dari, pashto e inglese, affrontano argomenti rimasti per troppo tempo tabù. E accanto a bellezza, sport, salute, poesia, cucina e famiglia si parla di uguaglianza fra gli uomini e le donne e dei diritti delle donne, con testimonianze di giovani che raccontano le realtà in cui vivono.
«Le donne afgane vivono nella convinzione che l’unico motivo per cui sono al mondo sia la procreazione ed è estremamente importante per loro avere la possibilità di confrontarsi con realtà esterne, raccontarsi e condividere le proprie esperienze», spiega Jamila Mujhaed, una donna elegante, determinata e al contempo molto dolce. «La condizione migliore che tutte ci aspettavamo dopo la fine del regime talebano non è mai arrivata e anche se può sembrare impossibile la crudeltà nei confronti della donna è aumentata».
A Kabul le donne possono lavorare e andare a scuola, ma secondo Jamila la situazione non è cambiata molto, nonostante il recente insediamento del primo parlamento eletto democraticamente dopo trent’anni. «Il potere è ancora nelle mani dei signori della guerra, giunti in parlamento grazie ai soldi e alle armi. Sono molto più pericolosi dei talebani». Anche la presenza delle donne in parlamento sarebbe un’illusione, nonostante la quota di seggi garantita alle candidate dalla costituzione afgana e l’elezione di una donna a vicepresidente della camera bassa. «Sono dati che colpiscono, soprattutto agli occhi di un osservatore esterno, ma molte delle donne oggi in parlamento vi sono entrate grazie a contatti con partiti politici legati al fondamentalismo».
L’amarezza per la situazione attuale è in parte compensata dai risultati raggiunti attraverso un impegno cominciato durante il regime talebano, quando alle donne era proibito svolgere qualsiasi attività lavorativa e avere un’istruzione. Jamila insegnava alle ragazze le lingue dari e pashto, dando la possibilità di una cultura anche alle più giovani. «Ovviamente, ero costretta a lavorare in segreto”, precisa Jamila, che ha sempre aiutato e incoraggiato le donne, nonostante le continue minacce di morte per la sua attività, ritenuta una “propaganda contro la religione, volta a portare le donne sulla strada sbagliata».
L’ultima minaccia è arrivata poco più di un mese fa, attraverso una telefonata e «parole molto pesanti», che non hanno scoraggiato Jamila, costretta a proteggersi nei luoghi pubblici. «A causa della forte presenza di fondamentalisti al potere, per ragioni di sicurezza anche oggi cerco di indossare il burqa quando devo spostarmi, in modo da non essere riconosciuta» spiega Jamila, raccontando alcuni episodi di cui è stata protagonista. Alle minacce legate all’attività in radio, si aggiungono infatti quelle per i contatti con gli stranieri, intensificatesi in occasione del rapimento di Clementina Cantoni. «Non smettono di ricordarmi che una donna musulmana non può essere infedele alla propria lingua e alla propria religione, ma io amo gli uomini e non la lingua o la religione:la cosa veramente importante è l’umanità».
A dare forza e determinazione a Jamila, contribuisce il sostegno della famiglia: il marito, che l’ha sempre appoggiata nella sua battaglia, e cinque figli orgogliosi del suo lavoro pur consapevoli dei rischi cui va incontro. Tra questi c’è anche Mina, unica figlia femmina, il cui desiderio più grande è quello di seguire le orme della madre. «Sin da piccola, desiderava essere un maschio, per poter andare a scuola. Oggi ha quindici anni e sto cercando di darle la possibilità di studiare all’estero», racconta Jamila, ribadendo le difficoltà con cui le donne devono tuttora confrontarsi.
Il sogno di Mina è una soddisfazione, come quella di essere riuscita in qualche modo a cambiare la qualità della vita delle donne dando loro quella che lei stessa definisce “una lezione culturale”. Una primo traguardo confermato dalle numerose lettere che ogni giorno arrivano alla redazione della radio e della rivista Malalai, il magazine femminile di cui è fondatrice e direttrice. Come in radio, anche sulle pagine della rivista pubblicata dall’Aina media and Culture Center Malik, che riunisce giornalisti indipendenti e otto diverse pubblicazioni, si parla di parità di diritti fra uomo e donna.
Mentre nella stanza accanto si registra, Jamila sfoglia i quotidiani aperti sulla sua scrivania, su cui spiccano un mappamondo, la bandiera afgana e, ancora confezionato, l’ultimo dei sei riconoscimenti internazionali ricevuti per la sua attività: il premio conseguito a Madrid come “Donna coraggiosa del 2005”.
(Fonte: L’Unità 6 gennaio 2006)