Un Paese che non riesce a trasformare la propria potenza in energia. Che accumula ‘robba’ che non si traduce in ricchezza collettiva. Che perde per strada, per incapacità di valorizzarli, talenti propri e importati. Per spiegare il declino dell’Italia l’Eurispes, nel Rapporto 2006, tira in ballo la filosofia aristotelica, Mastro Don Gesualdo, protagonista dell’ominimo romanzo di Giovanni Verga, e infine un personaggio dei giorni nostri, Cassano.
Aristotele. Per declinare in questo modo la metafora: di Aristotele si cita la fisica, la trasformazione dell’essere in potenza ad un essere in atto. L’Italia, spiega il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara, è “un Paese dalle grandi risorse e dalle grandi potenzialità che non riesce ad esprimere e ad affermare un progetto di crescita e di sviluppo. Che non riesce ad individuare un percorso orginale al quale affidare il proprio futuro”.
Mastro Don Gesualdo. Per cui la ricchezza accumulata, non traducendosi in benessere e progresso per il Paese, diventa inutile come la ‘robba’ di Mastro Don Gesualdo, che avrebbe dovuto garantire al personaggio verghiano la sognata elevazione sociale, e invece rimane lì, pronta per essere dilapidata dal genero nobile e squattrinato.
Cassano. E così anche quello che avrebbe pregio, che meriterebbe di essere valorizzato diventa inutile, improduttivo. Come il giocatore della Roma Cassano, ricorda l’Eurispes, acquistato dalla Roma nel 2001 per 30 milioni di euro, un talento poco o nulla valorizzato dalla squadra, alla quale alla fine non rimane che venderlo.
Il declino. In opposizione all’ultimo Rapporto Censis che nega che in atto ci sia un declino del Paese, e che parla anzi di segnali, sia pur deboli, di cambiamento, l’Eurispes afferma senza mezzi termini che “l’Italia è già ‘declinata’”, almeno quella alla quale eravamo abituati, e ne sta nascendo un’altra che gli osservatori stranieri non vedono e non considerano”. E alla quale, contesta Fara, si applicano inutilmente “analisi a scoppio ritardato e ricette politiche bipartisan ancora legate ai modelli della tradizione economica, che hanno mostrato il loro sostanziale fallimento nel corso degli ultimi cinquant’anni”.
I segnali: l’indebitamento delle famiglie. I più ampi ed espliciti segnali di declino sono naturalmente la stagnazione economica, il cattivo andamento della produzione industriale, la dimuzione delle esportazioni, il debito pubblico…Tutti dati già ampiamente noti, mentre vale la pena di soffermarsi sulla crisi dei bilanci familiari, e sul conseguente aumento esponenziale dell’indebitamento delle famiglie stesse. Nel 2005, si legge nel Rapporto Eurispes, il credito al consumo ha avuto una crescita del 23,4%, pari quasi a 47 miliardi di euro. Ma all’impennata dei debiti non ne corrisponde una analoga dei consumi, cresciuti a malappena nello stesso periodo dell’1%. Questo perché le famiglie vi fanno ricorso “solo per mantenere il vecchio, dignitoso livello di vita”.
Prestiti anche per i consumi alimentari. Negli ultimi anni si registra inoltre un allungamento dei crediti al consumo: quelli la cui restituzione è prevista entro i cinque anni sono passati dai 5.802 milioni di euro del 2001 ai 17,5 miliardi del 2005, con un aumento del 200%. Le famiglie ricorrono al credito “soprattutto per far fronte ai bisogni essenziali (cure mediche e specialistiche, automobili, elettrodomestici, servizi per la casa, ecc) piuttosto che per acquistare beni e servizi voluttuari quali, ad esempio, viaggi e vacanze. Peraltro si sta diffondendo sempre più la pratica di credito al consumo per l’acquisto di beni di prima necessità come quelli alimentari”. Pertanto, prevede l’Eurispes, nel 2006 la percentuale delle famiglie italiane che vi farà ricorso aumenterà dell’11,8%.
Più poveri, più ricchi. Come segnalato anche da altre ricerche, l’arretramento dell’economia ha schiacciato la classe media, aumentando il divario tra ricchi e poveri. Alle 2.674.000 famiglie (l’11,7 %) povere rilevate dall’Istat secondo l’Eurispes ne vanno aggiunge due milioni e mezzo a rischio povertà. Si ottengono così 5.200.000 nuclei familiari, il 23% del totale, in situazioni di indigenza. Che hanno tagliato le spese per il tempo libero (61,5%), viaggi e vacanze (64%), destinate ai regali (72%) o ai pasti fuori casa (oltre il 66%).
Mentre i nuovi ricchi vanno cercati, rilevano gli autori del Rapporto, “nei settori finanziario, assicurativo, immobiliare e dei servizi alle imprese”. E poi tra i “commercianti all’ingrosso e al dettaglio, imprenditori nel settore dell’edilizia, immobiliaristi e agenti immobiliari, produttori e rivenditori di beni di lusso, titolari di centri estetici e beauty farm”. E ancora, tra le “diverse tipologie di liberi professionisti come avvocati e consulenti legali dei settori finanziario, assicurativo e immobiliare, medici specialisti e dentisti, commercialisti e tributaristi”, categorie che “hanno potuto sfruttare il ciclo economico di elevata inflazione adeguando verso l’alto in maniera pesante onorari, tariffe e parcelle professionali”. Mentre a perdere sono stati i piccoli risparmiatori, i piccoli imprenditori, tra i quali gli artigiani, gli impiegati a stipendio fisso.
Cala la fiducia nelle istituzioni. Nei vari sondaggi che registrano la fiducia dei cittadini nelle istituzione il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi è quasi sempre in testa alle preferenze, e infatti anche per l’Eurispes non fa eccezione. E tuttavia, fa notare l’istituto di ricerca, anche la credibilità personale del presidente rischia di venire travolta dalla sempre più dilagante sfiducia degli italiani nei confronti di chi li governa: infatti Ciampi passa dall’80% per dell’anno scorso e di due anni fa al 65,6% attuale. Il 49,2% degli intervistati è “meno fiducioso verso le istituzioni” rispetto allo scorso anno. Dopo Ciampi registra i maggiori consensi la magistratura (38,6%), seguita dal Parlamento e dal governo con, rispettivamente, il 24,6 e il 23%. Anche queste ultime sono percentuali in ribasso (l’anno scorso erano al 44, 34 e 32,9%).
L’Italia in potenza. Il Rapporto Eurispes dopo una disamina impietosa del declino passa a parlare delle potenzialità. A cominciare dal patrimonio culturale che, nelle stime dell’Unesco, assomma al 60-70% di quello mondiale. E poi il turismo, e il suo matrimonio fruttuoso con l’agricoltura. “La via d’uscita dalla crisi è legata – afferma Fara – alla riscoperta e alla valorizzazione delle peculiarità e delle vere vocazioni del nostro Paese. Trasformare la potenza in atto significa dunque realizzare il passaggio da un sistema produttivo orientato alla produzione di beni di consumo individuali, materiali o immateriali, verso la produzione di ‘ben vivere collettivo’ in termini di riqualificazione urbana; energie pulite e rinnovabili; salvaguardia del territorio, dell’acqua e dell’aria; salute e prevenzione sanitaria; agricoltura e sicurezza alimentare; ristrutturazione della mobilità dei passeggeri e delle merci; ristrutturazione disinquinante dei processi produttivi e uso più efficiente delle risorse”.
La raccomandazione: esecrabile ma gradita. In una situazione piuttosto nera nella quale le prospettive lavorative più rosee sono quelle di un precariato a vita, l’italiano medio, pur vedendo la raccomandazione come “una pratica negativa e discutibile per entrare nel mondo del lavoro”, la considera, nel 65% dei casi “un’occasione d’inserimento”, che per il 67,4% (con punte del 73,4% tra i più giovani) risulta “necessaria”.
(Fonte: Repubblica.it, 27 gennaio 2006)