Nonostante l’impennata del petrolio, la minaccia del terrorismo e i mille conflitti, il sole dell’economia continua a splendere: la forte crescita registrata a livello mondiale negli ultimi tre anni non ha precedenti nel Dopoguerra. Ma quel sole non scalda tutti: l’Italia ha perso le opportunità che le si sono presentate. Ormai conta solo per «cibo e calcio».
È il primo giorno del Forum di Davos e in una saletta di un albergo difeso come una fortezza, Jim O’Neill, Managing Director e capo della ricerca economia di Goldman Sachs International, sta illustrando a un piccolo gruppo di giornalisti l’«outlook» 2006 della grande banca d’affari americana (nel cui vertice è appena entrato Mario Monti, mentre Mario Draghi l’ha lasciata per la Banca d’Italia).
L’atmosfera è conviviale e l’economista spazia da un continente all’altro con analisi nitide e originali. Nel 2050 quella cinese sarà di gran lunga la maggiore economia mondiale mentre il primo Paese europeo, la Germania, sarà superato anche da India, Brasile e Russia. L’India, comunque, crescerà meno di quanto si aspetta chi ammira le sue università e le sue tecnologie. Ci sono isole d’eccellenza, è vero, ma la scolarizzazione media è a livelli infimi e, tra gli 87 Paesi in via di sviluppo, l’India occupa il terzultimo posto quanto a penetrazione dei personal computer. Solo Bangladesh e Pakistan stanno peggio.
O’Neill si concede anche qualche riflessione sulla difficoltà di mettere in sintonia economia e politica. Parla della Cina, un treno in corsa alimentato da una immensa riserva di lavoro a basso costo, ma che ha anche tratto un beneficio economico dal fatto di essere governata in modo non democratico. E si sofferma sulla Germania che ha dato il benservito a Schröder e probabilmente non ha capito che le coraggiose riforme varate negli ultimi anni stanno letteralmente tirando il Paese fuori dal pozzo nel quale era caduto. «L’economia tedesca spiega O’Neill è tornata ad essere molto competitiva. Oggi è come il Giappone di due anni fa, pronto al balzo. Una crescita che avverrà, probabilmente, a spese di Italia e Francia».
Davanti alla curiosità del cronista italiano che chiede perché stavolta Berlino non funzionerà da «locomotiva», O’Neill squaderna una raffica di tabelle: «Guardi qui come sta calando il costo del lavoro per unità di prodotto: è un recupero di competitività formidabile. Francia e Italia, soprattutto l’Italia, sono rimaste molto indietro. Nessuno ci avrebbe scommesso, ma in Germania c’è stata una vera rivoluzione. Sembrava un Paese rigido, incapace di modificare le regole del suo mercato del lavoro. Poi il governo si è fatto coraggio e l’Ig Metall, il principale sindacato, ha deciso di accettare la logica della flessibilità: lavorare più a lungo senza incrementi retributivi per essere più competitivi. Così un Paese che sembrava condannato, oggi è in ripresa e presto toglierà ossigeno a Francia e Italia, già in difficoltà per la concorrenza asiatica e dell’Est europeo».
Parigi e Roma ora scoprono che i cugini tedeschi hanno imparato a produrre a costi più contenuti: «Dal 1990 al 2003 la Francia aveva ininterrottamente recuperato terreno sui tedeschi, ma negli ultimi due anni la situazione si è di nuovo capovolta a suo sfavore».
E l’Italia? Il giudizio di O’Neill è duro: «L’unica luce che vedo è l’arrivo di Draghi alla Banca d’Italia. Per il resto, le cose che sapeva fare bene il vostro Paese ora le fanno a costi più bassi India e Cina, ormai forti anche nelle produzioni di qualità. Se nelle manifatture di fascia alta l’Italia non riesce nemmeno ad avere costi competitivi con la ricca Germania, cosa le rimane da offrire? Solo cibo e un po’ di calcio interessante ». L’uomo di Goldman Sachs dimentica alcune cose, ad esempio l’elicottero (italiano) sul quale volerà il presidente degli Stati Uniti. E sul calcio sembra avere una preparazione approssimativa. Ma i suoi giudizi taglienti sull’Italia non sono molto diversi da quelli che circolano tra i convegnisti di Davos.
(Fonte: Corriere della Sera, 26 gennaio 2006)