9 Febbraio 2006

Civiche

Diario

La vicenda Unione-Liste civiche ha del paradossale. Che l’Unione non possa essere la semplice sommatoria dei partiti che vi aderiscono, che non debba essere insomma un mero cartello elettorale pare evidente a tutti. Eppure, ogni qual volta si tenta di fare anche un minimo passo per aprire la politica al resto del mondo le spinte di conservazione poste in essere dai perpetui si rivelano forti e, purtroppo, efficacissime.
Nulla deve turbare l’ordine costituito, la politica deve sopravvivere a se stessa come un vecchio rettile che fa finta di cambiare pelle ma resta alla fine sempre assolutamente lo stesso, fermo sotto il sole a digerire i sassi che ha ingoiato. E allora va benissimo De Mita, nessuno alza nemmeno un sopracciglio a vederlo candidato in un posto in cima alle liste dell’Unione, ma per carità nessuno parli di qualcosa o qualcuno che venga dal mondo abitato.
Il mio cuore batte saldamente a sinistra (come è normale anche da un punto di vista anatomico, del resto) ed è lì che voterò, mancherebbe. Ma tuttavia c’è una cosa che credo di sapere con certezza: quando gli italiani voteranno per l’Unione il 9 di aprile, non lo faranno certo per avere in cambio questo tipo di politica. Chi vota per l’Unione vota per il cambiamento, e cambiare non significa solo mandare a casa Berlusconi. L’apertura alle liste civiche potrebbe essere il primo segno che la voglia vera di cambiare – almeno un minimo – abita a casa nostra. Speranzosi, attendiamo segnali.