Siamo donne in una società patriarcale dove la voce delle donne non viene sentita. Niente appartiene ad una donna, neppure se stessa. Tutto nella sua vita è controllato da una figura maschile, che si tratti di un padre, di un fratello o di uno zio. E’ costantemente sotto il controllo della sua comunità, nel suo quartiere, per strada, a scuola, all’università, ovunque si trovi ci sarà qualcuno per sorvegliarla e giudicarla. Per tradizione, nella nostra società una donna rappresenta la reputazione e l’onore della famiglia, un fardello molto pesante che dobbiamo sopportare e patire fino al giorno della nostra morte.
“La reputazione della donna è come uno specchio, una volta rotta non potrà mai essere riparata”. E’ un detto molto noto tra le donne della nostra comunità, che simbolizza in modo adeguato il tipo di pressione che la nostra società impone alle donne. Sono molte le giovani obbligate a lasciare la scuola appena raggiungono la maturità fisica per paura che possano farsi influenzare e portare la vergogna alle loro famiglie. La nostra società vive nella costante paura che le donne possano portare la vergogna a se stesse, alle loro famiglie e alla loro comunità. Le donne non sono capaci di prendersi cura di se stesse, devono sempre dipendere da un uomo che le protegga e che provveda ai loro bisogni, perché sono vulnerabili e deboli, o almeno così sono viste tradizionalmente. Per la nostra società il ruolo delle donne si limita ad essere madre, o figlia/sorella che diventerà a sua volta madre non appena sarà in grado di farlo.
Siamo palestinesi e viviamo sotto l’occupazione israeliena. La situazione politica peggiora ogni giorno e l’agenda politica e sociale rinvia a tempi migliori il diritto delle donne. Ogni volta che una
donna tenta di prendere la parola, deve affrontare le reazioni furiose dei vicini. Siamo sotto occupazione dal 1948. Essere palestinese in questo paese significa avere un controllo limitato sula propria vita; tutto è nelle mani degli occupanti. Sei limitato negli spostamenti perché quasi sempre non lo puoi fare, a causa dei coprifuoco, delle chiusure, dei check-point e del Muro che il governo israeliano ha iniziato a costruire nel 2002 intorno alla Cisgiordania. Per cui tutte le energie vengono messe nel soddisfare i bisogni della tua famiglia e semplicemente, nella maggior parte dei casi, per essere in grado di sopravvivere.
Siamo omossessuali in una società che non ha alcuna tolleranza per la diversità sessuale. Il “coming out” non è nemmeno una possibilità perché le sue conseguenze potrebbero essere molto gravi. Le scelte che abbiamo sono limitate: possiamo vivere una doppia vita per sopravvivere e conservare buoni rapporti con la famiglia, o fuggire in Israele dove rischiamo di essere obbligate ad una vita difficile: prostituzione, droga, ecc.
Abbiamo deciso che è arrivata l’ora di sfidare le regole della nostra società e di fare sentire la nostra voce per cambiare.
(Fonte: www.aswatgroup.org/english/, gennaio 2006, traduzione di Silvia Macchi)