Nelle mie discussioni con i dirigenti del movimento gay italiano ho sempre sostenuto che la linea strategica da loro orgogliosamente adottata (noi gay abbiamo questa cosa speciale con l’orgoglio…) puntata tutta sui Pacs era sbagliata e intrinsecamente debole. I cittadini omosessuali, questa è la mia posizione, devono solo e semplicemente poter sposarsi – ove e quando lo desiderino – come accade ai cittadini eterosessuali. Punto e basta. Il motivo è semplice e chiaro sul piano della logica prima che su quello della politica: perché a parità di doveri, deve esserci parità di diritti. Se io che sono gay sono tenuto a pagare tutte le tasse come gli altri, beh, il corredo dei miei diritti non può essere in alcun modo ridotto o diminuito.
Ma c’è un altro motivo, che è tattico. Non esiste negoziazione dove non si debba cedere qualcosa. E allora se vogliamo ottenere davvero i Pacs, dobbiamo chiedere tutto quello che ci spetta, e cioè il matrimonio. Solo allora, vedrete, porteremo a casa i Pacs. E invece più di una volta mi è stato detto che la mia posizione era eterodossa (finalmente ho qualcosa di etero anch’io!), fuori dalla linea, non concordata col centro-sinistra. Leggo ora che i miei amici dell’Arcigay sono “rabbiosi” per il topolino partorito dall’Unione. Scusate, ragazzi, ben ci sta. Se siamo noi ad aver paura dei nostri diritti, cosa credete otterremo dai nostri avversari? In prigione, e senza passare dal “via”!