27 Febbraio 2006

Come Berlusconi lascia la scuola pubblica

Attualità

Il governo Berlusconi lascia una scuola statale più povera e precaria. Quella privata, viceversa, è più ricca. Dal 2001 ad oggi, nella scuola pubblica, gli alunni sono aumentati ma i docenti sono diminuiti. Le casse degli istituti hanno meno soldi da spendere sia per le attività didattiche sia per il funzionamento pratico. E ancora: le aule sono più affollate e il numero di insegnanti precari è da record. A farne le spese sono in primo luogo i più deboli: i portatori di handicap. Al contrario, le scuole private ricevono più soldi.
Secondo il pedagogista Benedetto Vertecchi “in questi anni è cambiata la linea di sviluppo del sistema scolastico italiano: fino al 2000 era di tipo solidale: la preoccupazione principale era di non determinare eccessive differenze fra le classi sociali. Per questo – continua il docente universitario – si abbondava nel numero degli insegnanti alla scuola dell’infanzia e all’elementare. Lo scopo era di aiutare gli alunni con maggiori difficoltà”. Con l’avvento del governo Berlusconi cambia la rotta: “Nel 2001 si fa avanti un modello di tipo competitivo di stampo inglese o americano. La riduzione della spesa comporta una specie di selezione naturale per i più deboli e condizioni di favore per i più capaci”. Ma, secondo uno dei maggiori esperti italiani del settore “il sistema è complessivamente regredito”. “Il passaggio dal modello solidale a quello competitivo è avvenuto in modo imperfetto. Il peggioramento delle condizioni per i più deboli non è stato compensato da un equivalente miglioramento per i più fortunati e i dati Ocse oggi lo dimostrano ampiamente”, continua Vertecchi.
Più duro il commento del sindacato: “Lasciano la scuola in mutande – commenta Enrico Panini, segretario generale della Flc Cgil -. Una scuola dove oggi regna tanta incertezza che si traduce in malessere degli insegnanti e superlavoro delle segreterie”. Per Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola “sono dati che si commentano da soli”. “In questi anni – aggiunge – la scuola pubblica è stata considerata come una spesa: si è registrata una progressiva riduzione degli organici e dei finanziamenti. Le scuole sono in difficoltà e solo il corpo docente è riuscito a tamponare a fatica la situazione”. Insomma, occorre rilanciare la centralità della scuola: “Per farlo occorre investire. Siamo tra gli ultimi Paesi a destinare risorse nel settore dell’istruzione e della formazione: in rapporto a quello che si produce si investe poco”.
Gli alunni e le classi. In quattro anni (dal 2001/2002, primo anno in cui il governo Berlusconi ha potuto intervenire “concretamente” sulla scuola, al 2005/2006) il numero di alunni si è incrementato di oltre 106 mila unità. La popolazione scolastica, la risorsa più preziosa per un Paese, è cresciuta del 1,4 per cento, toccando la quota record di 7 milioni e 714 mila alunni. I segmenti che hanno visto incrementare maggiormente bambini e ragazzi tra i banchi sono quelli della scuola materna (ora dell’Infanzia) e della secondaria di secondo grado (il superiore), che ha registrato una crescita superiore al 4 per cento. All’aumento del numero di alunni, tuttavia, non ha corrisposto un equivalente incremento del numero delle classi. In quattro anni, per ospitare 106 mila alunni in più sono state attivate appena 364 classi: è come se ognuna di esse ospitasse circa 300 alunni. L’affollamento delle aule è così aumentato, passando dai 20,3 a 20,6. “A Scampia, popolare quartiere di Napoli – spiega Panini – c’è una classe di scuola elementare con 38 alunni”. Ma le sezioni più affollate in assoluto sono quelle della scuola dell’infanzia, con una media di 23,4 bambini per classe, seguite da quelle della scuola superiore. “In questo modo – osserva Di Menna – è un po’ difficile parlare di insegnamento individualizzato”.
I docenti di ruolo e i precari. Per quanto riguarda il personale della scuola, la politica dell’esecutivo è stata improntata ai tagli. Complice la Finanziaria del 2003, il cosiddetto organico di diritto – quello che garantisce la stabilità del sistema-scuola – è stato compresso al massimo: meno 13.260 posti per immissioni in ruolo, trasferimenti e supplenze. E se il ragionamento sull’organico di diritto può sembrare artificioso, basta conteggiare i docenti in carne e ossa. Quelli a tempo indeterminato sono oggi appena 709 mila e 800: 26 mila in meno di quattro anni fa. In compenso i precari – quelli che, loro malgrado, contribuiscono a rendere il sistema più instabile – sono aumentati del 26 per cento. In cattedra un docente su sette (122 mila in tutto, contro i 97 mila del 2001) è precario. Ma in totale – fra supplenti e di ruolo – i docenti sono diminuiti di quasi mille unità. La precarizzazione ha colpito soprattutto il sostegno agli alunni portatori di handicap. Oggi, quasi un docente di sostegno su due è precario.
I finanziamenti per le scuole pubbliche. La musica non cambia se si analizzano i finanziamenti arrivati nelle casse delle scuole. La Flc Cgil ha elaborato una serie di tabelle che descrivono in modo inequivocabile la situazione. In soli quattro anni, i fondi per le cosiddette spese di funzionamento delle scuole – i soldi che servono per comprare dai registri di classe alla carta igienica, passando per computer e stampanti – si sono quasi dimezzati (meno 44 per cento). E con la Finanziaria per il 2006 il governo ha racimolato altri 67 milioni di euro. Stesso discorso per i finanziamenti destinati ai Pof (i Piani dell’offerta formativa) delle scuole statali: i documenti che pianificano le attività educative delle scuole. Nel 2001, i Pof delle scuole ricevevano 258 milioni di euro oggi 197: un taglio netto del 24 per cento. “Il governo – sostiene Panini – ha messo in campo una politica di trasferimento di fondi che sono serviti a finanziare le scuole private e la finanza creativa di Tremonti. Anche la Corte dei Conti, in relazione alle esigenze delle scuole autonome, ha recentemente denunciato questa prassi”.
Le scuole private. Se la scuola statale piange quella privata può sorridere. Sempre secondo la Cgil, i finanziamenti a vantaggio delle scuole non statali sono cresciuti e di parecchio. I Pof delle scuole non statali, che nel 2001 non ricevevano neppure un euro di contributo dallo Stato, ora ne ricevono 4,5 milioni. Incrementi anche per le risorse a vantaggio delle scuole elementari e materne private: si è passati da 476 a 532 milioni di euro. Un più 12 per cento che le scuole statali possono soltanto sognare.
(Fonte: Repubblica.it, 27 febbraio 2006)