17 Aprile 2006

I colori contano

Diario

Finita la latitanza quarantennale di Bernardo Provenzano, ieri sera ho voluto rivedere “La mafia è bianca”. E’ un bellissimo film-documentario di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini – uscito solo in DVD e mai trasmesso dalla RAI o da Mediaset – che parla dei fittissimi collegamenti tra mafia e sanità in Sicilia partendo dal capo del Mandamento mafioso di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, un medico, e arrivando su su, attraverso consiglieri e assessori regionali, anche questi per lo più medici, fino al Presidente della Regione Siciliana Salvatore “Totò” Cuffaro.
Una delle parti piu inquietanti di questo film sono gli spezzoni filmati all’ultimo congresso della CDU nell’estate dell’anno scorso. La scena si apre con Cuffaro, che, nella sua veste di presidente del Congresso, annuncia l’arrivo e l’intervento di Pierferdinando Casini. Il Pierferdinando nazionale entra tra ali di folla plaudenti e si avvicina al palco dell’oratore, in un gioco di luci che lo lascia solo, come un gigante, al centro dell’arena congressuale. La voce è chiara e tonante, venata da un accento bolognese seducente come il sale e pepe dei capelli. Casini si mette e si toglie gli occhiali come a sottolineare i passaggi più significativi del suo intervento e ad un certo punto, con voce stentorea dice, anzi, quasi urla, che la lotta alla mafia non può e non deve restare patrimonio del centro-sinistra. Scandisce, aiutandosi con gesti teatrali, forti, che le strumentalizzazioni vanno respinte, e si rivolge in questo momento direttamente a lui, a Cuffaro, chiamandolo “Presidente del Congresso”, ma che la lotta alla mafia appartiene certamente al corredo cromosomico del suo partito e del centro-destra.
Una cosa da pazzi. Ho pensato a lungo, in questi giorni, al risultato elettorale e a quest’Italia spaccata in due. E, riguardando quel film, ieri, pensavo che proprio questa mi pare la più vistosa differenza tra le due Italie che si fronteggiano. La mia Italia, quella che rocambolescamente ha vinto, non è solo l’Italia dei “coglioni”, di quelli che votano avendo in mente l’interesse della comunità invece che il proprio. La mia Italia è anche quella che dice con forza e senza esitazione alcuna no alla mafia, a quella forma di schiavitù che la mafia rappresenta per tanti cittadini della Sicilia.
La mafia è un padrone che controlla le vite di tanti siciliani a partire dalla gestione dei loro bisogni e lo fa usando bastone (molto) e carote (poche), come si fa con le bestie. Lo si capisce dal servilismo con il quale la gente si china al potere, e lo si vede bene nel film da una riunione del CDU, con il solito Cuffaro che bacia uomini, donne e bambini che manco Woityla, e Giovanardi, ministro in carica, a rappresentare il Governo. Lo si sente dalle parole della gente di Bagheria che di giorno dice senza problemi alla telecamera che no, la mafia non infanga la Sicilia e che Provenzano è “un angelo” e che “sì, sono un disoccupato, ho cinque figli ed è la mafia che mi aiuta”, mentre i ragazzi dell’antimafia devono attaccare in paese i loro manifesti clandestinamente e nottetempo.
Non sta a me stabilire le responsabilità giudiziarie di Cuffaro né di nessun altro, ma come cittadino ho diritto di pretendere dalla classe dirigente del mio Paese l’affermazione – un’ovvietà per tutte le democrazie occidentali – che la responsabilità politica è cosa molto più delicata e ampia di quella penale. Per essere un pubblico amministratore al livello del Presidente di una Regione, ma anche molto meno, non basta essere incensurati (il che dovrebbe essere scontato), ma bisognerebbe avere una condotta ed una reputazione assolutamente immacolate.
E invece in “La mafia è bianca” si può vedere Cuffaro avvalersi della facoltà di non rispondere davanti ad una Corte d’Assise perché imputato in un processo collegato, si possono sentire mafiosi di rango in aule giudiziarie ricordare rapporti con lui. Questa è la responsabilità che i Casini e i Giovanardi hanno ai miei occhi: sempre pronti da un lato ad alzare il dito per insegnare la loro morale e dall’altro a lasciare l’Italia e la Sicilia in mano a personaggi che – colpevoli o innocenti, davvero non importa – hanno cose da chiarire con la legge prima ancora che con l’etica. Con Cuffaro oggi come con Andreotti ieri, e con Berlusconi sempre.
E che la metà dei miei concittadini possa esserci passata sopra semplicemente in nome del proprio portafoglio è una storia davvero difficile da mandar giù.