Mario Adinolfi si chiede su Europa chi siano davvero i Perpetui (e si risponde così: Gli inamovibili del Palazzo. Quelli sono i nostri avversari. Forse, i nostri nemici). Ho potuto dire di recente chi siano i perpetui per me in un articolo che ho scritto per D – La Repubblica delle Donne e che è uscito il primo aprile, l’ultimo sabato di campagna elettorale. Lo riporto qui perché è vero, come dice Mario, che i Perpetui sono gli inamovibili. Ma ce ne sono tanti, e pericolosissimi, anche fuori dal palazzo. E dentro o fuori che siano, sono – secondo me – il più grosso problema di questo nostro Paese.
C’è un lontano paese che tra una settimana affronterà le elezioni meno incerte che si siano viste al mondo. C’è un partito, in quel Paese, che le elezioni le vince senz’altro. Sono i Perpetui. È il partito che domina quelle terre da sempre, un partito imbattibile, il cui potere si tramanda con regole precise e immutabili. Chiunque sieda nel Palazzo del Governo, le elezioni in quel Paese le avrà comunque vinte un signore intorno ai sessantacinque anni, rigorosamente maschio, che si dichiara con convinzione cattolico ed eterosessuale, senza particolari disabilità e limitazioni fisiche. Questo è l’identikit del deputato del loro prossimo Parlamento e, a ben vedere, è il medesimo identikit dei loro professori universitari, dei loro anchor men, dei primari dei loro ospedali. Una piccola minoranza che gestisce il Paese come fosse cosa propria, impedendo a chiunque altro non solo di emergere, ma addirittura di essere visibile. Sono i Perpetui: quelli che legiferano gestendo un Paese che sta solo nella loro testa ma che assomiglia loro come una goccia d’acqua. È il Paese dove non esistono coppie di fatto e dove le donne non decidono del loro corpo, proprio come quando i Perpetui erano giovani, come in quelle polaroid anni Settanta dai colori già virati che nascondono gelosamente nei cassetti. Il Paese dei Perpetui è il Paese dove i tempi del lavoro sono modellati sui loro ritmi: non esiste part-time e non fai carriera se non resti al lavoro fino alle otto di sera, e ovviamente non ci sono asili nido, nel Paese dei Perpetui. A sentir loro, però, sono le donne che non sono interessate alla carriera e sono più portate a stare in casa, in quel Paese. Va da sé che i Perpetui amano perpetuarsi, e lo fanno di generazione in generazione. La maggioranza dei figli fa il mestiere dei padri al punto che tante volte basta avere in mente un cognome per sapere a che mestiere corrisponde. Cattedratici e cineasti, presentatori e avvocati, politici e atleti, tutti col proprio cognome, come nel Medioevo, quando talune famiglie di fabbri divennero i Fabbri, gli orefici Orefici, e i lanari Lanari. Nel Paese dei Perpetui la creatività non è premiata, né lo è il talento. I Perpetui hanno una particolare predilezione per l’anzianità, che è un criterio semplice e misurabile: nel loro Paese ci si mette in fila e si aspetta, attenti e prudenti, che arrivi il proprio turno. Esiste addirittura un Partito dei pensionati, in quel Paese, e, che lo si creda o no, è apparentato alla coalizione che rappresenta il nuovo. Si tratta invece forse solo di un Paese vecchio, i cui giovani emigrano o si logorano in interminabili gavette. Noi che guardiamo a quel Paese con affetto auspichiamo un cambio. Di governo, senza dubbio. Ma anche un ricambio generazionale. Ci vogliono sogni e visioni. Ci vogliono i giovani al potere.
9 risposte a “I Perpetui, secondo me”
Sei perfetto Ivan. Io ho 23 anni e mi sento tua sorella, in tutto.
Grazie per le parole che lasci qui, sono semi preziosi che fanno germogliare i miei pensieri. Quando vedo o ascolto persone come te e poche altre, allora si che mi viene voglia di pensare al futuro!!
Una dei tuoi 26.912 delle primarie
Carino l’articolo, interessante la visione dei giovani al potere. Fine. Caro Ivan, non riesci ad uscire dall’analisi dell’Italia che potrebbe fare qualunque iscritto alla Sinistra Giovanile di dieci anni.
Possibile che con tutta la tua esperienza all’estero non ti accorga che il problema del lavoro non è che è troppo precario, ma è che è troppo precario ed al tempo stesso quello stabile è inaccessibile. Che la flessibilità è un sogno, un sogno sarebbe un Paese dove uno dopo due anni può decidere che s’è stufato e magari cambia azienda, o si mette in proprio. Ragioni per diritti successivi, come se si potesse ragionare per decreto, ed anche le leggi umane e naturali obbedissero alle volontà dei governanti.
Diciamo che sei un Lib-Lab, dove in Italia avremmo bisogno di LiberalPersonalisti…
Samuele (che non sarebbe mai andato a votare alle Primarie, e che le considera un imbarbarimento della politica, anche se ha risvolti interessanti come la tua esperienza)
Io invece Ne ho 28 , ho letto il tuo libro, é bello! Io sono del segno del toro, testardo emotivo come il segno e tu, Ivan? Grazie Abbracci
Bravo Ivan, comprerò il tuo libro, sta crescendo una opionione pubblica che è contraria ai perpetui e tocca a noi 20-30enni non disperdere queste energie positive in un giovanilismo vacuo e superficiale.
Ivan,
ti invio un altro articolo apparso sul Sole 24Ore di ieri. Lo troverai al seguente link:
http://www.radicali.it/view.php?id=58989
E questi son fatti.
Quanto alla difesa di Dario e del fatto che al Senato Romano erano tutti anziani mi permetto di fare deu osservazioni:
-All’epoca si viveva tra i 30 e massimo 50 anni. Quindi l’età di scarto tra anziani e giovani era tutta relativa rispettto ad oggi, visto che si puo’ vivere bene fino oltre gli 80 anni (lo dimostrano le attuali candidature per il Parlamento ed il Quirinale)
-In Italia stanno commetendo un errore madornale tenendo in anticamera varie generazioni invece di trasmettetergli il potere e di prepararle ad essere loro la futura classe dirigente del paese. Un esempio fra tanti:, nei gruppi di lavoro dell’Unione Europea, nelle delegazioni belghe e britanniche ci sono sempre dei giovani under-30. Perché? PErché hanno capito che sei vuoi contare “domani” devi formare oggi le oggi le generazioni di domani. Lo porti con te e gli fai vedere cosa succede, in modo tale che a 35-40 già sarà pronto a subentrare progressivamente al capo-delegazione.
Dubito che i Senatori romani lasciassero i propri figli in un serie infinita di stage e gavette, senza responsabilità. Tutt’altro. Gli venivano affidate delle vere responsabilità per crescere e per il bene del paese e della collettività: la quale si regge non su una sola generazioni ma su varie generazioni.
Ma il fatto, e concludo, é che temo in Italia, non esista questo senso dell collettività.
Filippo
In Italia il problema non è l’età anagrafica, ma il nepotismo.
Prendiamo i giornalisti che vediamo in TV, anche bravi e SOPRATTUTTO DI SINISTRA (e lo dico a malincuore), perchè sono quasi tutti figli di…? O comunque imparentati con…
Perchè in TV ci vanno i Luca Sofri, le Maria Laura Rodotà, le Bianca Berlinguer… e non la figlia dell’operaio di Mirafiori che fa praticantato presso L’Eco di Bergamo a 5 euro ad articolo?
Per ritrovare un giornalista figlio di operai dobbiamo risalire ad Enzo Biagi?
La mobilità sociale si sta perdendo piano piano, il dopoguerra e la caduta di un regime avevano aperto la nostra società, ora si sta richiudendo.
Non è un problema di Destra o Sinistra.
Se c’è stato un partito nepotista in Italia, quello era il vecchio PCI togliattiano, apriamo qualche porta da noi?
Sarebbe il tempo, altrimenti non si capisce come mai perchè il 49,9% degli Italiani vota la Casa delle Libertà.
Scusate la critica, ma è la verità e scusami tu Ivan se ho citato il tuo amico (seppur bravo) Luca Sofri, che scrive su Il Foglio dell’ex PCI Ferrara, insomma sempre la solita compagnia di giro, che va da Fabio Fazio a Daria Bignardi, tutti amici e tutti da sempre seduti negli stessi sofà del salotto buono.
Ivan,
avevo provato ad inviare prima un commento riguardante un articolo apparso sul sul Sole 24 Ore. Sembra non sia giunto a destinazione (peccato, avevo aggiunto qualche osservazione)
Te lo rinvio quindi:
Nessuno pensa alle «quote verdi»
Mancato ricambio in Parlamento; i guasti della legge elettorale. La scarsità di giovani tra gli elettimette in luce un’Italia bloccata.
Il Sole 24 Ore
25 aprile 2006, pag. 8
Giuliano Da Empoli
A leggerli di fretta, i dati pubblicati ieri dal Sole-24 Ore del lunedì sulla composizione del nuovo Parlamento hanno di che far accapponare la pelle. Quello che abbiamo eletto due settimane fa, infatti, è il Parlamento più vecchio degli ultimi vent’ anni. Sia in termini anagrafici (con gli over sessanta che passano, alla Camera, dal 16,8% della scorsa legislatura al 22,2% e, al Senato, dal 30,2% al 35,5%), sia in termini sociologici (con i funzionari di partito più che raddoppiati alla Camera e quasi quadruplicati al Senato). L’unico segnale positivo, in controtendenza rispetto a questo ennesimo episodio di Ritorno al futuro, è quello della rappresentanza femminile, pressoché raddoppiata sia alla Camera che al Senato. Alla luce di questi risultati, si potrebbe osservare che tutti coloro i quali, nel corso delle interminabili settimane di campagna elettorale, sono stracciati le vesti nel nome delle famigerate quote rosa avessero sbagliato obiettivo. Non tanto di quote rosa per garantire la presenza di donne ci sarebbe stato bisogno (tant’è vero che le donne ce l’hanno fatta benissimo anche senza) quanto piuttosto di quote verdi per far entrare in Parlamento almeno qualche volto nuovo. A chi scrive, la questione delle quote non è simpatica. Una classe politica non nasce dal nulla. Costituisce, al contrario, il riflesso puntuale della società alla quale appartiene. La Gran Bretagna, per esempio, non ha fatto largo in politica a giovani e donne per astratte ragioni di principio. Oltre Manica, al contrario, hanno messo da tempo l’accento sull’innovazione nel suo complesso: una società dinamica, proiettata sul futuro e attraversata da un continuo processo di distruzione creativa è inevitabilmente destinata a dare spazio agli outsider, primi tra tutti i giovani e le donne. Al contrario, una società bloccata, i cui protagonisti si asserragliano nel disperato tentativo di proteggere le proprie rendite di posizione è anche una società blindata, all’interno della quale le barriere tra insider e outsider tendono a diventare insormontabili. E non ci sono quote che tengano. Certo, quest’ultima tornata elettorale ci ha dimostrato che le cose sono un po’ più complicate. Perché il tormentone sulle quote rosa, pur non avendo trovato un effettivo sbocco legislativo, ha avuto il merito di sollevare e di far discutere il problema della rappresentanza femminile. I partiti, di conseguenza, si sono sentiti obbligati a fare un passo in quella direzione, candidando un numero consistente di donne. Paradossalmente, in pratica, l’esistenza virtuale delle quote rosa ha prodotto un effetto simile a quello che sarebbe stato prodotto da una regolamentazione reale della questione. Alla luce di questo risultato, pertanto, ben venga un vero dibattito sulla crescente gerontocrazia italiana. E se nell’ambito di questo dibattito dovesse venir fuori qualche provocazione (tipo riserve indiane per under 40 in via d’estinzione, e così via…) non sarebbe un dramma: il dato sulle donne elette in Parlamento dimostra che questo genere di discussione è utile in sé, anche a prescindere dagli effettivi sbocchi legislativi. Detto questo, però, il nodo vero è un altro. Se, come abbiamo visto, la via maestra verso una presenza più consistente di giovani (e di donne) in politica e nelle istituzioni, è quella di una dinamizzazione dell’economia e della società che apra nuove opportunità per gli outsider in tutti i settori, vuol dire che servono regole per far sì che la politica abbia la possibilità di accompagnare questo processo. Non è un caso se l’effetto della nuova legge elettorale maggioritaria era stato, dodici anni fa, quello di ringiovanire considerevolmente la classe politica. Una norma che avvicinava sensibilmente gli eletti agli elettori aveva, in quella occasione, consentito di dare uno sbocco al desiderio di rinnovamento che caratterizzava I’ elettorato dell’epoca. Oggi, al contrario, il ritorno al proporzionale ha prodotto esattamente l’effetto opposto, restituendo ai partiti il pieno controllo sulla composizione della loro rappresentanza parlamentare. Ancor prima di parlare di quote e non quote, di conseguenza, varrebbe forse la pena di tener conto di questo dato nel rimettere mano alla legge elettorale.
Repubblica.it di oggi, a proposito della nomina del Presidente del Senato.
Magari qualcuno poco a poco comincerà ad accorgersene…
Consiglio:
Andate sul sito di Camera e Senato e controllate i numeri:
DONNE ED ETA’ DEGLI “ELETTI”. Sono sicura che vi verrà un tale scoramento.
Prendetevi questo impegno, stampateli e a mo’ di grandi post-it teneteli sempre ben in vista in ufficio o in casa per i prossimi cinque anni.
Chissà che non avvenga un miracolo.
Daniela