Sono stato molto contento di leggere che Emma Bonino ha recentemente raccolto in una sua dichiarazione uno dei miei tormentoni, quello sull’Italia che non attrae talenti. A dire la verità a me pare che il problema sia duplice: oltre a non essere capaci di attrarne c’è il dato ulteriore che di talento ne esportiamo parecchio e non siamo mai in grado di riportarcelo a casa. Insomma la nostra bilancia commerciale dei cervelli è stabilmente e pesantemente in rosso. Bonino sostiene che parte la principale responsabilità risieda nella legge Bossi-Fini. Quella legge è un problema, certo, ed è probabile che i pochi stranieri cui pungesse vaghezza di venire a studiare da noi, anche quelli più determinati, finirebbero con l’arrendersi davanti all’incredibile reticolato di protezione messo in piedi dai nostri legislatori (e del resto ho già avuto modo di dire che aver lasciato fare una legge sull’immigrazione a Bossi e a Fini è stato come scegliere Gargamella come ideatore ed esecutore della legge sui Puffi).
Il punto, secondo me, è che l’abrogazione della Bossi-Fini è una condizione necessaria ma di certo non sufficiente per restituire all’Italia un qualche livello di attrazione nei confronti di quegli stranieri che volessero venire da noi a studiare o a perfezionarsi anche in quelle materie in cui siamo senza ombra di dubbio i migliori del mondo (Belle Arti, Architettura, Design industriale, Scienza dell’Alimentazione ecc.). Il punto è che fino a quando non saremo in grado di creare un paese assolutamente meritocratico e aperto alla diversità non riusciremo ad attrarre nessun tipo di talento dall’estero: né dalla Cina né dagli Stati Uniti o dal resto d’Europa.
Basta una piccolissima osservazione. Da quando sono a Mosca mi sono accorto di quanto sia prezioso per me il fatto che in tutti, dico tutti, i ristoranti e nei caffé, abbiano disponibili dei menu scritti in inglese (“Pa angliski?”, ti chiedono premurosissimi i camerieri). O che esistano dei cinema che danno film in lingua originale (a proposito, ieri sera ho visto WTC di Oliver Stone, tosto).
Non è solo che questo mi rende la vita più semplice, ma è che come straniero mi sento in qualche modo legittimato ad esistere, sento che c’è posto per me. Se qualcuno si preoccupa di comunicare con me è il segno che sanno che ci sono, vivo, produco (reddito ed idee) e se voglio mangiare non si limitano a pensare “cavoli tuoi, impara prima la meravigliosa lingua di Dostoevskij e poi ne riparliamo”. Attrarre talenti significa anche creare un ambiente che li accolga, che non butti soltanto su di loro il peso dell’integrazione ma che al contrario se ne faccia carico almeno in parte, che non li faccia sentire ospiti in fondo poi nemmeno troppo graditi (ospiti e pesci si sa, durano poco). E attenzione, Mosca e la Russia non sono esattamente il posto più accogliente al mondo per lo straniero che voglia venire da queste parti: inviti, visti, burocrazia, ma quando ci sei ci sei. Un po’ il contrario che da noi, dove tutte le barriere visibili sono state abbattute, ma ne permangono di altissime, invisibili ma assolutamente impermeabili: quelle di un paese monolitico quanto a cultura, lingua, religione, abitudini e pochissimo disponibile ad aprirsi.
Ridono sempre gli stranieri quando dico loro che “What you call Italian food, we call it food”. Ridono e continuano a godersi un’Italia che li accoglie apertissima e ospitale alla trattoria Nuova Bella Napoli, quella vicinissima all’Università. L’Università di Londra, Parigi o New York, si intende.
6 risposte a “L'Italia è sotto casa”
Caro Ivan, leggo sempre con piacere il tuo blog ma stavolta credo tu non abbia centrato il punto. Le pecche dell’integrazione sociale degli stranieri nel sistema Italia denunciate da te esistono, ma e’ anche vero che sono tali e quali in tutti i paesi latini (vai in Francia o Spagna e dimmi quanti menu’ in inglese trovi nei locali).
Il punto reale e’ che l’Italia non attrae gli stranieri (e nemmeno gli italiani stessi) perche’ paga stipendi da fame se comparati con quello che puoi ottenere all’estero. E anche volendo accontentarsi di due cuori e una capanna, il burosauro italiano ostacola in tutte le maniere chi cerca di fare il proprio lavoro (lungaggini, ritardi, personale sempre assente…)
Se non posso fare il mio lavoro e per giunta mi paghi poco perche’ io straniero dovrei venire (o restare io italiano) in Italia? per un paio di menu’ in inglese o film in lingua originale? tu ti accontenteresti? io no…
Filippo, io vivo all’estero da quattro anni e mezzo e ho sperimentato sulla mia pelle che l’unica speranza per chi rappresenta una sub-cultura dentro una cultura dominante è quella che la cultura dominante gli offra degli spazi e delle aperture. Se vuoi provare a ragionare per paradossi, qual è il prezzo che un’impresa iraniana dovrebbe pagare per convincere una donna occidentale a trasferirsi laggiù e ad andare a lavorare in chador? Sai qual è uno dei più grossi problemi che le imprese italiane affrontano quando vogliono attrarre un dirigente di vertice dall’estero? Le famiglie, che si rifiutano di venire in Italia per un periodo più lungo di una vacanza. E poi il fatto che le riunioni da noi si fanno solo in italiano, perché nessuno parla l’inglese, e il povero dirigente in pratica si trova nell’impossibilità di lavorare. E la preoccupazione per i figli, che gli stranieri non vogliono far laureare nelle nostre università, che vivacchiano in fondo a tutte le graduatorie internazionali. Chi fa una scelta di vita all’estero ha bisogno (anche) di un sostegno e di un’apertura che nessuno stipendio può comprare. Io la penso così.
concordo, ma la decisione della famiglia entra in gioco quando tu stesso hai gia’ deciso che varrebbe la pena venire (o rientrare in italia). Anche io lavoro all’estero, parlo quindi per gli italiani che vorrebbero tornare e non per gli stranieri che vorrebbe venire in Italia.
Il commento di molti amici nelle stesse condizioni e’ univoco: io in Italia vorrei tornare, ma con gli stipendi che ci sono e’ follia. In piu’, non riesci nemmeno a fare il tuo lavoro a causa della burocrazia e devi beccarti un livello di politica malsano oramai a tutti i livelli della societa’. Che ci torno a fare in Italia se mi pagate poco e si lavora male?
Scusa Ivan, rileggo ora con piu’ calma il tuo post rispetto alla mia risposta di prima 🙂
Quello che dici e’ vero, ma credo che sia tipico solo di paesi emergenti (come la Russia) che, in quanto tali, devo “abbbassarsi” a compromessi come quello di fare riunioni in inglese o avere menu’ per stranieri.
E’ ben noto che nei paesi latini pochi parlano inglese, spesso per bieco campanilismo (francia, ma spesso anche italia e spagna). Io lavoro in Olanda e anche qui, nonostante tutti parlino un inglese first-class, spesso per avere un posto “fisso” sento chieere che o si impari o si sappia gia’ il dutch.
Sai, trasferire una famiglia radicata nel territorio nativo e’ sempre duro, Italia o non Italia. Lo so perche’ io sono in Olanda e la mia ragazza in Italia, e ogni giorno vedo sorci verdi sul nostro futuro.
E’ vero che ci si trasferisce piu’ volentieri in paesi aperti alle esigenze degli stranieri, ma e’ anche vero che l’Italia in questo e’ allineata col mondo latino. Pero’ Spagna e Francia sembrano non risentirne economicamente come noi. A tuo avviso, perche’?
Ivan, secondo me sei troppo ottimista. Conosci troppo bene la realtà anglosassone per non sapere che il livello accademico che quei Paesi hanno raggiunto in due-trecento anni di governo saggio dell’educazione, non è *assolutamente* raggiungibile dall’Italia se non in altrettanti 2-300 anni.
Non basta avere tante belle pietre antiche o bei quadri per consentire agli esperti mondiali d’arte di studiare al top queste materie. Occorrono laboratori, macchinari, aule, campus, dormitori, welfare state, denari, denari, denari, professori, maestri, studenti brillanti dai 4 angoli del pianeta.
Non a caso, non è la Grecia il Paese dove si studia meglio la classicità greca. Vorrà dire qualcosa?
scusate non mi sembra che all’estero abbiano tutti questi paesi ci sia tanto welfare state…………………………….in generale…forse ce ne più quì….poi il problema sono gli stipendi da fame x gli italiani che scappano e nn tornano e la burocrazia e l’accoglienza x i giovani stranieri…