1 Ottobre 2006

231 giorni

Diario

Nei miei giri per l’Italia durante le primarie e poi per la presentazione del libro ho incontrato davvero un sacco di persone, e ho accumulato tonnellate di materiale: libri e pubblicazioni di ogni genere, fotografie, brandelli di discussioni, idee. Tutto è lì ancora e piano piano sto digerendo questa massa di informazioni, lento e deciso come un serpente che ha mangiato un elefante (se avete letto il Piccolo Principe sapete a che cosa mi sto riferendo).
Serpente che ha mangiato un elefante
Così la settimana scorsa, partendo per la mia ennesima spedizione in Kazakhstan, mi sono portato un libro che mi era stato dedicato (“A Ivan, alle sue grandi novità”) e frettolosamente consegnato in quel di Rimini ormai molti mesi fa. Il libro si chiama “231 giorni” ed è stato scritto da Paolo Severi, che adesso fa il consigliere comunale a Rimini. L’ho letto d’un fiato e l’ho amato moltissimo. Paolo racconta dei suoi 231 giorni di carcere, impostigli per una vecchia pendenza prima che entrasse a San Patrignano e scontati per non aver voluto restare a San Patrignano (secondo Paolo un posto molto vicino a 1984 di Orwell: “Il carcere è violento ma è libertà di pensare. San Patrignano è omologazione, è ortodossia”), nonostante fosse ormai fuori dalla dipendenza.
E’ un libro sull’ipocrisia di certe comunità terapeutiche, che sostituiscono la dipendenza dalla droga alla dipendenza da questo o da quel santone, è un libro su un amore impossibile, perché l’idea del divorzio a San Patrignano non arrivò mai, è un libro sulla voglia di salvarsi la pelle nonostante tutto perché – come dice Paolo – sì, ci si può salvare la pelle scrivendo. Ed è soprattutto sull’assoluta infamia dell’istituzione carceraria (“Rieducazione? Cos’è?”), vista con gli occhi di uno come noi: questo è ciò che ti mette sottosopra nel libro di Paolo: che il suo modo di raccontare abbatte quel confine insormontabile, molto più alto di qualsiasi muro, che c’è tra loro dentro e noi fuori. Diciamolo, in fondo delle carceri non importa molto a nessuno perché il carcere è un luogo di rimozione collettiva, un po’ come le discariche dei rifiuti. Vi siete mai chiesti davvero dove finiscano i miliardi di sacchetti di spazzatura che produciamo ogni giorno? Li avete mai visualizzati davvero senza essere presi da quell’ansia vorticosa per uscire dalla quale alla fine il cervello decide di fuggire per una via laterale? Un po’ come quando si affronta l’idea dell’espansione dell’universo, o quella dell’infinito… Vi siete mai chiesti davvero, con precisione, cosa succeda nelle carceri? Non è più facile rimuovere il problema? Non è più semplice non pensarci proprio? Ecco, leggendo il libro di Paolo non si può non vivere l’immedesimazione. La sua lingua, i suoi bisogni, le sue osservazioni, sono la lingua, i bisogni e le osservazioni di uno, posso dirlo?, di uno “normale”. E’ bruttissimo, ma la verità è che leggere del carcere attraverso i suoi occhi mi ha fatto per la prima volta, io che non ho mai messo piede in un carcere nella mia vita, pensare che ad uno come lui – e quindi ad uno come me – una cosa del genere non avrebbe mai dovuto succedere.
Che ci sia piaciuto o no si è varato un indulto. La sensazione che abbiamo avuto in molti è che quella legge non abbia in nessun modo toccato la situazione della gente di cui Paolo parla e racconta, ed è per questo, io credo che l’indignazione è montata in modo così visibile e forte: perché pochissimi hanno creduto che un così ampio fronte di forze politiche si sia coagulato per l’approvazione di un provvedimento veramente umanitario e di seria revisione delle nostre politiche carcerarie. L’idea, diciamolo, è che si sia trattato solo e soltanto dell’ennesima manovra salva Previti. Quale migliore occasione per il Guardasigilli e il Governo tutto per dimostrare a noi elettori che eravamo in errore? Riuscirà l’Onorevole Mastella a lasciarci in eredità un sistema carcerario di cui vergognarci un po’ meno?