Durante la campagna per le primarie quelli del Magazine del Corriere mi chiesero chi mi sarebbe piaciuto portarmi al governo nel caso avessi vinto. Non fu per niente un esercizio facile: in Italia tutti ci mettono almeno sei settimane a comporre una squadra di ministri e non so per quale motivo a me furono concessi solo pochi minuti per decidere. Tra i vari nomi che segnalai in quell’occasione ce n’era uno in particolare su cui non avevo alcun dubbio ed era quello di Pietro Ichino per il Ministero del Lavoro. Conosco il Professor Ichino per motivi professionali dal 1992 e in tutti questi anni ho apprezzato prima le sue straordinarie qualità di avvocato e col tempo anche le sue idee di studioso sul nostro mondo del lavoro, cosi ingessato e corporativo. Quest’oggi Ichino ha tenuto una videochat sul sito del Corriere e leggendo la conversazione con i lettori mi sono convinto che avevo visto giusto: “Il precariato nel settore pubblico, ma anche nel privato, è l’altra faccia dell’eccesso di rigidità delle strutture di ruolo. Dobbiamo creare un diritto del lavoro capace di comprendere tutti e non creare una casta di privilegiati”. Il mio Ministro del Lavoro resta ancora lui.
Cerca nel blog
Ivan Scalfarotto
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno nel Governo Draghi. Deputato di Italia Viva. Mi occupo di democrazia, di diritti e libertà, di enti locali, impresa e affari internazionali.
Ho fondato Parks - Liberi e Uguali.
6 risposte a “Il mio ministro”
Ichino di cose sacrosante. Vedo pero’ che ha molti detrattori, molto spesso proprio tra i giovani e 30enni che avrebbero tutto da guadagnare dal supportarlo. Perche’ a parer tuo?
btw, mi posso proporre come Ministro dello Spritz? 🙂
Oggi sono tematico: è venuto Mario Draghi alla sapienza e me ne sono innamorato (politicamente e basta). Lo voglio ministro dell’Economia, altro che quel bollito di Padoa Schioppa!
Concordo con te e con il prof. Ichino. E pensa che ho trentatrè anni e sono dipendente pubblico (a tempo indeterminato!!!).
Rimaniamo in contatto, caro Ivan? 🙂
Ci fu alla fine degli anni ’90 una fase nella pubblica amministrazione nella quale si cercava disperatamente un “prodotto” sul quale misurare il “risultato” e quindi il “merito” riferito all’efficenza, efficacia ed economicità. Una ricerca presto finita nel dimenticatoio, insabbita come nemica e scomoda, in un ambiente dove tutto è da sempre misurato sul clientelismo, il nepotismo, e l’apparteneza politica.
Come si dice il pesce puzza dalla testa, ed a nulla è valso spostare la responsabilità dei procedimenti dalla classe politica “amministratori” a quella dei tecnici “dirigenti”. In poche parole il difetto si è moltiplicato aggiungendo a quello dei primi, che è rimasto quello dei secondi.
Si è cosi creata, e va ingrossandosi la borghesia della dirigenza, vero polmone di politici mancati e non eletti, e di amici e parenti di tizio o di caio. A cascata anche le file degli intermedi e dei subalterni, stanno subendo la stessa logica clientelare, e chi vuole veramente lavorare, uscendo da questa logica, è oggi considerato una pericolosa mina vagante.
La valutazione, in ogni amministrazione, viene sistematicamente falsata, dispensando quattrini e favori ai soliti noti umiliando e mortificando chi vorrebbe fare del proprio lavoro una professione al servizio della comunità. E’ per questo che i sindacati, che inizialmente accolsero e favorirono il sistema meritocratico della rivoluzione Bassanini, sono da pochi anni costretti, con fatica, a calmierare valutazione e meritocrazia, cercando di limitare i danni ed il saccheggio alle risorse dei fondi destinati per legge alla promozione della professionalità e del merito.
Altro che assenteisti e scansafatiche caro Intino, magari fosse così semplice! quello che manca da noi è una vera cultura anglosassone, dove chi gestisce male il pubblico denaro è considerato un incapace, e chi lo gestisce per un tornaconto personale, è considerato semplicemente un ladro.
Anche a me, Intino non dispiace, sopratutto in un panorama così squallido, sono convinto che queste cose lui le sappia già. Mi preoccupa quindi che la sua analisi resti così in superficie.
Caro sindacalista,
è Ichino, non Intino… non sarà mica un lapsus freudiano?
Saluti,
Ivan
Caro sindacalista,
pur concordando sul fatto che non e’ facile trova un “metro” per misurare l’efficenza della PA, la tua lettera mi pare l’apologia del tipico sport italico: lamentarsi che tutto non funziona ma preferire l’impiccagione a qualsiasi cambiamento. Forse il metodo Ichino potra’ non essere il migliore, ma ho forti dubbi che potebbe produrre risultati peggiori di quello attuale (che ricordiamo, e’ voluto e tutt’ora spalleggiato dai sindacati)