Il termine “laico”, ci spiega il Dizionario etimologico Garzanti, deriva dal greco “laikos” e significa “popolo”. Per estensione, il termine ha assunto il significato di qualcosa “che appartiene al popolo, che vive tra il popolo secolare; contrario di ecclesiastico”. La Storia insegna che il punto di decollo democratico di ogni Paese non è stato nel raggiungimento dell’unità nazionale, di solito avvenuta sotto un re assoluto, e nemmeno alla nascita dei primi Parlamenti, sorti per limitare lo strapotere del sovrano. Il salto di qualità è avvenuto nell’accettazione di una Carta dei diritti fondamentali che riconoscesse pari dignità civile e politica a tutte le componenti di quella data società, a prescindere da ogni altra considerazione. Una simile Carta non può che prefigurare uno Stato laico, nel quale ci sia spazio per il credo di tutti i suoi cittadini: i fedeli di tutte le religioni, così come gli atei, gli agnostici e i razionalisti. Ecco dunque che, in uno Stato laico, non esistono simboli religiosi nazionali ma, al contempo, tutti i simboli religiosi sono rispettati e ogni religione può professare il proprio credo in modo libero e completo, nel rispetto però di chi ha un altro credo o non ne ha alcuno.
L’Italia, rispetto a tutti gli altri Paesi occidentali del mondo, ha una profonda particolarità: per secoli è stata dominata da uno Stato della Chiesa che aveva proprio in Roma la sua capitale. Il potere temporale della Chiesa cattolica è stato dunque presente nella sua storia per lungo tempo, producendo tra l’altro, proprio nelle terre più a lungo soggette al suo controllo, un radicato anticlericalismo. La storia dell’indipendenza e unificazione del Regno d’Italia è, in effetti, storia di guerra contro questo potere temporale, combattuto quanto quello austriaco. Pochi ricordano che l’eroe nazionale italiano per eccellenza, Giuseppe Garibaldi – del quale ricorre il duecentesimo anniversario dalla nascita, e nel quale tutti ci riconosciamo da Destra a Sinistra in modo abbastanza istintuale – era sopra ogni altra cosa un convinto anticlericale (ma non certo un ateo). Nel suo Il governo dei preti, Garibaldi scriveva riflessioni del tipo: “I preti di Roma sono i più fieri e terribili nemici dell’Italia. Dunque fuori dalla nostra terra quella setta contagiosa e perversa. (Essi) venderebbero Cristo se non l’avessero già venduto da tanto tempo. (Il) pretismo (è)il puntello di ogni dispotismo, di ogni vizio, di ogni corruzione”.
E così, qualche secolo prima, il fondatore della moderna Scienza politica, Niccolò Machiavelli, era un convinto anticlericale che vedeva proprio nello Stato della Chiesa una presenza “non tanto forte da poter unificare sotto di sé la Penisola, ma nemmeno tanto debole da non causare ostacolo alla sua unificazione in modo alternativo”. Né erano meno puntute le riflessioni del Machiavelli riguardo al risultato della dominazione clericale sulla Penisola, come scriveva nei suoi Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio: “Abbiamo con la Chiesa e coi preti noi italiani questo primo obbligo di essere diventati senza religione e cattivi”.
Fortunatamente, a un certo punto la Chiesa cattolica accettò la fine del suo potere temporale sulla Penisola italiana, efficacemente riassunto dallo slogan cavouriano del “libera Chiesa in libero Stato”, e si ritagliò – dopo qualche anno di “aventinismo” anzitempo – un suo spazio sociale non solo come religione della grande maggioranza degli italiani ma, via via, come potere politico sotterraneo in grado di influenzare alcune scelte della classe politica italiana del Novecento. L’emblema, in questo caso, ci è dato più che dai Patti Lateranensi del 1929 con Mussolini, dalla votazione dell’articolo 7 della Costituzione, che li ha riconosciuti validi nella nuova Repubblica, da parte del Pci e della Dc, contro il resto dei partiti laici.
Questo tipo di scelta fu senza dubbio proficuo per le gerarchie ecclesiastiche: da un lato la loro presenza sotterranea e non diretta fece, col tempo, scemare il motivo di un anticlericalismo così forte come lo si era conosciuto fino ai primi anni del XX secolo. Dall’altro permise la nascita e il rafforzamento di un partito che rappresentasse o tenesse per lo meno molto in conto l’opinione d’Oltretevere. Sinché quel partito è stato unitario (prima il Popolare di Sturzo, poi la ben più laica Dc di De Gasperi), le pressioni ecclesiastiche si sono riversate tutte al suo interno e raramente sono venute alla luce nazionale, con l’eccezione dei referendum su divorzio e aborto. Da quando l’unità politica dei cattolici, con l’introduzione del sistema maggioritario, si è sfaldata, il Vaticano ha preso atto del cambiamento e ha cominciato a farsi sentire in modo diretto più spesso di prima. Ma il vero punto di virata della politica vaticana è avvenuto appena due anni fa, con l’elezione a pontefice del cardinal Ratzinger, uno dei più convinti custodi dell’idea di un ritorno alla tradizione dello Stato Vaticano. Una tradizione che non si cura dei trattati internazionali firmati nel Novecento (dai Patti del 1929 alla Revisione del 1984) e che cerca di influenzare in modo chiaro e diretto le scelte di tutto il corpo politico della Repubblica.
L’ultimo esempio ci arriva da un documento di pochi giorni fa, con il quale la XII Assemblea della Pontificia accademia ha ribadito, in forma scritta e ufficiale, un appello all’obiezione di coscienza per “medici, farmacisti, infermieri, giudici e politici” italiani che, secondo il Vaticano, non devono scendere ad alcun compromesso sui temi della vita e della famiglia. Documento che va di pari passo con le quotidiane indicazioni politiche date dal papa nei confronti dei disegni di legge che si propongono di riconoscere limitati diritti civili alle coppie di conviventi che non desiderano sposarsi.
L’invito del Vaticano, includendo stavolta espressamente “politici e giudici”, non poteva essere più cristallino nella sua ingerenza nelle cose politiche e giuridiche italiane. Il Vaticano, da due anni a questa parte, non parla più di alte questioni teologiche o spirituali, ma scende nell’arena politica della Repubblica in modo ormai franco e alquanto prosaico. A questo cambio di passo dello Stato della Chiesa, l’intera classe politica italiana risponde – a differenza di cento o centocinquanta anni fa – baciando la pantofola, nella errata convinzione che il “laikos” italiano condivida su tutto, nel 2007, le parole e il punto di vista del papa e delle sue gerarchie. È così che il concetto di “laicità dello Stato” si perde: i crocifissi tornano a essere considerati come un simbolo nazionale, la scuola privata cattolica viene largamente finanziata dallo Stato in barba all’articolo 33 della Costituzione, mentre al contempo chi pensa sia l’ora di rispolverare un po’ di tradizionale anticlericalismo viene additato come un bestemmiatore in chiesa. A noi ci piace pensare che l’Italia non sia ancora una grande immensa chiesa. Ci piace credere che a Roma sieda ancora solo un Parlamento della Repubblica che non si faccia influenzare dagli ordini del monarca assoluto ospitato in città. Crediamo, soprattutto che chi abbia voglia di riprendere il punto di vista di Garibaldi e di Machiavelli sul potere politico della Chiesa abbia completo diritto di cittadinanza. In nome proprio della laicità dello Stato.
*L’autore di questo articolo non sostiene e non vota per il Partito Democratico
5 risposte a “Laicità e anticlericalismo – Sciltian Gastaldi*”
Segnalo un interessante post su matrimoni e adozioni basato sull’inversione dei ruoli canonici: semplice ma efficace.
Eh, lo conosco talmente bene che l’ho accluso come appendice a un mio libro più d’un anno fa. 🙂
Penso che al luogo della definizione greca di “laico”, oggi, sia più in voga quella medievale di pensiero agostiniano e ciòè di “non togato” cioè inferiore di colui che la veste porporata indossa!
Gian, pensi male 🙂
L’etimologia di un termine, come dice l’etimologia del termine “etimologia” 🙂 serve a indagare la ragione e l’origine delle parole di un discorso. Il pensiero di Agostino sul significato del termine “laico” è molto posteriore alla nascita del termine “laico” ed è assai lontano dal senso etimologico della parola. Insomma, è un pensiero fazioso, e difficilmente poteva essere altrimenti, trattandosi di uno dei padri del pensiero cristiano.
Mi sembra un buon riassunto dell’influenza del Vaticano nella storia italiana, anche se sono omesse tante cose, quali ad esempio, che se non ci fosse stata la Chiesa e il clericalismo, l’Italia sarebbe finita nell’inferno in terra , ovvero quel comunismo di cui oggi tanti si dimenticano e chi allora (ma solo 10 anni fa) si definiva ancora comunista, oggi si presenta come un campione del pensiero liberale. Si dimentica che certi valori che la Chiesa sostiene possono essere e spesso sono, valori condivisi dai laici, ovvero anche da noi. Certo, non esiste al mondo democrazia le cui leggi siano subito, o persino prima di essere emanate, esaminate da un altro parlamento di Stato straniero e questa è sicuramente una grave anomalia dell’Italia, ma forse più di chi ci governa attualmente perchè come leggi sull’aborto e sul divorzio sono state approvate anche contro il parere della Chiesa.