14 Aprile 2007

L'Italia dei non italiani

Diario, Laicità

Fiona.jpegOggi giornata di viaggio. Domani (anzi oggi, vista l’ora) sono al mio debutto ad un congresso di partito (mamma!) qui a Milano dove si tiene l’assise regionale dei DS. Mi daranno anche l’annosa tessera: mi iscrivo alla “Sezione che verrà”, una sezione di Milano appena inaugurata, fatta principalmente di giovani (ha espresso il consigliere comunale Pier Maran, classe 1980, il più giovane consigliere comunale di Milano) e che lavora moltissimo sul tema dell’innovazione della politica. Vediamo come andrà domani, mi sa che ci sarà parecchio da annusarsi. Farò il mio intervento, dirò le mie cose e vedremo che succede.


Nel frattempo sull’aereo mi sono fatto una scorpacciata di giornali. Prime pagine tutte belle sparate sui disordini a Via Paolo Sarpi. Strano paese questo: ci trastulliamo nell’idea di essere tutti perfettamente uguali, tutti italiani, tutti cattolici, tutti eterosessuali, tutti sposati in chiesa e nessun disabile. Così succede che la realtà cambia, si muove e si modifica velocemente e noi lì con i nostri occhi belli foderati di prosciutto a sentire quattro volte al giorno al telegiornale di cosa ha detto il Papa all’Angelus e a dibattere sulle radici cristiane dell’Europa. Così passano gli anni e i decenni e poi un bel giorno di aprile ci viene comunicato che ci sono i cinesi a Milano. Nessuna idea di come gestire una società multiculturale a parte le scempiaggini insulse di Pera sull’Italia meticcia, nessuna programmazione, nessuna educazione alla diversità, nessuna pubblicità o messaggio che includa nella rappresentazione del nostro Paese le moltitudini di stranieri che vivono qui da decenni. Nulla. Magari ti scappa una Fiona May con tanto di tricolore sulle spalle, ma per godere di questi lussi devi almeno vincere la medaglia d’oro alle olimpiadi.
Sull’aereo accanto a me una coppia di italiani che portava a casa tre belissimi bambini russi appena adottati da un orfanotrofio di Perm. Loro cinque, più me sei, occupavamo un’intera fila di sedili dell’aereo. Mi hanno fatto una tenerezza enorme, i bambini parlavano solo russo e i genitori solo italiano. Ad un certo punto la mamma sfogliando il suo vocabolarietto e stanca di accapigliarsi col cirillico mi ha chiesto se io parlassi russo per sapere come dire ai tre piccoli che a Milano non avrebbero dovuto indossare la giacca, che avebbero trovato caldo. Quando siamo atterrati, poi, le è scappato un grosso sospiro e tra i denti un “non ci posso credere: ce l’abbiamo fatta” da spezzare il cuore. In realtà credo sapesse benissimo che quell’atterraggio in apparenza così morbido era soltanto l’inizio della sfida. Quei bambini troveranno certamente in Italia una casa ospitale. Se l’Italia saprà essere per loro una casa, e una casa ospitale, beh, quello è ancora tutto da vedere.

4 risposte a “L'Italia dei non italiani”

  1. olminide ha detto:

    Hanno la pelle bianca… e questo li auiterà.

  2. Anellidifumo ha detto:

    A Toronto ci sono 850.000 asiatici che convivono pacificamente con circa 650.000 italo-canadesi, pur avendo gli stessi interessi sia legali che illegali: ristorazione e mafia. Qui scontri razziali non ce ne sono mai stati. Forse che la provincia dell’Ontario e lo stato canadese hanno preparato da qualche decennio le basi del multiculturalismo, mentre a Milano il massimo del multiculturalismo è la difesa del dialetto?
    ***
    Di questo Pier Maran sento parlare molto bene da vari blogger. Spero davvero che quando il progetto del PD sarà fallito miseramente, tu riesca a portare fuori dai cocci del più grosso errore politico della storia italiana persone come lui. Gli ultimi due sondaggi danno il PD al 23% e al 26%, infatti Fassino è impazzito e ha aperto nello stesso giorno ai seguaci di Bettino Craxi e a quelli di Antonio Di Pietro, cioè il topo e il gatto. A ‘sto punto poteva fare un cenno anche ai seguaci di Calamandrei e a quelli di Bagnasco… è dura dover dare ragione a una come Stefania Craxi quando chiosa “Ci aggiunga Totò e Macario e il senso del comico è completo”.

  3. La sottile linea di Pennarossa Per il Partito Democratico siamo oramai in sala parto e come ogni travaglio che si rispetti non mancano i segnali di nervosismo da parte degli interessati al “nascituro”. Sembra di vedere un orda di parent

  4. paulo ha detto:

    E te pareva che ci doveva scappare il commento sul PD? D’altronde a destra come a sinistra in Italia abbiamo la cultura del partito dell’un per cento, salvo poi lamentarci ipocritamente del partitismo. Da quando sono nato ho assistito quasi solo ed esclusivamente a scissioni, mai a grandi fusioni (e si è visto col tempo come questo abbia migliorato la politica nostrana, vero?). A ben vedere siamo l’unico paese democratico al mondo con questa impostazione politica e tendenza in crescita, che da quel che vedo rispecchia esattamente quello che noi stessi pensiamo debba essere la politica in Italia: un minestrone che permette ad ogni cittadino di ricavarsi l’illusione della nicchia della propria appartenenza politica. Che poi socialisti e IdV facciano ugualmente entrambi parte dell’alleanza di Governo è un dettaglio per gli statistici. L’importante è poter dire orgogliosi: sì ma io con quelli non ci sono mai stato.
    Meglio eutanasizzare subito la speranza di educarci alla collegialità quando c’è il rischio (purtroppo realistico e sperimentato) dell’inciucio: visto che piccoli siamo, piccoli dobbiamo restare, perché tanto abbiamo imparato che siamo fatti così e non cambieremo mai; dobbiamo solamente prenderne tutti atto e vivremo depressi ma meglio.
    Tornando al tema del post, trovo che l’Italia soffra talvolta di un razzismo strisciante che non è un razzismo vero e proprio, ma un manifestarsi della filosofia dell’orticello, esaltata all’ennesima potenza nel momento in cui nel gioco entrano a far parte fenomeni di massa. Ma nel piccolo può valere allo stesso modo per il vicino di casa, italianissimo: magari uno finisce apparentemente per prendersela con la professione che l’altro fa o con la città d’origine, per convogliare le proprie insofferenze; ma alla radice nasce da una forma di diffidenza o protezionismo delle proprie prepotenze e proprie libertà di fare il proprio comodo indisturbati.