15 Aprile 2007

Un popolo di laureati – Marella Reitani

Meritocrazia

“… il vero carburante dello sviluppo: la competitività… Spesso dico che la scienza è un po’ come lo sport: per vincere contano i giocatori, contano i risultati… ” (Cervelli in fuga – Storie di menti italiane fuggite all’estero a cura dell’ADI, Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani).
Una corsa a ostacoli, dove gli atleti si allenano per correre sempre più velocemente e saltare sempre più in alto. Vince chi arriva prima e ha saltato tutti gli ostacoli, vince il migliore. Sacrificio, preparazione, impegno e un’enorme dose di volontà. Noi italiani, mentre nello sport ci stiamo distinguendo anche in prove estranee alla nostra storia sportiva, per tutto il resto ci ritroviamo in un sistema che mantiene artificialmente lenta la corsa e bassi gli ostacoli. Basti pensare a quanto sia diventata poco importante la carriera scolastica, a cominciare dal voto di diploma e quello di laurea per poi finire al prestigio dell’università in cui ti laurei. Esamifici, 200 lauree honoris causa solo nel 2006, università che ogni anno sfornano centinaia di laureati in pochissimo tempo con un numero di esami ridotto all’osso.


Spuntano come funghi i centri di preparazione universitaria! Con qualche migliaio di euro, dilazionati in tre anni e spalmati tra tasse universitarie e compensi al centro di preparazione universitaria, si consegue una magnifica laurea in una università privata. La meritocrazia è stata surclassata anche da una strana forma di plutocrazia dove non conta il merito ma il potere economico. Insomma, l’Italia è un popolo di laureati, tutti ugualmente e legalmente riconosciuti, sia che vengano fuori da un dottorificio che dal Politecnico di Torino o da La Normale di Pisa.
La legge italiana conferisce “valore legale”, e quindi il potere di produrre effetti giuridici, ai titoli di studio che si adeguano agli standard nazionali normativamente previsti. Il principio del valore legale del titolo di studio è sintetizzato nel R.D 31.8.1933, n.1592, art. 167) secondo il quale le Università e gli Istituti superiori conferiscono, in nome della Legge, le lauree e i diplomi determinati dall’ordinamento didattico. Il Regolamento studenti (R.D. 4 giugno 1938, n.1269, articolo 48) prevede che le lauree e i diplomi conferiti dalle Università contengano esplicitamente la dicitura “Repubblica Italiana” e “in nome della legge”. Il DM 509/1999 (che ha introdotto le “lauree specialistiche”) ha confermato esplicitamente il principio del valore legale affermando che i titoli universitari conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale ai fini dell’ammissione agli esami di Stato (che ha la funzione di accertare – nell’interesse pubblico generale – il possesso di determinate conoscenze e competenze).
La normativa italiana sul punto esclude la competizione. Il merito e il sudore della fronte contano poco, pochissimo. La qualità è un mero dettaglio. Con la deregulation del valore legale del titolo di studio, oltre a venire meno il controllo statale sui curricula, si aprirebbe una sana competizione di qualità tra le istituzioni formative e la valutazione dell’individuo e del titolo di studio affidata al mercato e non allo stato.

Una risposta a “Un popolo di laureati – Marella Reitani”

  1. mark ha detto:

    Descrizione dettagliata del problema. Aggiungo che la spinta all’esamificio è data da regole molto chiare che impongono un allineamento all’europa e vincoli economici altrettanto chiari.
    Le università vengono sovvenzionate in base al numero di persone che superano il primo anno di corso. Ergo che il sistema tenti più di coinvolgere che escudere. Io ho una certa età e da poco ho un incarico di tipo tecnico per un università italiana. Nella mia carriera universitaria non mi era mai capitata la mamma che andava a piangere (protestare) ,presso una direttrice di dipartimento perchè il bambino/a non superava l’esame di inglese.
    Giuro sull’onestà degli esami. Giuro che mi sono cascate le braccia. Io ho fatto ingneria. All’inizio del corso in prima eravamo in 140 ,nello stesso anno si sono laureati 18 colleghi. Fate voi i rapporti. Ovviamente sono sopra gli anta.
    Solito discorso che ai miei tempi …. Ok Ok ma la mamma piagnona. Insomma. Ma cosa pensa questa gente.
    A già. Pensa. Non pensa. Guarda la Tv. E’ più che sufficente. Del resto noi abbiamo pochi ingegneri ,che poi ci preoccupiamo di trattare come periti, dice l’europa. Bene facciamoli che ci vuole. Spero che mio figlio si sposi una
    cinese. Forse mi salvo.