Su CorrierEconomia di lunedì 21 maggio, il buon Ministro Nicolais spiega che il problema più urgente della ricerca nazionale è “mettere in contatto i centri di ricerca, soprattutto i più piccoli, con le imprese e il mondo della produzione. Si tratta di rendere disponibile l’offerta di ricerca che resta spesso chiusa nei laboratori.”
Posto che veramente esista una fantomatica “offerta di ricerca chiusa nei laboratori” per le industrie nostrane -il che è tutto da dimostrare- mi piacerebbe sapere a quale industria di scarpe o del settore manifatturiero io dovrei offrire la mia conoscenza di materiali ad uso tecnologico. Secondo il fiducioso Min. Nicolais, la soluzione sta nel “creare luoghi fisici di contatto, sviluppando distretti tecnologici, parchi scientifici, incubatori di imprese ed idee”.
Peccato che in Italia la filiera della ricerca applicata sia completamente assente, non è solo un problema di mancanza di luoghi fisici di contatto. La filiera della ricerca applicata parte da una politica di investimenti nazionale su settori economicamente trainanti (il novello clean-tech ad esempio), si sviluppa attraverso finanziamenti condivisi tra Università ed industrie su progetti validi (e sgravi fiscali per chi finanzia la ricerca) e mira ad uno scambio proficuo tra mondo accademico e industriale, in collaborazione e competizione tra loro per offrire migliori possibilità a laureati e dottorati e ricavarne cervelli e produttività.
Oggi, invece, i finanziamenti sono spesso concessi da commissioni dai dubbi meriti e usati come merce di scambio anziché a favore dei progetti validi. I controlli in corso e fine d’opera non esistono e vige la regola del “prendi i soldi e scappa”. Gli stipendi sono omologati, così i lavativi possono nascondersi dietro chi produce. Last but not least, i finanziamenti sono colpevolmente sparpagliati in mille campi diversi per l’assenza di una pianificazione nazionale.
Creare parchi e centri di scambio per risolvere il problema è come mettere un cerotto su un tumore.
Inoltre, i contatti tra Università ed Imprese ci sono già, ma le fatiche burocratico-culturali da affrontare per fare ricerca applicata di un certo livello farebbero impallidire Ercole in persona. In suolo italico, il massimo risultato che si riesce a portare a casa è un progettino di uno-due mesi per studiare l’accumulo di polvere nei portarotoli di carta igienica dei cessi pubblici. Gioia e gaudio Min. Nicolais, tra due mesi potremo invadere il mercato di portarotoli di carta igienica che i cinesi si sognano…
2 risposte a “Volevo il marketing della scienza – Filippo Zuliani”
leggendo il testo originale dell’intervista a Nicolais, non condivido la percezione negativa di Filippo.
Certo chi fa sedie non ha bisogno di tanta ricerca..(ma siamo proprio sicuri? se la microsoft fa il tavolo-computer perché non una sedia-computer?) 🙂
Bisogna iniziare a pensare che le aziende altamente tecnologiche da qualche parte devono partire, e cioé come start-up o spin-off da incubatori di impresa o parchi tecnologici.
Come sempre le realtà estere possono essere da esempio, ma anche le solite regioni virtuose, e cioé Trentino e Friuli V.G.
caro Paolo, giustamente ci vuole lo start-up, come dici tu e come sottolinea Nicolais. Pero’ startup non vuol dire solo soldi. Vuol dire organizzazione, logistica, supporto. Vuol dire filiera.
I centri a cui allude Nicolais sono utili ma rappresentano solo 1 dei 4 fondamentali step della ricerca applicata che ho descritto sommariamente nel mio articolo. di tali step Nicolais non parla, di piu’, non ne parla nessuno. Ecco perche’ in Italia c’e’ bisogno di rinovamento. C’e’ urgente bisogno di competenze che dai noi non si sa nemmeno che esistano.