Me lo ricordo bene quel giorno. Aspettavo con ansia che passassero quelle due esatte, lunghissime e maledette settimane che mancavano ancora per il mio compleanno.
Ero al mare con i miei in quella casa dove ho passato tutte le mie estati da bambino felice e da adolescente riluttante (e quella del 1980 era un’estate in cui ero riluttantissimo e disperatamente innamorato: avrei voluto essere da un’altra parte, avrei voluto essere dappertutto tranne che lì).
Era ora di pranzo e il telegiornale parlava di questo scoppio a Bologna, di una caldaia, ma si capiva da lontano un chilometro – e anche da ottocento chilometri – che la situazione era grave, che era un’autentica porcheria, che quel sangue era così tanto che nemmeno la più crudele disgrazia sanguinaria avrebbe potuto casualmente pretenderlo. Quella carneficina era così ben fatta che solo un essere umano, non certamente il caso cieco e un po’ fesso, avrebbe potuto organizzarla.
C’era poi zia Mariolina, la zia professoressa di liceo specializzata in esami di maturità, che doveva tornare a Napoli dal Friuli o dalla Liguria o chissà da dove. Dovunque l’avessero mandata quell’anno lì avrebbe dovuto passare per Bologna proprio allora, proprio in quelle ore avrebbbe dovuto attraversare quel collo di bottiglia tra l’Alta Italia (era ancora alta quando ero piccolo, come ai tempi della Resistenza, non certo come la bassa e trivialissima Padania del Bossi) e il meridione. E non rispondeva al telefono la zia, dormiva il sonno del giusto, come una che ha lavorato sodo per tutto il mese di luglio e finalmente rivede il suo letto. Cosa ne sapeva lei di Bologna e dello scoppio, lei ci era passata il giorno prima e dormiva innocente mentre mia madre, sua sorella, era lì, l’aria sempre più tesa, a provare e a riprovare col telefono.
Avevo quasi 15 anni e faceva caldo, la faccia di mio padre era quella compunta di un uomo intelligente e capace, di un uomo laico e democratico, di uno di quelli che fanno il loro dovere in modo aperto e intelligente, di uno che capisce, e la sua faccia diceva che no, quella macelleria gli ricordava troppe cose, le cose che io a quindici anni non potevo ancora ricordare, tutte le perle che avevano messo il lutto alla sua gioventù di cittadino: Piazza Fontana, l’Italicus, Brescia….
Era il due agosto e tutto quel sangue non sembrava il frutto del capriccio di una caldaia, c’era qualcosa di familiare, una singolare continuità con troppo altro sangue. E mio padre che scuoteva la testa, e mia madre che continuava a telefonare, e io che continuavo a restare appoggiato al muro a fissare la tivvù e a pensare che quel sangue era così tanto, era così tanto porca miseria, che nemmeno la più stupida e crudele disgrazia sanguinaria avrebbe potuto casualmente pretenderlo.
4 risposte a “2 agosto”
hai copiato Adinolfen.
ma lui è stato più incisivo e brutale.
ogni volta che entro alla stazione penso a questo tremendo episodio, neanche una volta mi è sfuggito l’orrore, ero piccolissima ma dopo aver preso parte alla commemorazione, aver osservato bene la foto nella sala d’attesa, letto i nomi e dopo le varie immagini tv, be, sembra sia successo da poco. L’orrore non ha tempo, quest’ultimo con dolore si ferma.
Io forse sono un pelo piu’ giovane, mi ricordo che il giorno dell’attentato non capivo perche’ i grandi fossero tanto agitati…
Poi quando sono andato per la prima volta a Bologna per iscrivermi all’Universita’ sono rimasto sorpreso che l’orologio della stazione non funzionasse…
alcune cose si scoprono cosi’… un po’ alla volta.
ma perchè non la smettiamo di fare tutti gli struzzi, e usciamo la testa dalla sabbia? chi metteva in quel periodo le bombe nelle discoteche degli americani in germania, o negli aerei, Lockerbie? e diciamolo pure, gli americani lo sanno benissimo, e anche tutto il mondo;per niente sono andati a bombardare Tripoli!!! o bloccare il golfo della sirte. e ustica dove la mettiamo? il periodo è quello. azioni e ritorsioni, in un crescendo infernale. il segreto di stato ha impedito una guerra mediterranea e dopo globale. W il segreto di stato. W i dittatori sempre in sella.
W Gheddafi, ma sopratutto W Reagan il cow boy che ci ha salvato l’onore.