Egr. Dott. Scalfarotto,
ho visto il video di Marco Simoni e le parole d’ordine de iMille sono, come sempre la sinistra fa, le migliori, la più idonee e le più rivoluzionarie. Uguaglianza e meritocrazia, un binomio bellissimo e vi faccio i miei più sinceri complimenti. La domanda però che voglio porvi nasce da alcune considerazioni:
1)Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Francesco Rutelli, Enrico Letta, insomma il nuovo che avanza, sono figli o nipoti di:
Vittorio Veltroni (giornalista), Pino D’alema (deputato del PCI), Nipote di Mario Rutelli (artista che ha riempito Roma, sotto la dittatura Fascista, di fontane e statue: il suo capolavoro è la fontana delle Naiadi in piazza dell’Esedra a Roma, ma questo non si dice), Nipote di Gianni Letta (Amico del Grande Satana Berlusconi).
2) L’ossatura politico-culturale del futuro partito democratico è costituita da uomini e donne di indubbie qualità politico-morali: Marrazzo Piero (giornalista), figlio di Giuseppe Marrazzo (giornalista), Bianca Berlinguer figlia di Enrico Berlinguer e nipote di due Presidenti della Repubblica (Francesco Cossiga e Antonio segni), I fratelli Guzzanti figlio del Sen. Paolo (che sta con quel Gran Satana di Berlusconi) ecc. ecc.
Non volendo essere troppo scontato (capisco benissimo che la sinistra italiana abbia adottato Orwell senza se e senza ma: TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI, MA ALCUNI SONO PIU’ UGUALI DEGLI ALTRI), vorrei chiedere a lei e a iMille: se l’uguaglianza è quella di Orwell, la meritocrazia dove sta?
Cordialimente
Mentre ero in vacanza, dalle pagine del Corriere della Sera, ed in merito alla “spazio ai giovani” nel futuro partito democratico, Massimo D’Alema affermava che noi giovani dovremmo prendere esempio dalla loro generazione e “prenderci un posto” nel panorama politico.
Non credo ci sia un “problema giovani” in Italia, piuttosto c’è un “problema vecchi”. Mi spiego.
Comunque si rigiri il problema è proprio la generazione di Massimo D’Alema che dovrebbe fare un mea culpa collettivo.
Non voglio provocare il ministro degli esteri facendogli notare che alle ultime elezioni i due sfidanti erano classe 1936 e 1939 e nel 1968, mentre lui, Fini, Mussi e compagnia si scazzottavano e mentre un’intera generazione scaldava i banchi delle università occupate contestando il sistema, uno faceva già parte dell’apparato industriale e militava nella DC e l’altro aveva una figlia e aveva già fondato la sua seconda impresa edile.
Solo la politica è ormai rimasta barricata al ricambio generazionale, per non parlare di quello di genere. Il risanamento di Fiat, una delle poche cose positive accadute in questo Paese negli ultimi anni insieme all’entrata nell’Euro, è passato per un eccezionale e veloce ringiovanimento della classe dirigente e per un patto generazionale stupefacente. L’esperienza di Marchionne, “il vecchio”, risana i conti e inietta metodo e qualità, la creatività e l’attenzione al mercato del “giovane” De Meo, riporta Fiat vicino ai giovani, producendo macchine più belle perchè più giovani.
Per assurdo è proprio chi nel 1968 ha gridato spazio ai giovani e rivendicato la proprietà dell’utero, si oppone oggi, non a parole, ma profondamente nei fatti, all’ingresso dei giovani e delle donne in politica.
Non si può chiedere che le generazioni prendano il potere con la forza, questo è una sorta di fascismo generazionale che ci vorrebbe temprati dalla contestazione. Il bene del Paese passa per la lungimiranza dei vecchi che affiancano e insegnano ai più giovani i metodi, utilizzandone le idee. Ma non quando è troppo tardi.
I problemi principali di questo Paese, in questo momento storico, sono la formazione, l’inserimento al lavoro (due cose che se realizzate e migliorate portano con se anche l’annacquamento del potere delle Mafie) e la produttività. Tutte questioni che riguardano noi giovani sulla pelle. Tutti problemi che noi conosciamo fin nei meandri della loro tragedia e comicità perché semplicemente: li viviamo.
Come può un’elité politica, generazionale e sociale, i cui figli non saranno certo emblematici della nostra generazione e quindi non possono essere presi come riferimento di vicinanza, conoscere davvero i problemi del Paese (non dei giovani, basta con questo luogo comune)?
Lo scollamento della politica dalla società civile è semplicemente la mancanza di un raccordo generazionale e di genere. C’è un assenza generazionale gravissima.
C’è un motivo per il quale la generazione di Massimo D’Alema, quella genitoriale per chi scrive (classe 1976), non ci considera all’altezza della politica e fatica a lasciarci spazio.
Da una parte la consapevolezza che, per quella generazione, lasciare spazio oggi, significa non avere lasciato una traccia se non il fallimento e la prostrazione degli anni di piombo. La generazione dell’illusione, continua ad illudersi di conoscere la strada. Non capisce che come gli elefanti quando è arrivato il momento di morire si devono coraggiosamente e dignitosamente fare da parte o per lo meno usare il tempo che gli resta per “insegnarci”. Non per guardarci come poveri scemi.
Dall’altra, la generazione dei nostri genitori, ha permeato il Paese di una sorta di mammismo collettivo. Noi, condannati alla vita in famiglia per motivi economici, continuiamo a vivere a 30 anni permeati della stessa bambagia in cui siamo nati. Siamo ancora quelli che devono mettersi la canottiera di lana, andare dal dottore accompagnati dalla mamma, figuriamoci se possiamo collaborare a ricostruire un Paese. Siamo eterni figli, non ancora assunti al ruolo di cittadini. Di chi è la colpa se siamo così irresponsabili, così edonisti, così ipocondriaci? Nostra? O di chi ci ha lasciato davanti ai cartoni animati giapponesi?
Il fare, tempra e distoglie dalla noia. Fateci fare. Ma non fatelo per noi. Non è un favore che una generazione chiede all’altra. E’ il per il bene del Paese che deve avvenire un patto generazionale equilibrato e ovviamente basato non unicamente sull’ età anagrafica, ma sulla competenza e l’entusiasmo.
Di recente l’intervento più “giovane” che ho sentito è stato quello di Oscar Luigi Scalfaro al suo insediamento come presidente del comitato elettorale romano di Walter Veltroni. Mi ha turbato. Ho pensato che forse, Scalfaro, è rimasto giovane perché ha visto il Paese cambiare sotto le mani della propria generazione. Quella dei Pertini. Degli Almirante. Degli Amendola. Degli Azeglio Ciampi. Diceva, parlando dei giovani, che molti giovani burocrati di partito sono già vecchi dentro. E’ così: In Italia il ricambio avviene per immagine e somiglianza anche quando si scelgono i ricercatori all’università. Ogni professore si sceglie il suo ricercatore che usa il suo stesso proprio metodo. E’ proprio così che non si innova. All’estero si assumono ricercatori italiani che usano metodi diversi. Si mischiano le carte, non si imbastardisce la linfa scientifica.
Non è che voi siete diventati così vecchi perchè ancora non avete visto cambiare nulla per opera delle vostre mani? Non le mafie. Non la scuola pubblica sulla quale si continuano a fare riforme sclerotiche. Non la corruzione. Non l’evasione fiscale. Non l’amministrazione pubblica inefficiente e costosa. Nemmeno la parità di genere. Eccetera. Eccetera. Eccetera.
La leva calcistica del ’68 il rigore l’ha tirato e l’ha sbagliato. Noi siamo in panchina a scalpitare e di solito è l’allenatore, un vecchio, che dà il via al cambio in campo. Non perdete questa possibilità. Il gioco, si sa, è di squadra e importa solo il risultato.
Cristiana Alicata
blog http://wordwrite.wordpress.com
imille, le cose cambiano.
ne abbiamo sentite di favole simili, poi vedi il candidato, un cinquantenne che da 40 anni fa politica col pci e ti rendi conto di come cambiano.
escludendo candidati che non siano del cartello ds-margherita (o pci-dc se preferite)
veltroni e berlusconi, stessa pasta di coglioni (così come i poveracci che ci credono)
perché non si prova a cambiare davvero facendo A R I A ?
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno nel Governo Draghi. Deputato di Italia Viva. Mi occupo di democrazia, di diritti e libertà, di enti locali, impresa e affari internazionali.
Ho fondato Parks - Liberi e Uguali.
4 risposte a “La voce del portavoce”
Egr. Dott. Scalfarotto,
ho visto il video di Marco Simoni e le parole d’ordine de iMille sono, come sempre la sinistra fa, le migliori, la più idonee e le più rivoluzionarie. Uguaglianza e meritocrazia, un binomio bellissimo e vi faccio i miei più sinceri complimenti. La domanda però che voglio porvi nasce da alcune considerazioni:
1)Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Francesco Rutelli, Enrico Letta, insomma il nuovo che avanza, sono figli o nipoti di:
Vittorio Veltroni (giornalista), Pino D’alema (deputato del PCI), Nipote di Mario Rutelli (artista che ha riempito Roma, sotto la dittatura Fascista, di fontane e statue: il suo capolavoro è la fontana delle Naiadi in piazza dell’Esedra a Roma, ma questo non si dice), Nipote di Gianni Letta (Amico del Grande Satana Berlusconi).
2) L’ossatura politico-culturale del futuro partito democratico è costituita da uomini e donne di indubbie qualità politico-morali: Marrazzo Piero (giornalista), figlio di Giuseppe Marrazzo (giornalista), Bianca Berlinguer figlia di Enrico Berlinguer e nipote di due Presidenti della Repubblica (Francesco Cossiga e Antonio segni), I fratelli Guzzanti figlio del Sen. Paolo (che sta con quel Gran Satana di Berlusconi) ecc. ecc.
Non volendo essere troppo scontato (capisco benissimo che la sinistra italiana abbia adottato Orwell senza se e senza ma: TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI, MA ALCUNI SONO PIU’ UGUALI DEGLI ALTRI), vorrei chiedere a lei e a iMille: se l’uguaglianza è quella di Orwell, la meritocrazia dove sta?
Cordialimente
se il PD rimasse cosi’ com’e’ la meritocrazia sarebbe merce rara. Proprio per quello sono nati imille.
Mentre ero in vacanza, dalle pagine del Corriere della Sera, ed in merito alla “spazio ai giovani” nel futuro partito democratico, Massimo D’Alema affermava che noi giovani dovremmo prendere esempio dalla loro generazione e “prenderci un posto” nel panorama politico.
Non credo ci sia un “problema giovani” in Italia, piuttosto c’è un “problema vecchi”. Mi spiego.
Comunque si rigiri il problema è proprio la generazione di Massimo D’Alema che dovrebbe fare un mea culpa collettivo.
Non voglio provocare il ministro degli esteri facendogli notare che alle ultime elezioni i due sfidanti erano classe 1936 e 1939 e nel 1968, mentre lui, Fini, Mussi e compagnia si scazzottavano e mentre un’intera generazione scaldava i banchi delle università occupate contestando il sistema, uno faceva già parte dell’apparato industriale e militava nella DC e l’altro aveva una figlia e aveva già fondato la sua seconda impresa edile.
Solo la politica è ormai rimasta barricata al ricambio generazionale, per non parlare di quello di genere. Il risanamento di Fiat, una delle poche cose positive accadute in questo Paese negli ultimi anni insieme all’entrata nell’Euro, è passato per un eccezionale e veloce ringiovanimento della classe dirigente e per un patto generazionale stupefacente. L’esperienza di Marchionne, “il vecchio”, risana i conti e inietta metodo e qualità, la creatività e l’attenzione al mercato del “giovane” De Meo, riporta Fiat vicino ai giovani, producendo macchine più belle perchè più giovani.
Per assurdo è proprio chi nel 1968 ha gridato spazio ai giovani e rivendicato la proprietà dell’utero, si oppone oggi, non a parole, ma profondamente nei fatti, all’ingresso dei giovani e delle donne in politica.
Non si può chiedere che le generazioni prendano il potere con la forza, questo è una sorta di fascismo generazionale che ci vorrebbe temprati dalla contestazione. Il bene del Paese passa per la lungimiranza dei vecchi che affiancano e insegnano ai più giovani i metodi, utilizzandone le idee. Ma non quando è troppo tardi.
I problemi principali di questo Paese, in questo momento storico, sono la formazione, l’inserimento al lavoro (due cose che se realizzate e migliorate portano con se anche l’annacquamento del potere delle Mafie) e la produttività. Tutte questioni che riguardano noi giovani sulla pelle. Tutti problemi che noi conosciamo fin nei meandri della loro tragedia e comicità perché semplicemente: li viviamo.
Come può un’elité politica, generazionale e sociale, i cui figli non saranno certo emblematici della nostra generazione e quindi non possono essere presi come riferimento di vicinanza, conoscere davvero i problemi del Paese (non dei giovani, basta con questo luogo comune)?
Lo scollamento della politica dalla società civile è semplicemente la mancanza di un raccordo generazionale e di genere. C’è un assenza generazionale gravissima.
C’è un motivo per il quale la generazione di Massimo D’Alema, quella genitoriale per chi scrive (classe 1976), non ci considera all’altezza della politica e fatica a lasciarci spazio.
Da una parte la consapevolezza che, per quella generazione, lasciare spazio oggi, significa non avere lasciato una traccia se non il fallimento e la prostrazione degli anni di piombo. La generazione dell’illusione, continua ad illudersi di conoscere la strada. Non capisce che come gli elefanti quando è arrivato il momento di morire si devono coraggiosamente e dignitosamente fare da parte o per lo meno usare il tempo che gli resta per “insegnarci”. Non per guardarci come poveri scemi.
Dall’altra, la generazione dei nostri genitori, ha permeato il Paese di una sorta di mammismo collettivo. Noi, condannati alla vita in famiglia per motivi economici, continuiamo a vivere a 30 anni permeati della stessa bambagia in cui siamo nati. Siamo ancora quelli che devono mettersi la canottiera di lana, andare dal dottore accompagnati dalla mamma, figuriamoci se possiamo collaborare a ricostruire un Paese. Siamo eterni figli, non ancora assunti al ruolo di cittadini. Di chi è la colpa se siamo così irresponsabili, così edonisti, così ipocondriaci? Nostra? O di chi ci ha lasciato davanti ai cartoni animati giapponesi?
Il fare, tempra e distoglie dalla noia. Fateci fare. Ma non fatelo per noi. Non è un favore che una generazione chiede all’altra. E’ il per il bene del Paese che deve avvenire un patto generazionale equilibrato e ovviamente basato non unicamente sull’ età anagrafica, ma sulla competenza e l’entusiasmo.
Di recente l’intervento più “giovane” che ho sentito è stato quello di Oscar Luigi Scalfaro al suo insediamento come presidente del comitato elettorale romano di Walter Veltroni. Mi ha turbato. Ho pensato che forse, Scalfaro, è rimasto giovane perché ha visto il Paese cambiare sotto le mani della propria generazione. Quella dei Pertini. Degli Almirante. Degli Amendola. Degli Azeglio Ciampi. Diceva, parlando dei giovani, che molti giovani burocrati di partito sono già vecchi dentro. E’ così: In Italia il ricambio avviene per immagine e somiglianza anche quando si scelgono i ricercatori all’università. Ogni professore si sceglie il suo ricercatore che usa il suo stesso proprio metodo. E’ proprio così che non si innova. All’estero si assumono ricercatori italiani che usano metodi diversi. Si mischiano le carte, non si imbastardisce la linfa scientifica.
Non è che voi siete diventati così vecchi perchè ancora non avete visto cambiare nulla per opera delle vostre mani? Non le mafie. Non la scuola pubblica sulla quale si continuano a fare riforme sclerotiche. Non la corruzione. Non l’evasione fiscale. Non l’amministrazione pubblica inefficiente e costosa. Nemmeno la parità di genere. Eccetera. Eccetera. Eccetera.
La leva calcistica del ’68 il rigore l’ha tirato e l’ha sbagliato. Noi siamo in panchina a scalpitare e di solito è l’allenatore, un vecchio, che dà il via al cambio in campo. Non perdete questa possibilità. Il gioco, si sa, è di squadra e importa solo il risultato.
Cristiana Alicata
blog http://wordwrite.wordpress.com
imille, le cose cambiano.
ne abbiamo sentite di favole simili, poi vedi il candidato, un cinquantenne che da 40 anni fa politica col pci e ti rendi conto di come cambiano.
escludendo candidati che non siano del cartello ds-margherita (o pci-dc se preferite)
veltroni e berlusconi, stessa pasta di coglioni (così come i poveracci che ci credono)
perché non si prova a cambiare davvero facendo A R I A ?