Però scusa… se io e te stiamo discutendo su qualcosa da dare ai miei rappresentati, iscritti e non, io voglio 100 ma sono disposto a scendere fino a 60 e il giorno dopo tu mi scavalchi e dai loro 30… Come minimo posso sentirmi delegittimato nel ruolo di mediazione, no?
O si decide che il sindacato non rappresenta i lavoratori, ma i numeri non dicono questo, e si abbandona il metodo della contrattazione nazionale/aziendale, oppure si dovrebbe aspettare fine trattativa. Ricordiamoci che il sindacato nasce proprio perchè migliaia o milioni di persone uniti possono farsi sentire meglio di migliaia o milioni di singoli… Prima di sputargli addosso (pur con i distinguo e i problemi che ha) penserei a quello che abbiamo conquistato grazie alle sue battaglie. Poi sulle pensioni io avrei lasciato lo scalone com’era, ma sono cose diverse.
Mi pare evidente che la mossa della FIAT punti a depotenziare lo sciopero che è stato indetto per i prossimi giorni.
Concedere la parte economica (se non ho capito male su questo punto c’è già l’accordo) per tagliare le gambe al sindacato sulla parte normativa su cui l’accordo non c’è ancora. Mi pare normale che si incazzino.
Ivan, la tua conclusione mi sembra troppo affrettata: pur facendo un altro lavoro e non avendo esperienza diretta, condivido di più il primo commento di Michel.
E poi quella scelta mi pare anche una cattiva imitazione di ciò che ha fatto di recente quell’imprenditore marchigiano che ha verificato di persona quanto poco prendevano i suoi operai e ha aumentato loro lo stipendio di 200 euro (http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/industriale-operaio/industriale-operaio/industriale-operaio.html).
La notizia, soprattutto nella parte in cui racconta che i sindacati si incazzano, è di quelle che non possono lasciare indifferenti.
In generale, mi pare che il tema interessato faccia il paio con quell’altro – ripreso nel servizio di apertura su R2 di Repubblica di qualche giorno fa – in cui si parlava della situazione occupazionale del nord est, altra situazione in cui gli stereotipi si rovesciano; lì si parlava infatti delle aziende che sono a rischio di chiusura per carenza di lavoratori, sia per mansioni esecutive che per mansioni tecniche di alto livello.
Al di là degli ovvi complimenti a chi ha inventato la brillantissima operazione di marketing per FIAT nel caso specifico, mi sembra che siano temi che forniscono l’ennesima conferma – per chi ancora ne avesse bisogno – del fatto che è impossibile leggere la realtà del 2007 con gli occhiali del 1969.
ivan anch’io ti esprimo i miei dubbi su quanto letto nel post, la mossa della fiat non è una cosa da poco conto, il sindacato è uscito con le ossa rotte dall’ultima consultazione referendaria a mirafiori, ora l’impegno di aumentare le buste paga con 30 euro a fronte di una ripresa aziendale è unostrumento che tende a delegittimare l’operato delle rsu e delle delegazioni aziendali composte soprattutto da colleghi ed operai interni alla struttura.
il messaggio che passa è che il padrone sa fare meglio gli interessi degli operai, cioè rivela l’incapacità di non aver saputo gestire un lavoro di concertazione e di mediazione tra le parti,trasparente e nel pieno riconoscimento dei vari ruoli e livelli.
non ti parlo perciò nè di scontro, nè di bracci di ferro di antica memoria, ma della mancata reciproca legittimazione, attraverso questo premio elargito direttamente si salti l’importante riconoscimento del ruolo storico del sindacato, che non riveste il solo ruolo del raggiungimento del traguardo salariale, ma anche della sicurezza dei luoghi di lavoro, di controllo di un’eventuale sfruttamento o caporalato.
Non tutte le aziende si chiamano fiat, non tutte hanno imprendidori seri , competenti e capaci, anzi!
Che la fiat , da sempre garantita dal denaro di tutti gli italiani che hanno sostenuto di tasca propria le varie crisi economiche e strutturali, lanci un simile segnale favorendo un discorso economico al pari di una gratifica personalizzata è un pessimo esempio che speriamo non sia prodromo di ben peggiori momenti di antica memoria.
maria
Maria, e dove sta scritto che gli interessi dell’imprenditore e quelli dei lavoratori debbano essere per forza divergenti? In quasi tutta l’Europa, almeno quella più ricca e progredita, vige – come ha spiegato benissimo Pietro Ichino nel suo “A cosa serve il Sindacato?” – un modello di relazioni industriali che non è di contrapposizione ma di cooperazione tra il sindacato e l’imprenditore.
A seguire il tuo ragionamento il datore di lavoro che implementasse spontaneamente azioni di miglioramento della vita in azienda (mettiamo per evitare che i suoi dipendenti vadano a lavorare per la concorrenza o semplicemente per aumentarne motivazione e produttività) andrebbe visto necessariamente con sospetto per il solo fatto che la cosa non è avvenuta attraverso lo scontro e la negoziazione col sindacato. Ha senso tutto questo, oggi?
L’interesse supremo del lavoratore in un’economia di mercato è quello di lavorare in un’azienda solida che paghi certamente gli stipendi tutti i mesi e che garantisca il posto di lavoro sulla base dell’espansione dei suoi ricavi e sul suo successo commerciale (le prebende di stato – quelle a carico di tutti noi contribuenti, me e te compresi – sono per fortuna ormai vietate dall’Unione Europea) e l’interesse dell’imprenditore è di avere una forza lavoro motivata, leale e migliore di quella dei concorrenti. Vedi il caso Alitalia: la pervicace azione sindacale che ha contribuito alla devastazione della nostra compagnia di bandiera è stata secondo te un buon servizio reso ai lavoratori, che tra un po’ si ritroverenno per strada?
Per il lavoratore è secondo me assai più preoccupante lavorare nella Fiat di Fresco sull’orlo della chiusura per fallimento che nella Fiat di Marchionne che va strabene, macina utili e successi e che mette trenta euro unilateralmente in busta paga, credimi. Ma questo il sindacato lo capisce? O meglio: questo al sindacato interessa?
Secondo te è concepibile oggi che nasca un’azienda di successo senza una cultura delle Risorse Umane che si basi non sullo sfruttamento ma sull’investimento (interessato, certo) da parte dell’impresa sulle capacità e sul talento presenti in azienda? E può nascere un’azienda di successo sulla base di quel livellamento verso il basso che il sindacato generalmente persegue?
E se il nostro sistema imprenditoriale si basa su queste logiche, che speranze abbiamo che il nostro Paese riesca a trattenere le sue migliori intelligenze e ad esprimere prodotti e servizi competitivi sul piano internazionale, e quindi a produrre reddito e ricchezza per tutti noi cittadini? E se non abbiamo reddito e ricchezza come paese, se le nostre aziende non vendono, come facciamo a garantire posti di lavoro e protezione per i più deboli?
Con tutta franchezza, questo assetto da guerra permanente e l’idea del sindacato come un dottore dal quale dobbiamo andare anche se siamo perfettamente sani, oltre ad essere fuori dal tempo, mi pare faccia assai più l’interesse del dottore che del paziente, cara Maria.
ivan la tua risposta sicuramente è in linea con un ragionamento che non si sottrae a molte considerazioni che difficilmente in questo spazio potrebbero essere esaustive.
personalmente non considero il rapporto azienda -sindacato come un eterno braccio di ferro sul cui tavolo gettare le problematiche insite nel diverso rapporto tra le parti imprenditoria- forza lavoro.
il quadro aziendale da te enunciato è chiaramente lo specchio di un mondo imprenditoriale che penso appartenga al passato, oggi più che mai il lavoratore è consapevole di quanto sia indispensabile che la sua azienda sia produttiva e competitiva sul mercato perchè sia possibile mantenere il suo prorpio postodi lavoro.
ma ahimè il tuo ragionamento non tiene conto della particolare situazione italiana, a parte pochissime grandi aziende dove se i conti vanno male subito s’integra con casse dello stato pari alla mobilità, cassa integrazione, pre-pensionamenti, la maggior parte è un’imprenditoria piccola e familiare, dove l’ottenimento di questi particolare fondi non sempre sono garantiti e puntulamente osservati.
L’alta incidenza di morti bianche e d’infortunui sui luoghi di lavoro denunciano una situazione portata a non investire nè sulla sicurezza, nè sulla tecnologia, nè sulla formazione.
Tra i bisogni imprenditoriali e quelli operativi chi è in grado di posizionare l’ago sulla bilancia per un equilibrio pari a fornire garanzie imprenditoriali ma a non rendere debole il ruolo del lavoratore in balia dei sistemi finanziari, dei flussi economici, della globalizzazione, della sicurezza, della precarizzazione?
Sicuro che questa miriade di piccole aziendine, boite, disseminate su tutto il terriotorio nazionale abbiano la coscienza e la volontà di garantire una rosa di diritti tali da permettere di preservare dall’abuso della forza lavoro?
sicuro di poter affermare che tutti i datori di lavoro italiani siano illuminati e talmente coscienziosi da perseguire un corretto equlibrio con i propri dipendenti?
Hai ragione, Maria, e, per chiarezza, lasciami dire che io non voglio certo abrogare il sindacato. Ma per tornare al mio esempio precedente direi i casi che descrivi sono appunto quei casi in cui c’è assolutamente bisogno del dottore. Tutta un’altra cosa rispetto all’episodio da cui siamo partiti.
Sappiamo tutti che ci sono esempi di condizioni lavorative (più frequentemente nei confronti di lavoratori extracomunitari) che dallo sfruttamento “semplice” debordano apertamente nello schiavismo vero e proprio, se vogliamo usare il termine corretto.
E che queste situaizoni non esistono solo nel sud dei raccoglitori di pomodori, ma anche in realtà, industriali o legate all’edilizia, del nord.
E’ ovvio che in tutte le situazioni in cui permanga un livello di sfruttamento dell’apporto lavorativo del dipendente il sindacato ha un ruolo insostituibile e fondamentale. Come è altrettanto ovvio che il sindacato ha (o dovrebbe avere) una funzione fondamentale e positiva nella dinamica economica e sociale di una democrazia.
Il problema che solleva Ivan è però quello che esiste un altro mondo rispetto a quello a cui a sinistra siamo cerebralmente atrofizzati a pensare: e io aggiungo che questo mondo è anche qui, in Italia, non solo altrove, ed è un mondo dove i modelli di relazioni industriali di cui parla Ivan sono realtà consolidata, non teoria.
L’articolo di Repubblica sul nord-est buttava lì una quantificazione del fenomeno che sarà senz’altro un’esagerazione giornalistica, ma che fa riflettere, quando diceva che “metà Italia cerca un lavoro, un altro terzo cerca lavoratori”.
Se le cose stanno effettivamente così, la riflessione che va fatta è quella sull’adeguatezza del sindacato a rappresentare davvero non dico il mondo del lavoro in generale (come a volte sembra aspirare a fare), ma almeno il mondo del lavoro dipendente.
E la risposta sulla mossa FIAT non è un segnale molto incoraggiante. Assomiglia davvero troppo alla risposta del medico preoccupato per la possibile scomparsa del suo ordine professionale.
vorrei portare alla vs attenzione l’articolo di mario deaglio su la stampaweb di oggi di cui riporto il link http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3690&ID_sezione=&sezione=
la lettura di questo articolo è foriera di spunti di riflessione.
in parole povere mentre deaglio sposa l’azione di marchionne come segnale di buon intervento imprenditoriale emerge tra le riga il timore, direi abbastanza fondato anche se ben celato dall’entusiamo dell’articolista, di un’imprenditoria anni ’50 che a torino non solo i lavoratori ma la città tuttane ha fatto le spese per decenni.
chiunque vivao abbia vissuto a torino conosce a sue spese cosa abbia comportato la longa mano della fiat nella vita quotidiana non solo dei lavoratori ma anche dei cittadini.
nulla passava che agnelli non volesse, dicono che anche mettere su una piccola azienda fosse praticamente possibile se gli agnelli non volevano o la dichiaravano concorrenziale o non idobnea alsistema industriale locale.
non si costruiva nessuna metropolitana per spingere gli operai a comprare la macchina, i quartieri operai erano decisi meticolosamente in base alle esigenze logistiche dell’azienda, tutto dalla nascita alla morte del lavoratore fiat seguiva un iter burocratizzato e controllato, asili, nidi, colonie estive, premi aziendali, era sotto il beneplacito di papà agnelli e pininfarina il duro.
lo stesso comportamento inquinava e contagliava anche gli altri attori sociali ed economici della città
ci sono fior fior di testi e letteratura che riportano tutto quanto vissuto da questa città negli anni dell’impero fiat, e non sempre ciò è stato foriero di sviluppo e progresso.
Ivan, un’affermazione che non si può condividere. Le relazioni industria-sindacati sono un po’ più complesse di quello che intendi col tuo post. Michel dice bene.
Ma quello che dite in tanti e’ che siccome i sindacati hanno fatto cose molto buone e’ sbagliato criticarli quando fanno errori ?
Mi sembra molto stupido che i sindacati continuino a operare come se fossimo negli anni 70, cosi’ come mi sembra impossibile che Torino e la Fiat tornino agli anni 50
paolo scusami se insisto su questo tema, ma la mia resistenza su questi punti è perchè gli equlibri sono sempre frutto di grande attività di medizione tra i diversi bisogni.
il sindacato è l’altro piatto della bilancia su cui trovano posto soggetti che altrimenti non sarebbero rappresentati.
mi chiedo perchè federmeccanica, che dovrebbe siglare il contratto scaduto a giugno con uno sciopero indetto il 30 ottobre, non senta il dovere e la necessità di sottoscrivere l’accordo contrattuale in itinere ma si affidi alla singola iniziativa aziendale pur se leader .
Senza cadere nella solita retorica della difesa dei lavoratori a priori, bisogna ricordare che il sindacato ha già compiuto un grande sforzo interno a chiedere l’approvazione del welfar e della ridefinizione del sistema pensionistico, non mi è chiaro quindi a questo punto perchè addossare sempre la responsabilità al sindacato quando cerca di concertare la difesa della sicurezza sui luoghi di lavoro, il contenimento dei contratti a termine e dei posti a tempo determinato, il diritto alla conservazione del potere d’acquisto.
draghi , governatore della banca d’italia, domenica ha affermato che le buste paghe degli italiani sono il fanalino di coda di tutte le retribuzioni europee e che il potere d’acquisto è letteralmente compromesso.
perchè dunque difendere i 30 euro dati come acconto da una grande industria che dovrebbe invece elargirne 117?
quando sono in ballo operazioni di rinnovo contrattuale ognuno deve rispettarei ruoli conferiti, altrimenti è uno sparigliare il tavolo e compromettere il risultato con una mossa non corretta e non regolamentata.
se un sindacato indice una data per uno sciopero e relativa manifestazione è perchè rispetta i tempi e le regole che si sono dati entrambi le parti per permettere la possibilità e il tempo di addivenire ad un accordo.
chi avesse la vera intenzione di non cercare lo scontro sociale e favorire la reale ripresa dei rapporti ha già la possibilità di farlo perchè dunque non rispettare i ruoli reciproci?
la chiave di lettura è che non rispettando il ruolo sindacale si finisce con il non rispettare i lavoratori , perchè li si priva della loro forza e rappresentatività, i lavoratori non hanno soldi, giornali, lobby, finanza dalla loro parte, l’unica loro forza è la coesione e la solidarietà, intaccare questi valori significa privarli della loro forza , perciò non riconoscere più in loro un soggetto valido e titolato alla partecipazione dello sviluppo nazionale
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno nel Governo Draghi. Deputato di Italia Viva. Mi occupo di democrazia, di diritti e libertà, di enti locali, impresa e affari internazionali.
Ho fondato Parks - Liberi e Uguali.
13 risposte a “A caval donato”
Però scusa… se io e te stiamo discutendo su qualcosa da dare ai miei rappresentati, iscritti e non, io voglio 100 ma sono disposto a scendere fino a 60 e il giorno dopo tu mi scavalchi e dai loro 30… Come minimo posso sentirmi delegittimato nel ruolo di mediazione, no?
O si decide che il sindacato non rappresenta i lavoratori, ma i numeri non dicono questo, e si abbandona il metodo della contrattazione nazionale/aziendale, oppure si dovrebbe aspettare fine trattativa. Ricordiamoci che il sindacato nasce proprio perchè migliaia o milioni di persone uniti possono farsi sentire meglio di migliaia o milioni di singoli… Prima di sputargli addosso (pur con i distinguo e i problemi che ha) penserei a quello che abbiamo conquistato grazie alle sue battaglie. Poi sulle pensioni io avrei lasciato lo scalone com’era, ma sono cose diverse.
Mi pare evidente che la mossa della FIAT punti a depotenziare lo sciopero che è stato indetto per i prossimi giorni.
Concedere la parte economica (se non ho capito male su questo punto c’è già l’accordo) per tagliare le gambe al sindacato sulla parte normativa su cui l’accordo non c’è ancora. Mi pare normale che si incazzino.
Ivan, la tua conclusione mi sembra troppo affrettata: pur facendo un altro lavoro e non avendo esperienza diretta, condivido di più il primo commento di Michel.
E poi quella scelta mi pare anche una cattiva imitazione di ciò che ha fatto di recente quell’imprenditore marchigiano che ha verificato di persona quanto poco prendevano i suoi operai e ha aumentato loro lo stipendio di 200 euro (http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/industriale-operaio/industriale-operaio/industriale-operaio.html).
La notizia, soprattutto nella parte in cui racconta che i sindacati si incazzano, è di quelle che non possono lasciare indifferenti.
In generale, mi pare che il tema interessato faccia il paio con quell’altro – ripreso nel servizio di apertura su R2 di Repubblica di qualche giorno fa – in cui si parlava della situazione occupazionale del nord est, altra situazione in cui gli stereotipi si rovesciano; lì si parlava infatti delle aziende che sono a rischio di chiusura per carenza di lavoratori, sia per mansioni esecutive che per mansioni tecniche di alto livello.
Al di là degli ovvi complimenti a chi ha inventato la brillantissima operazione di marketing per FIAT nel caso specifico, mi sembra che siano temi che forniscono l’ennesima conferma – per chi ancora ne avesse bisogno – del fatto che è impossibile leggere la realtà del 2007 con gli occhiali del 1969.
ivan anch’io ti esprimo i miei dubbi su quanto letto nel post, la mossa della fiat non è una cosa da poco conto, il sindacato è uscito con le ossa rotte dall’ultima consultazione referendaria a mirafiori, ora l’impegno di aumentare le buste paga con 30 euro a fronte di una ripresa aziendale è unostrumento che tende a delegittimare l’operato delle rsu e delle delegazioni aziendali composte soprattutto da colleghi ed operai interni alla struttura.
il messaggio che passa è che il padrone sa fare meglio gli interessi degli operai, cioè rivela l’incapacità di non aver saputo gestire un lavoro di concertazione e di mediazione tra le parti,trasparente e nel pieno riconoscimento dei vari ruoli e livelli.
non ti parlo perciò nè di scontro, nè di bracci di ferro di antica memoria, ma della mancata reciproca legittimazione, attraverso questo premio elargito direttamente si salti l’importante riconoscimento del ruolo storico del sindacato, che non riveste il solo ruolo del raggiungimento del traguardo salariale, ma anche della sicurezza dei luoghi di lavoro, di controllo di un’eventuale sfruttamento o caporalato.
Non tutte le aziende si chiamano fiat, non tutte hanno imprendidori seri , competenti e capaci, anzi!
Che la fiat , da sempre garantita dal denaro di tutti gli italiani che hanno sostenuto di tasca propria le varie crisi economiche e strutturali, lanci un simile segnale favorendo un discorso economico al pari di una gratifica personalizzata è un pessimo esempio che speriamo non sia prodromo di ben peggiori momenti di antica memoria.
maria
Maria, e dove sta scritto che gli interessi dell’imprenditore e quelli dei lavoratori debbano essere per forza divergenti? In quasi tutta l’Europa, almeno quella più ricca e progredita, vige – come ha spiegato benissimo Pietro Ichino nel suo “A cosa serve il Sindacato?” – un modello di relazioni industriali che non è di contrapposizione ma di cooperazione tra il sindacato e l’imprenditore.
A seguire il tuo ragionamento il datore di lavoro che implementasse spontaneamente azioni di miglioramento della vita in azienda (mettiamo per evitare che i suoi dipendenti vadano a lavorare per la concorrenza o semplicemente per aumentarne motivazione e produttività) andrebbe visto necessariamente con sospetto per il solo fatto che la cosa non è avvenuta attraverso lo scontro e la negoziazione col sindacato. Ha senso tutto questo, oggi?
L’interesse supremo del lavoratore in un’economia di mercato è quello di lavorare in un’azienda solida che paghi certamente gli stipendi tutti i mesi e che garantisca il posto di lavoro sulla base dell’espansione dei suoi ricavi e sul suo successo commerciale (le prebende di stato – quelle a carico di tutti noi contribuenti, me e te compresi – sono per fortuna ormai vietate dall’Unione Europea) e l’interesse dell’imprenditore è di avere una forza lavoro motivata, leale e migliore di quella dei concorrenti. Vedi il caso Alitalia: la pervicace azione sindacale che ha contribuito alla devastazione della nostra compagnia di bandiera è stata secondo te un buon servizio reso ai lavoratori, che tra un po’ si ritroverenno per strada?
Per il lavoratore è secondo me assai più preoccupante lavorare nella Fiat di Fresco sull’orlo della chiusura per fallimento che nella Fiat di Marchionne che va strabene, macina utili e successi e che mette trenta euro unilateralmente in busta paga, credimi. Ma questo il sindacato lo capisce? O meglio: questo al sindacato interessa?
Secondo te è concepibile oggi che nasca un’azienda di successo senza una cultura delle Risorse Umane che si basi non sullo sfruttamento ma sull’investimento (interessato, certo) da parte dell’impresa sulle capacità e sul talento presenti in azienda? E può nascere un’azienda di successo sulla base di quel livellamento verso il basso che il sindacato generalmente persegue?
E se il nostro sistema imprenditoriale si basa su queste logiche, che speranze abbiamo che il nostro Paese riesca a trattenere le sue migliori intelligenze e ad esprimere prodotti e servizi competitivi sul piano internazionale, e quindi a produrre reddito e ricchezza per tutti noi cittadini? E se non abbiamo reddito e ricchezza come paese, se le nostre aziende non vendono, come facciamo a garantire posti di lavoro e protezione per i più deboli?
Con tutta franchezza, questo assetto da guerra permanente e l’idea del sindacato come un dottore dal quale dobbiamo andare anche se siamo perfettamente sani, oltre ad essere fuori dal tempo, mi pare faccia assai più l’interesse del dottore che del paziente, cara Maria.
ivan la tua risposta sicuramente è in linea con un ragionamento che non si sottrae a molte considerazioni che difficilmente in questo spazio potrebbero essere esaustive.
personalmente non considero il rapporto azienda -sindacato come un eterno braccio di ferro sul cui tavolo gettare le problematiche insite nel diverso rapporto tra le parti imprenditoria- forza lavoro.
il quadro aziendale da te enunciato è chiaramente lo specchio di un mondo imprenditoriale che penso appartenga al passato, oggi più che mai il lavoratore è consapevole di quanto sia indispensabile che la sua azienda sia produttiva e competitiva sul mercato perchè sia possibile mantenere il suo prorpio postodi lavoro.
ma ahimè il tuo ragionamento non tiene conto della particolare situazione italiana, a parte pochissime grandi aziende dove se i conti vanno male subito s’integra con casse dello stato pari alla mobilità, cassa integrazione, pre-pensionamenti, la maggior parte è un’imprenditoria piccola e familiare, dove l’ottenimento di questi particolare fondi non sempre sono garantiti e puntulamente osservati.
L’alta incidenza di morti bianche e d’infortunui sui luoghi di lavoro denunciano una situazione portata a non investire nè sulla sicurezza, nè sulla tecnologia, nè sulla formazione.
Tra i bisogni imprenditoriali e quelli operativi chi è in grado di posizionare l’ago sulla bilancia per un equilibrio pari a fornire garanzie imprenditoriali ma a non rendere debole il ruolo del lavoratore in balia dei sistemi finanziari, dei flussi economici, della globalizzazione, della sicurezza, della precarizzazione?
Sicuro che questa miriade di piccole aziendine, boite, disseminate su tutto il terriotorio nazionale abbiano la coscienza e la volontà di garantire una rosa di diritti tali da permettere di preservare dall’abuso della forza lavoro?
sicuro di poter affermare che tutti i datori di lavoro italiani siano illuminati e talmente coscienziosi da perseguire un corretto equlibrio con i propri dipendenti?
Hai ragione, Maria, e, per chiarezza, lasciami dire che io non voglio certo abrogare il sindacato. Ma per tornare al mio esempio precedente direi i casi che descrivi sono appunto quei casi in cui c’è assolutamente bisogno del dottore. Tutta un’altra cosa rispetto all’episodio da cui siamo partiti.
Sappiamo tutti che ci sono esempi di condizioni lavorative (più frequentemente nei confronti di lavoratori extracomunitari) che dallo sfruttamento “semplice” debordano apertamente nello schiavismo vero e proprio, se vogliamo usare il termine corretto.
E che queste situaizoni non esistono solo nel sud dei raccoglitori di pomodori, ma anche in realtà, industriali o legate all’edilizia, del nord.
E’ ovvio che in tutte le situazioni in cui permanga un livello di sfruttamento dell’apporto lavorativo del dipendente il sindacato ha un ruolo insostituibile e fondamentale. Come è altrettanto ovvio che il sindacato ha (o dovrebbe avere) una funzione fondamentale e positiva nella dinamica economica e sociale di una democrazia.
Il problema che solleva Ivan è però quello che esiste un altro mondo rispetto a quello a cui a sinistra siamo cerebralmente atrofizzati a pensare: e io aggiungo che questo mondo è anche qui, in Italia, non solo altrove, ed è un mondo dove i modelli di relazioni industriali di cui parla Ivan sono realtà consolidata, non teoria.
L’articolo di Repubblica sul nord-est buttava lì una quantificazione del fenomeno che sarà senz’altro un’esagerazione giornalistica, ma che fa riflettere, quando diceva che “metà Italia cerca un lavoro, un altro terzo cerca lavoratori”.
Se le cose stanno effettivamente così, la riflessione che va fatta è quella sull’adeguatezza del sindacato a rappresentare davvero non dico il mondo del lavoro in generale (come a volte sembra aspirare a fare), ma almeno il mondo del lavoro dipendente.
E la risposta sulla mossa FIAT non è un segnale molto incoraggiante. Assomiglia davvero troppo alla risposta del medico preoccupato per la possibile scomparsa del suo ordine professionale.
vorrei portare alla vs attenzione l’articolo di mario deaglio su la stampaweb di oggi di cui riporto il link http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3690&ID_sezione=&sezione=
la lettura di questo articolo è foriera di spunti di riflessione.
in parole povere mentre deaglio sposa l’azione di marchionne come segnale di buon intervento imprenditoriale emerge tra le riga il timore, direi abbastanza fondato anche se ben celato dall’entusiamo dell’articolista, di un’imprenditoria anni ’50 che a torino non solo i lavoratori ma la città tuttane ha fatto le spese per decenni.
chiunque vivao abbia vissuto a torino conosce a sue spese cosa abbia comportato la longa mano della fiat nella vita quotidiana non solo dei lavoratori ma anche dei cittadini.
nulla passava che agnelli non volesse, dicono che anche mettere su una piccola azienda fosse praticamente possibile se gli agnelli non volevano o la dichiaravano concorrenziale o non idobnea alsistema industriale locale.
non si costruiva nessuna metropolitana per spingere gli operai a comprare la macchina, i quartieri operai erano decisi meticolosamente in base alle esigenze logistiche dell’azienda, tutto dalla nascita alla morte del lavoratore fiat seguiva un iter burocratizzato e controllato, asili, nidi, colonie estive, premi aziendali, era sotto il beneplacito di papà agnelli e pininfarina il duro.
lo stesso comportamento inquinava e contagliava anche gli altri attori sociali ed economici della città
ci sono fior fior di testi e letteratura che riportano tutto quanto vissuto da questa città negli anni dell’impero fiat, e non sempre ciò è stato foriero di sviluppo e progresso.
Ivan, un’affermazione che non si può condividere. Le relazioni industria-sindacati sono un po’ più complesse di quello che intendi col tuo post. Michel dice bene.
Ma quello che dite in tanti e’ che siccome i sindacati hanno fatto cose molto buone e’ sbagliato criticarli quando fanno errori ?
Mi sembra molto stupido che i sindacati continuino a operare come se fossimo negli anni 70, cosi’ come mi sembra impossibile che Torino e la Fiat tornino agli anni 50
paolo scusami se insisto su questo tema, ma la mia resistenza su questi punti è perchè gli equlibri sono sempre frutto di grande attività di medizione tra i diversi bisogni.
il sindacato è l’altro piatto della bilancia su cui trovano posto soggetti che altrimenti non sarebbero rappresentati.
mi chiedo perchè federmeccanica, che dovrebbe siglare il contratto scaduto a giugno con uno sciopero indetto il 30 ottobre, non senta il dovere e la necessità di sottoscrivere l’accordo contrattuale in itinere ma si affidi alla singola iniziativa aziendale pur se leader .
Senza cadere nella solita retorica della difesa dei lavoratori a priori, bisogna ricordare che il sindacato ha già compiuto un grande sforzo interno a chiedere l’approvazione del welfar e della ridefinizione del sistema pensionistico, non mi è chiaro quindi a questo punto perchè addossare sempre la responsabilità al sindacato quando cerca di concertare la difesa della sicurezza sui luoghi di lavoro, il contenimento dei contratti a termine e dei posti a tempo determinato, il diritto alla conservazione del potere d’acquisto.
draghi , governatore della banca d’italia, domenica ha affermato che le buste paghe degli italiani sono il fanalino di coda di tutte le retribuzioni europee e che il potere d’acquisto è letteralmente compromesso.
perchè dunque difendere i 30 euro dati come acconto da una grande industria che dovrebbe invece elargirne 117?
quando sono in ballo operazioni di rinnovo contrattuale ognuno deve rispettarei ruoli conferiti, altrimenti è uno sparigliare il tavolo e compromettere il risultato con una mossa non corretta e non regolamentata.
se un sindacato indice una data per uno sciopero e relativa manifestazione è perchè rispetta i tempi e le regole che si sono dati entrambi le parti per permettere la possibilità e il tempo di addivenire ad un accordo.
chi avesse la vera intenzione di non cercare lo scontro sociale e favorire la reale ripresa dei rapporti ha già la possibilità di farlo perchè dunque non rispettare i ruoli reciproci?
la chiave di lettura è che non rispettando il ruolo sindacale si finisce con il non rispettare i lavoratori , perchè li si priva della loro forza e rappresentatività, i lavoratori non hanno soldi, giornali, lobby, finanza dalla loro parte, l’unica loro forza è la coesione e la solidarietà, intaccare questi valori significa privarli della loro forza , perciò non riconoscere più in loro un soggetto valido e titolato alla partecipazione dello sviluppo nazionale