Dico una cosa in barba ad ogni più elementare scaramanzia e rischiando una solida fama di menagramo nel caso i fatti dovessero smentirmi: io credo che Barack Obama vincerà, e diventerà il primo nero (qui a Londra si dice si dice ancora così, “black“; l’espressione “afroamerican” non si adatterebbe alla bisogna e “afrobritish” nessuno ha avuto ancora il coraggio di proporlo) ad entrare alla Casa Bianca.
Ci credo perché Barack Obama ha dimostrato di avere una forza straordinaria: quella di abbattere la barriera più granitica ed insormontabile che si possa immaginare, quella del pregiudizio contro se stessi. “Nessuno può farci sentire inferiori senza il nostro consenso” disse una volta una signora che con la Casa Bianca aveva parecchia dimestichezza, Eleanor Roosevelt. E aveva ragione: le discriminazioni riposano nell’approvazione tacita delle vittime prima ancora che nella miopia, nell’ignoranza, nella limitatezza o nella pigrizia intellettuale dei carnefici.
Avevo vent’anni la prima volta che andai negli Stati Uniti: ero in Florida, ospite di una famiglia italo-americana e non potrò mai scordare il mio disappunto quando mi fu spiegato che essere razzisti era un’opzione realistica, praticabile, di cui si poteva al limite parlare anche in società. Che si poteva apertamente dire che non si voleva un vicino di casa nero, perché la circostanza avrebbe probabilmente inciso sul valore di mercato della propria proprietà, per esempio: un vicino nero magari ne chiama un altro, e poi ancora uno e un altro ancora, e senza che nemmeno ce ne si accorga ci si trova ad abitare in un quartiere nero… In Italia non c’erano ancora Borghezio e Calderoli ed essere apertamente razzisti era un comportamento ancora impresentabile, la parola aveva una connotazione assolutamente negativa che nessuno avrebbe di certo mai rivolto contro se stesso in pubblico e che invece – in quella mia prima breve esperienza americana – mi parve non doversi dare necessariamente per scontata da quelle parti.
Ecco, il miracolo di Obama è stato quello di saper mantenere viva – nella sua testa e nel suo cuore – non certo la fiaccola grande ed effimera della probabilità che gli era negata dall’evidenza stessa del colore della sua pelle ma la fiammella, quella piccola e tenacissima, della possibilità; il miracolo è stato quello di essere in grado di dire a se stesso, seriamente, senza scherzi, che il piano era uno solo: il più alto, il più ambizioso; che il piccolo Barack un giorno avrebbe potuto – se proprio tutto fosse andato bene, se non avesse commesso nemmeno un errore, se nemmeno un’unghia si fosse messa di traverso e tutte le stelle si fossero alla fine allineate – diventare il Presidente degli Stati Uniti d’America.
Non si va a vivere in Pennsylvania Avenue se non lo si è voluto e non ci si è creduto per anni, forse dall’inizio stesso dei propri giorni. E dev’essere stato un segreto che Obama ha tenuto da sempre dentro di sé per evitare che gli dessero del matto anche amici e parenti, un segreto che deve aver avuto difficoltà anche a confessare a sua moglie quando, già Senatore, avrà pensato di poterlo, forse, magari, realisticamente fare. Provate ad immedesimarvi e diciamoci la verità: se un nero – anche fosse vostro marito, anche fosse un marito meraviglioso che amate e stimate immensamente – vi avesse detto un paio di anni fa “Cara, voglio correre per la Casa Bianca” con ogni probabilità gli avreste risposto di prendersi immediatamente un bel periodo di riposo.
“Nessuno può farci sentire inferiori senza il nostro consenso”, disse la Signora Roosevelt, ed è esattamente quello che Barack Obama ha fatto nei suoi 45 anni di vita: ha segretamente lavorato, e lavorato duro, prima su se stesso e poi nei confronti dell’universo mondo, per negare a tutti quel consenso che era scontato dovesse dare come tutti prima di lui. Per distruggere il pregiudizio che ogni minoranza finisce – costretta dalla società e dalla convinzione di un destino che pare ineluttabile – con l’avere nei confronti di se stessa e che la porta a giustificare, se non anche addirittura a comprendere, che certi traguardi sono preclusi a priori a chi loro appartiene. Obama è riuscito a smontare questo meccanismo inarrestabile, è riuscito a crederci nonostante tutto: nonostante la storia, l’esperienza, i precedenti. Nonostante il buon senso. E’ riuscito a capire che non avrebbe mai potuto vincere se non sconfiggendo se stesso in primo luogo: è per questo che non può più perdere.
E se anche dovesse perdere, smentendo le mie acrobatiche e imprudenti previsioni, avrà vinto comunque. Perché da oggi nulla sarà più come prima per tutte le persone che per qualche motivo non appartengono a quella sparuta minoranza che ha da sempre i titoli per decidere e per governare. Perché da oggi l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, le disabilità, l’età, le convinzioni filosofiche e religiose non sono più una barriera così granitica ed insormontabile. Perché da oggi le migliaia di norme antidiscriminazione rimaste a prendere la polvere in chissà quante leggi e costituzioni hanno ripreso un soffio vitale nuovo e probabilmente inarrestabile. Comunque vada, Obama avrà vinto in ogni singola persona che in ogni angolo del mondo sta pensando oggi che se ce l’ha fatta lui “beh, posso farcela anch’io”.
12 risposte a “Candidate Obama”
Davvero, Ivan? Davvero chiunque? Anche un ateo? Anche uno che abbia il coraggio di dire, in un dibattito elettorale, “Io penso che Dio non esista”? Pensaci…
M.
Ivan hai sottovalutato un particolare: nella delegazione mandata dal nostro PD c’era pure Rutelli. E Rutelli porta male.
Temo il peggio, purtroppo.
Sono sempre molto perplesso da questo genere di affermazioni: il primo nero o afro o quello che è che eccetera eccetera eccetera… Sembra quasi che faccia degli USA un Paese civile. E lo stesso sarebbe stato se fosse stata la Clinton ad avere la nomination: la prima donna eccetera eccetera…. E questo quando di Paesi che hanno nominato presidenti donne e persone di colore ce ne sono stati molti nel mondo ben prima che gli americani si scoprissero politically correct.
E se una volta tanto la smettessimo di pensare in questi termini? Obama non è un nero: è un candidato alla presidenza degli USA. Punto. Potrebbe esserre anche blu e non sarebbe quello che farebbe la differenza. Forse che diciamo il primo biondo o la prima con gli occhi azzurri ad essere nominata eccetera eccetera?
Lo stesso è con gli omosessuali o gay o come li si vuole chiamare… da una parte un mucchio di balle e stereotipi, dall’altra sembra quasi che li si debba proteggere e parlarne male è sbagliato a priori. ma che importanza ha se uno è omosessuale o no, se è candidato a un ruolo importante. Vediamo piuttosto se vale quel ruolo! Forse che a me mi chiamano etero? E allora perché classificare qualcuno in base all’orientamento sessuale? Che c’entra con la politica o con il lavoro o con mille altre cose? E smettiamola anche di fare il contrario, di far vedere a tutti i costi che NON siamo razzisti e che non discriminiamo. Scegliamo onestamente in base a criteri oggettivi e quello che viene viene. La political correctness è solo un nome pomposo per l’ipocrisia.
Saremo davvero civili quando smetteremo del tutto di preoccuparci di questi problemi e la smeteremo di classificare le persone in base a parametri del tutto insignificanti. La gente va valutata per quello che vale, che sa fare, che riesce ad ottenere. Il resto sono tutte sciocchezze.
Quindi se capisco bene, caro Dario, il fatto che il 99% dei capi di stato, di governo, degli amministratori delegati delle aziende, dei ministri, dei parlamentari, dei presidenti di tribunale, dei primari degli ospedali, dei direttori dei giornali, degli ordinari nelle università sono maschi, bianchi ed eterosessuali deriva dal fatto che sono antropologicamente superiori alle donne, ai neri, ai gay?
Perché delle due l’una: o il mondo è quel posto meraviglioso che descrivi tu, dove tutti sono misurati solo sulla base delle proprie capacità, e allora i bianchi, maschi, eterosessuali (cristiani e privi di disabilità, aggiungerei) sono una razza superiore considerato che conquistano regolarmente la quasi totalità del potere; oppure il mondo è un posto assai meno perfetto di quello che vedi tu, un posto dove per motivi storici e culturali alcune persone sono enormemente avvantaggiate rispetto ad altre ed hanno opportunità che agli altri sono quasi sempre precluse indipendentemente dai meriti individuali.
Se la verità è quest’ultima allora c’è molto lavoro da fare. A cominciare dal non sottovalutare il problema (per esempio equiparando il colore della pelle, l’etnia o l’orientamento sessuale al colore degli occhi: come se per il colore degli occhi la gente fosse stata mai bruciata, uccisa, cacciata, discriminata, picchiata, odiata, ridotta in schiavitù) che è la strategia preferita da chi vuole mantenere lo status quo: in genere si tratta proprio di maschi, bianchi, eterosessuali, cristiani e privi di disabilità.
Quelli che da sempre governano il mondo e che hanno tutto l’interesse a dire che tutto va bene perché le cose restino per sempre come stanno.
Da maschio, bianco, eterosessuale, di cultura ispirata ai principi cristiano-cattolici devo dire che Ivan ha un paio di anni luce di ragione su tutto quanto scritto sul post e risposta. E aggiungo, sarebbe bello che anche ai meno abbienti e ai non-raccomandati venisse dato e offerto in base al merito.
E Dario, secondo me quello che tu attacchi è l’atteggiamento degenerativo del politically correct, quello che odio anch’io. L’ipocrisia di dover destinare delle quote rosa manco fossero quote latte, o quando un ruolo accademico viene asssegnato (in US) ad un nero che vale meno rispetto ad un bianco solo perchè è nero, o chiamare un disabile un “diversamente abile”, e tutti gli atteggiamenti che vengono da un senso di colpa ancestrale per le malefatte del passato perpetrate da chi pensava di avere un “fardello dell’uomo bianco”, un fardello di civilizzazione. Quello che è stato è stato. Ora spero soltanto, come dice Ivan, in un mondo dove ognuno sia ricompensato per ciò che vale, al di là di discrimazioni o “quote” (che sono la faccia ipocrita della discriminazione).
@ Dario: Sono d’accordo con la tua idea. C’e’ solo un piccolo particolare. Essa e’ vera solo nel momento in cui fosse applicata, come ha bene sottolineato Ivan, in un mondo perfetto dove solo il merito e il talento valgono come misura del proprio successo. In realta’ le cose sono ben diverse. Quindi, fino a quando il mondo non assumera’ quel grado di perfezione, ben venga sottolieare i successi delle monoranze nel conquistare il loro spazio nell’arena.
@Ivan: La mia speranza chiaramente e’ che Obama riesca nella sua impresa. Ce la puo’ fare, ma non sara’ facile e nemmeno scontato. Purtroppo in molte parti degli Stati Uniti le cose sono rimaste immutate dalla tua prima visita in questo Paese. Dopo due anni e mezzo passati qui, ancora rimango basito nel vedere quanto questo paese riesca, da un lato ad essere cosi’ avanzato e reattivo nei suoi cambiamenti, dall’altro cosi’ conservatore e chiuso rispetto al resto del mondo.
Leggevo qualche tempo fa sul New Yorker che, ad esempio, le ultime mosse di Obama (andare in vacanza alle Hawaii in agosto mentre McCain si faceva vedere in giro per gli States facendo campagna politica, visitare i leader dei piu’ importanti Paesi europei con tanto di bagno di folla – tutte cose che in un altro paese sarebbero viste come normali o positive) gli avrebbero potuto creare problemi per quell’elettorato americano medio che non vuole per presidente una rock star.
Bel post, Eleanor poi io l’adoro, ne ho parlato quanto potevo nel mio saggio su maccartismo e cinema.
Faccio solo notare che quando avevi 20 anni in Italia non si era ancora razzisti non perché non conoscessimo ancora Borghezio, ma perché l’Italia di allora era una società ancora per il 100% bianca, italiana e cattolica.
L’America ha conosciuto l’immigrazione praticamente dai tempi delle prime colonie e la loro società è multirazziale da diciamo 200 anni. Di conseguenza, tra le varie opinioni possibili, hanno cittadinanza anche quelle razziste.
Il discorso di Obama è piaciuto anche a me, anche se sono meno ottimista di te su come finiranno le elezioni. Spero di sbagliarmi, almeno stavolta.
“Da oggi l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, le disabilità, l’età, le convinzioni filosofiche e religiose non sono più una barriera così granitica ed insormontabile”
Beh, apprezzo l’ottimismo ma credo che per le convinzioni religiose forse dovremo aspettare ancora qualche giorno.
God Bless you, and may God Bless the United States of America.
Ma chi l’ha detto che vent’anni fa in Italia non c’era razzismo? E i “terroni” dove li metti? Il razzismo interno antimeridionale esiste da una vita, e spesso viene sottovalutato… Sin da piccolo mi e` capitato spesso di sentire gente del nord fare commenti molto, molto sgradevoli sui meridionali…
Comunque, che solo i “bianchi” siano razzisti e` semplicemente un mito: razzismo, sessismo, omofobia, classismo e altre cose assurde come i pregiudizi contro i mancini esistono in tutte le societa` umane, purtroppo. Io vivo in Asia da 12 anni e vi assicuro che non stanno messi molto bene da questo punto di vista…
In un paese normale non ci sarebbe razzismo.
In un paese normale non ci si piccherebbe di essere uno dei baluardi del mondo omossessuale.
In un paese normale non si farebbero accordi con i capi dell’opposizione, se questi sono conprovati fuorilegge.
In un paese normale non si lascerebbero sbraitare soli i Di Pietro di turno.
In un paese normale non sarebbe necessario neanche sbraitare.
Tuttavia sappiamo di non essere in un paese normale. Lo sappiamo?
E allora se lo sappiamo, forse dovremmo unire tutti quelli che vogliono un paese normale. Vedi i Grillini, Generazione U.
Se vogliamo diventare un paese normale non possiamo stare insieme a Binetti, Rutelli, Fassino.
Se guardiamo la realtà italiana, siamo sicuri che circoli Obama possano aiutarci?
Certo sarebbe bello avere come capo del governo un omossessuale dichiarato! Sarebbe un primo passo verso la normalità.
Ma dopo? Sono i progetti e le idee che conteranno. L’identità politica. E aspettare e aspettare e aspettare che sia Veltroni il nostro normalizzatore, credimi, è molto dura.
I cambiamenti del mondo d’oggi non hanno più i tempi di una volta. Sono ora rapidissimi.
E allora scalpha vogliamo credere finalmente a noi stessi? Vogliamo che un omossessuale dia finalmente una svolta a questa politica? E allora facciamolo fuori dal PD. Insieme con le donne e gli uomini della rete!
Federico, ma sì certo, intendevamo il razzismo verso lo straniero.
Verissimo che 30 anni fa c’era il razzismo geografico tra nord e “terroni”. Come verissimo che il razzismo esiste in tutte le società, mica solo in quella bianca. Scoperta dell’acqua calda, permettimi.
Caro Ivan, questa ci fa un culo così: http://www.anellidifumo.ilcannocchiale.it/post/2012519.html