3 Ottobre 2008

Esperienza o cambiamento?

Diario

giudizio.jpgIl mio pezzo su L’Unità di oggi.

Esperienza o cambiamento? La domanda è diventata negli ultimi giorni il tema forte della politica britannica dopo che Gordon Brown, parlando alla conferenza laburista della scorsa settimana a Manchester, ha detto chiaro e tondo che questo nostro difficile tempo «non è tempo per novizi». Si riferiva direttamente a David Cameron, classe 1966, leader dei conservatori e suo diretto concorrente, ma anche di una battuta avvelenata nei confronti di David Miliband.


Cioè del ministro degli Esteri del governo britannico, classe 1965, e favorito alla successione nel caso di sconfitta (o di possibile defenestrazione) dello stesso Gordon Brown. La risposta non si è fatta naturalmente attendere: parlando mercoledì a Birmingham, Cameron ha avuto gioco facile nel sottolineare che se Brown avesse ragione, se davvero la complessità dei tempi fosse un impedimento all’assunzione di responsabilità da parte di chi non ha specifiche esperienze alle spalle, allora in via di principio nessuno potrebbe mai sostituire chi già ricopre una certa posizione e, nel caso particolare, nessuno potrebbe di fatto mai succedere a Gordon Brown. «Non è l’esperienza quello che conta, quello che conta sono il carattere e la capacità di prendere decisioni», ha ribattuto Cameron segnando un punto a suo favore. 

Tutto questo avviene a Londra proprio alla vigilia dell’unico dibattito in programma tra Joe Biden e Sarah Palin, i due potenziali prossimi vice-presidenti degli Stati Uniti, scelti dai rispettivi candidati anche per la loro capacità di bilanciare i limiti percepiti dall’opinione pubblica riguardo alla propria inesperienza (Obama per Biden) o all’età avanzata (McCain per Palin). Proprio la nomina dell’inesperta ma certamente carismatica governatrice dell’Alaska ha dato uno scossone alla campagna elettorale americana e un’iniezione di fiducia e di popolarità al ticket repubblicano, mostrando in modo del tutto evidente che il tema del cambiamento in generale, e del ricambio generazionale in particolare, è il tema che sta dominando il dibattito politico sulle due sponde dell’Atlantico. 
Ed è probabilmente proprio sulla capacità di leggere e rappresentare il proprio tempo, di esprimere posizioni coraggiosamente innovative, di creare una visibile discontinuità con il passato che si deciderà il destino della Casa Bianca e di Downing Street: sia Cameron che Obama sembrano oggi in vantaggio proprio in virtù della freschezza che esprimono rispetto all’avversario, che viene percepito come parte di un establishment superato e stantio, che ha semplicemente cessato di rappresentare il mondo in cui viviamo. Nell’immaginario collettivo Obama rappresenta oggi la fotografia perfetta del nostro presente proprio come Blair e la sua “Cool Britannia” hanno sintetizzato perfettamente la cultura e la società degli anni 90. 
Ma al di là delle riflessioni sull’attualità del dibattito politico inglese o americano quello che colpisce davvero è la capacità che hanno le grandi democrazie di provvedere in modo continuativo, si direbbe quasi istituzionalizzato, al ricambio delle proprie classi dirigenti. La mobilità sociale, che è parte integrante del sistema di equilibrio economico e sociale nei sistemi anglosassoni, si spinge fino al massimo livello della politica garantendo la possibilità concreta per persone intorno ai quarant’anni – persone dunque all’apice del ciclo della loro vita – di accedere a cariche di massima responsabilità. L’accesso ai massimi vertici di istituzioni, imprese, università è anche garantito da un sistema che pone alla sua base un concetto espresso da una parola – “accountability” – difficilmente traducibile in italiano: essere “accountable” per qualcosa significa essere pronti a rendere direttamente e concretamente conto dei risultati delle proprie attività. Così un politico che perde le elezioni o si ritira o cambia carriera, magari brillantemente come ha saputo fare Al Gore, ma non viene mai promosso a più alto incarico: questo moltiplica l’attenzione sul merito e fatalmente produce spazi ed opportunità che si aprono davanti alle nuove leve. 
A tutto questo si aggiunge certamente anche una maggiore attitudine al rischio, la capacità di sparigliare le carte, la lucidità di capire che davanti a ripetuti fallimenti l’unica alternativa possibile è il coraggio di battere nuove strade, di accettare la concreta possibilità di fallire provando nuove soluzioni. L’establishment dei Conservatori britannici e dei Democratici americani e i loro principali finanziatori, pur con diverse modalità e tempi, non hanno avuto nessuna difficoltà a sostenere con tutta la forza e la solidità dell’apparato candidati con poca o nessuna esperienza una volta verificato che la novità contenuta nel loro messaggio avrebbe potuto costituire un’efficace testa d’ariete per invertire trend elettorali storicamente sfavorevoli. 
La portata innovativa del sistema, insomma, non si risolve nell’elemento puramente anagrafico, ma in modo decisivo nel fatto che la gioventù di un candidato in tanto lo qualifica come vincente in quanto questa rappresenti anche un momento di rottura rispetto al passato: di fatto è esattamente il contrario della cooptazione, che produce rinnovamento anagrafico ma nessuna novità in termini di contenuti. 
Le difficoltà che la politica italiana incontra sulla via del ricambio al proprio interno sono prospetticamente esemplificate dalle vicende e dalle polemiche di questi giorni sulla scelta del Segretario dei Giovani Democratici, l’organizzazione che dovrebbe essere l’incubatrice della futura leadership del partito. Un’organizzazione che però non nemmeno ha un limite massimo di età per parteciparvi, dato che l’emendamento presentato in Commissione Statuto per introdurre un limite massimo di 25 anni fu bocciato proprio su iniziativa delle due rappresentanti la Sinistra Giovanile in Commissione: meglio evidentemente stare riparati a lungo nell’organizzazione giovanile che provare a navigare i mari della politica e diventare ministri a 30 anni o premier a 40, come accade non solo nei Paesi anglosassoni ma oggi anche in un paese mediterraneo come la Spagna. Per di più i linguaggi, i documenti, le idee che vengono dagli aspiranti giovani segretari non presentano alcun elemento di originalità rispetto ai linguaggi, ai documenti, alle idee della politica dei “grandi”. 
Coraggio, discontinuità, modernità, apertura alla diversità: sono invece questi gli elementi che sostengono il cambiamento e che costituiscono le valvole di sicurezza dell’intero sistema politico nel lungo periodo. Costringono la classe dirigente ad esprimere una visione e consentono all’elettorato di appassionarsi alle vicende politiche. L’entusiasmo delle sostenitrici di Hillary Clinton che hanno fatto propria la battaglia per avere una donna alla Casa Bianca ben al di là della fedeltà di partito, cosi come lo storico discorso di Philadelphia di Barack Obama sulle discriminazioni razziali negli Stati Uniti non sarebbero stati possibili in un sistema bloccato come il nostro dove non solo i giovani (se ancora giovani si è a 35 o a 40 anni) ma anche tutti gli altri “outsider”, donne in testa, fanno una fatica improba ad emergere.

4 risposte a “Esperienza o cambiamento?”

  1. carcamanno ha detto:

    dopo quello che ho visto ieri una speranza ce l’ho: l’organizzazione “young” con dentro dei giovani volenterosi e dai cognomi sconosciuti. Berlusconi, La Russa, Ligresti…
    E la cosa bella e’ che hanno parlato di etica. Ma come si fa a non essere ottimisti!

  2. antonio ha detto:

    Quando parli di crescita al caldo all’interno di una organizzazione hai perfettamente ragione.
    I ragazzi italiani sono considerati eterni bambini e non capaci di prendere delle posizioni di responsabilità neanche a 40 anni. Certo un cognome di rilievo consente di maturare molto prima e di sentirsi in grado di dare lezioni. Ceri giorni mi domando perchè sto ancora in Italia.

  3. antonio ha detto:

    Quando parli di crescita al caldo all’interno di una organizzazione hai perfettamente ragione.
    I ragazzi italiani sono considerati eterni bambini e non capaci di prendere delle posizioni di responsabilità neanche a 40 anni. Certo un cognome di rilievo consente di maturare molto prima e di sentirsi in grado di dare lezioni. Ceri giorni mi domando perchè sto ancora in Italia.

  4. tina ha detto:

    Non sempre proporre nomi nuovi e’ garanzia di innovazione. Ricambio forse, ma non sempre per il meglio. Nel caso del repubblicano McCain, poi, la mossa malandrina e’ evidente come e’ evidente il semplicismo politico della candidata alla vicepresidenza.
    http://www.youtube.com/watch?v=nokTjEdaUGg
    Questa sarebbe la persona adatta a ricoprire la seconda carica di stato? ma per favore…