28 Novembre 2008

Meglio tardi che mai

Diario

orologi dalì.jpgE’ stata una settimanaccia di lavoro e di pensieri: diciamo che, a guardarla da dentro una banca americana a Londra, l’evidenza della crisi appare in tutto lo splendore del cinemascope. 

Poi lunedì scorso è venuto fuori questo articolo di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica sul quale rimugino da cinque giorni cercando di capire dove volesse andare a parare questo giornalista che ho sempre seguito con grande rispetto come lettore e, a dirla tutta, che cosa ne pensassi io stesso.


In due parole D’Avanzo dice che non è così poi tanto vero che in Italia non ci sono giovani al potere: sono piuttosto le nuove leve del PD che o sono cooptate o sono inconcludenti e quindi invece di “lagnarsi” dovrebbero combattere per farsi dare primarie e preferenze e far fuori i ras del partito, ispirandosi in particolare ai tanti politici della Lega Nord che – pur essendo “il più ‘antico’ partito del Parlamento italiano” – è pieno zeppo di amministratori e parlamentari dai quarant’anni in giù. 

Devo dire che D’Avanzo non mi cita direttamente (i malcapitati sono invece Luca Sofri, Diego “Zoro” Bianchi e Mario Adinolfi), ma parla di quell'”uccidere il padre” che ci siamo dati come titolo dell’evento de iMille a Roma lo scorso luglio. Ora, dato che insieme ad Adinolfi e Gawronski, io sono l’unico non dirigente di partito che non ha avuto problemi ad andare a farsi triturare nella conta dei voti mi piacerebbe raccontare come la vedo io, questa storia del ricambio generazionale, soprattutto all’interno del PD. 
Il fatto che sono cinque giorni che ci penso la dice lunga sul fatto che le tesi di D’Avanzo un qualche impatto su di me devono averlo avuto. Penso anzi che all’osservatore esterno quello che dice D’Avanzo deve apparire certamente verosimile. Di fatto né io né Adinolfi, né Marco Simoni, Luca Sofri, Gawronski e outsider vari siamo riusciti sin qui ad ottenere un gran che di concreto, ed è anche vero che i nostri colleghi di partito che ricoprono incarichi istituzionali hanno tutti più o meno l’aria dei cooptati, anche perché con una legge elettorale così non è che uno debba vantare grandi meriti per ottenere un seggio in parlamento, se non un’aria di una certa affidabilità, lealtà e potenziale attitudine al vassallaggio. Certo, poi comunque vengono fuori i De Gregorio e i Villari che sono stati candidati in posizioni eleggibili quando proprio affidabilissimi non dovevano essere, ma evidentemente i nostri leader di partito preferiscono avere in parlamento persone inaffidabili sul piano dei comportamenti piuttosto che persone indipendenti sul piano delle idee. Ma questo si capisce perché da sempre per il potere costituito è molto più pericoloso uno che pensa di uno che ruba, e quindi vabbè. 
Detto questo, secondo me le cose come le vede D’Avanzo se possono sembrare vere e fondate alla casalinga di Voghera (o di Frattamaggiore) sono in realtà un pochino diverse per l’osservatore più attento – quale certamente D’Avanzo è. Innanzi tutto negare che viviamo in un paese gerontocratico vuol dire semplicemente negare l’evidenza. Si possono fare tutte le medie aritmetiche del mondo, poi alla fine in tivvù io vedo sempre Pippo Baudo e Raffaella Carrà come quando avevo cinque anni e la sinistra tutta occupata nella faida tra dalemiani e veltroniani che dura da quando ne avevo venticinque. Il punto è che in questo benedetto paese quando siamo in difficoltà guardiamo sempre a chi un determinato problema lo ha già risolto in passato (vedi Zavoli), nella convinzione che lo risolverà ancora e chi se ne importa se ogni volta questo vuol dire premere il tasto del replay e rinunciare a sperimentare soluzioni nuove per problemi che comunque sono nuovi (anche se sembrano antichi). Chi conta davvero, insomma, non è mai uno prodotto da un meccanismo che facilita il nuovo o quanto meno lo mette in grado di competere con il vecchio. Se così non fosse non avremmo un primo ministro di settantadue anni e uno che lo ha sfidato – perdendo – alla stessa età in cui Tony Blair e Bill Clinton si sono ritirati dopo lunghissime e brillanti carriere. 
Un’altra cosa sulla quale non sono d’accordo è stupirsi della quantità di giovani emersi nella Lega Nord, nonostante il fatto che la Lega sia il partito “più ‘antico’ del Parlamento italiano”. Certo, formalmente sarà così ed è anche abbastanza brillante come battuta, considerato che PD e PDL sono formalmente creazioni recenti. La verità è che PCI e DC sono ancora molto presenti nella politica italiana e la loro tecnica politica la fa assolutamente da padrona nel PD, basti vedere da dove vengono quelli che decidono le cose in casa democratica e questo è certamente uno dei problemi coi quali ci si deve confrontare. Quando non mi è chiara qualche dinamica nel PD ricorro volentieri all’interpretazione di Marco Simoni, un po’ facendo affidamento sul suo sicuro talento e un po’ (parecchio) sulla sua esperienza di ex figiciotto che tante ne ha viste e capisce quel linguaggio molto meglio di me che non ho tirato abbastanza ciclostilati e non ho arrostito abbastanza salamelle. 
Così il tasso di innovazione che si vede nei vari partiti mi pare molto meno stupefacente di quello che pare a D’Avanzo e che il PD sia saldamente in coda nel numero di giovani emersi mi pare completamente in linea con la storia e la cultura del ventesimo secolo di cui – nonostante tutto – il PD è purtroppo ancora espressione diretta. Basti pensare che Fassino firmerà tra poco a nome dei DS il manifesto del PSE (!) e che se telefonate alle sedi del PD a Roma i centralinisti vi risponderanno “DS” o “Democrazia è Libertà” a seconda del numero che componete. E se non ci credete ancora, cercate di farvi invitare ad una riunione tra i tre tesorieri per la gestione del patrimonio (quello del PD, quello dei DS e quello della Margherita) e poi mi dite. In realtà il PD sta molto, molto di più nella testa dei militanti che nella volontà politica di chi, a tutti i livelli dalla periferia a Roma, lo guida. 
Ma veniamo al punto: noi, qua, stiamo soltanto a lagnarci come dice D’Avanzo? Io non credo proprio che sia così, e credo che la qualità del lavoro di tanta gente del tipo di quella nominata da D’Avanzo (non cito iMille per evidenti ragioni di conflitto d’interesse, ma pensiamo al Circolo Obama, a Primarie Sempre, ad Adinolfi col quale tante cose mi dividono ma tante di più mi uniscono: non chiedetemi nemmeno chi butterei giù dalla torre tra Adinolfi e D’Alema, per dire…) sia – considerato il terreno delle operazioni – assolutamente straordinario. Parliamoci chiaro: la posizione di chi ha deciso di stare nel PD con l’intento genuino di rinnovare partito e paese senza attaccarsi ad un capobastone in modo organico è particolarmente difficile. 
Non ci sono fondi, non ci sono mezzi, niente cariche o responsabilità, ogni accesso ai mezzi di comunicazione di massa è escluso, ci si tiene politicamente in vita praticamente soltanto grazie a Internet. Ricordo bene che quando fu formato il governo Prodi fu concesso un sottosegretariato agli esteri a Bobo Craxi, quale “diritto di tribuna”. Non mi risulta che tale diritto sia stato riconosciuto, nemmeno nel governo ombra che pure di ministri e sottosegretari è ricchissimo, né a Mario Adinolfi che è andato a prendersi i voti casa per casa né a Irene Tinagli a cui si sono dati posti in tutte le assise possibili, salvo buttarla in pasto ai giornali e poi non candidarla quando i seggi in ballo erano quelli “pesanti” di Montecitorio e l’onnipotente partito toscano aveva ben altro da fare che assegnare un seggio a una giovanotta di 34 anni domiciliata a Pittsburgh. 
Che fare, dunque? Io ho sul mio blog una colonia di vivacissimi e coloratissimi critici che mi invitano di continuo – con livelli di entusiasmo che vanno dal sostegno affettuoso all’insulto pesante – a fondare partiti, ad andare con Di Pietro o comunque ad eseguire gesti dimostrativi di qualche genere. In tutta franchezza penso che questa sia la cosa più sbagliata da fare. Alla fine penso che alla politica si risponda con la fatica della politica, e alla cattiva politica con la buona politica. D’Avanzo parla chiaramente di conflitto e sia Luca Sofri che Mario Adinolfi lo riprendono sul tema. Io credo che si debba intendersi sui termini e distinguere la forma dalla sostanza. Qualsiasi la forma, la sostanza è che il conflitto è evidentemente già aperto, le differenze su cosa debba essere il partito, su come debba essere organizzato, su quali siano le priorità per questo paese sono evidenti. 
La lettera con la quale Irene Tinagli ha lasciato la Direzione Nazionale descrive benissimo la frattura tra chi lavora perché il partito della essere concretamente e visibilmente “moderno, laico, democratico e di sinistra” e chi al di là di alcune dichiarazioni propagandistiche lavora per mantenere in vita la politica del secolo scorso. “Uccidere il padre” non significa certamente passare alle vie di fatto e procedere con spargimenti di sangue. Il fatto che Veltroni sia stato ospite molto gradito al nostro convegno di luglio con il medesimo tema significava proprio questo, che gli organizzatori credevano (allora come adesso) che il rinnovamento passasse da una discontinuità non solo anagrafica tra una generazione e quella successiva cosicché la generazione dei figli potesse costruire sull’esperienza dei padri ma in libertà, senza vincoli di mandato. Che ai padri non piaccia è naturale, che i figli – alcuni figli – ci provino, pure. Che se ne parli civilmente in famiglia non significa che si stemperino le aspirazioni e il progetto di sostituire una classe dirigente che a me pare ormai completamente decotta, anacronistica e superata. 
Esistono figli che ereditano lo studio professionale di papà e figli che partono per il mondo in cerca del proprio destino. La strada dei secondi è spesso più lunga e più faticosa, il fatto che per un certo periodo questi ultimi sembrino assenti, più deboli e più lontani non vuol dire che non ritorneranno.

13 risposte a “Meglio tardi che mai”

  1. Cla ha detto:

    Condivido ciò che scrivi; penso che D’Avanzo, viste le posizioni del suo giornale quasi sempre in linea con i vertici del PD, abbia dimostrato un certa dose di malafede nell’articolo. Il paragone con Obama, in Italia non regge lo sappiamo tutti benissimo e penso che ne sia conscio anche lui.

  2. wpro ha detto:

    Qualcuno mi ha detto che non si tratta di crisi ma di guerra economica. Il fatto che alcune banche americane siano fallite ed altre no (non per fatti esclusivamente di mercato, come sappiamo, ma per interventi decisi dalla stessa politica americana) lascia pensare che a qualcuno i depositi siano stati salvaguardati ed ad altri no. Se uno perde il 100% del valore dei propri titoli e depositi gli resta ancora qualcosa e per qualcuno “molto”. Se una banca fallisce il deposito deve essere moltiplicato per 0 ed anche in caso di cifre molto considerevoli il risultato è comunque 0. Se questo delirio è vero ce da chiedersi se la crisi è stata davvero “inaspettata” e naturalmente chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso.
    wpro

  3. Riccardo ha detto:

    Concordo su tutto. Il grande problema resta il tempo, non credo possiamo ancora permetterci di attendere all’infinito.

  4. Enzo Lodesani ha detto:

    Intervengo di rado nel tuo blog ma questo post mi stimola una riflessione.
    Scrivi:
    “D’Avanzo parla chiaramente di conflitto e sia Luca Sofri che Mario Adinolfi lo riprendono sul tema. Io credo che si debba intendersi sui termini e distinguere la forma dalla sostanza. Qualsiasi la forma, la sostanza è che il conflitto è evidentemente già aperto, le differenze su cosa debba essere il partito, su come debba essere organizzato, su quali siano le priorità per questo paese sono evidenti.”
    Dunque il “conflitto” è aperto dentro il PD. Se ho capito bene il tuo pensiero, da una parte stanno i “perpetui” (evientemente portatori di “cattiva politica”) dall’altra “i figli che partono per il mondo” che lottano con la “buona politica”. Questi figli ci sono e combattono con la le armi della buona politica nel tentativo (metaforico s’intende) di uccidere il padre e crare finalmente un partito “moderno, laico, democratico e di sinistra” . Ma ti domando dov’è che si svolge questo conflitto? Dove sono i combattenti? I circoli territoriali? I mille? Il circolo Obama? Primarier sempre? Basta navigare un po’ in questi luoghi per vedere che lì non ci sono combattenti, che non sono i luoghi in cui si organizza il conflitto, in cui si organizza la scalata al partito per renderlo, appunto, moderno.
    Il dibattito pubblico dentro al PD è quello che vede una guerra fra le “correnti” organizzate dai capibastone e non c’è alcuna traccia di quelli che volevano “uccidere il padre”. Forse che nelle assemblee (ai vari livelli) è stata organizzata una lotta per contestare prassi, politiche in pieno stile partiti prima repubblica? Non mi risulta, ma forse io non sono informato. D’altro canto aumentano i casi di quelli che abbandonano. Non c’è solo Irene Tinagli, ci sono quelli che non hanno nome e che vedono l’impossibilità di emendare questo PD e farlo diventare “moderno, laico, democratico e di sinistra”. Ma per tornare all’articolo di D’Avanzo, come la ”casalinga di Voghera”, anch’io credo che le cose stiano proprio così.
    Quello che manca dentro il PD è un “conflitto” portato avanti da uomini e donne innocenti, cioè persone che non siano permeate dalla cultura politica di cui sono portatori gli apparati che hanno dato vita al PD. Anche nei luoghi in cui era pensabile aspettarsi un vento fresco di rinnovamento –come il Circolo Obama- si sviluppano le logiche di quella culrtura politica. Si può uccidere il padre se veramente i figli partono per il mondo, diversamente i figli saranno tarpati nelle loro ambizioni di emancipazione e fuor di metafora, i meccanismi che sono stati creati (statuto e prassi) sono dei terribili strumenti di morte per i figli che non stanno in riga.

  5. Leo Perutz ha detto:

    Sig. Scalfa,
    saro´forse una casalinga, sebbene io non abiti a Voghera, ma alcune cose che DÁvanzo afferma ed argomenta mi risultano abbastanza lucide di analisi mentre altre che lei elenca mi appaiono “vaghe”. Come lei sapra´ bene noi casalinghe, a differenza di voi HR manager, abbiamo uno spiccato senso per la statistica, ce la insegnano al corso di taglio e cucito e la forma mentis della quale siamo purtroppo dotate ci induce sempre a pensare che le statistiche si controbattono o interpretando diversamente gli stessi numeri o producendone altri dissimili e non ricorrendo a quel senso comune, di trilussiana memoria, al quale lei fa ricorso. Strano che una casalinga lo debba ricordare ad un HR manager, non trova?
    Va bene (forse) per i fondi, va bene (forse) per i mezzi ma sinceramente mi viene da arrossire quando debbo leggere la “bugia bianca” che iMille non disporrebbero di cariche, responsabilita´e accesso ai media. Evidentemente la poltrona che Sofri Luca occupa per chiamata diretta all´interno della Direzione Nazionale gli deve essere stata concessa per altri meriti dei quali noi casalinghe non riusciamo a comprendere la natura. E che dire poi degli articoli a pioggia ai quali la brava Concita procura spazio sull´organo di partito? Per non parlare dei siparietti che Scalfa stesso spunta al Crozza Show settimanalmente.
    Detto questo parliamo di D´Avanzo e di cosa abbia in realta´detto e che noi casalinghe abbiamo compreso cosi´bene.
    In due parole, d´Avanzo dice:
    Il problema generazionale pare essere una prerogativa del PD. All´interno di questo partito si agita una componente variegata che possiede pero´un denominatore comune, quello di ritenere che l´azione politica si possa completamente espletare in termini “elettronici” (militanza, partecipazione, diffusione di idee, organizzazione di eventi, etc.) Ebbene, dice D´Avanzo, se andiamo a mettere sotto la lente questa dimensione elettronica vediamo come la leadership appartenga a delle personalita´ che non hanno quelle competenze spiccate o perlomeno non ricalcano quei modelli di forte “elitismo” che i leader del movimento si auspichino emergano. Il sospetto – dice d´Avanzo – e´che quindi il discorso generazionale non sia vissuto come una reale emergenza paese dai giovani che appoggiano questi movimenti ma come un pretesto legittimo per proclamare un “fatece largo che arrivamo noi” , molto piu´prosaico.
    Sara´sempre il punto di vista della casalinga di Voghera ma … no, il conflitto da quaggiu´non ci risulta affatto aperto. Sara´ la nostra sensibilita´femminile, le nostre debolezze di madri ma noi casalinghe non pensiamo affatto che il figlio per trovare la sua strada verso il successo, debba necessariamente uccidere il padre … ma andare via da casa, rinunciare al piatto caldo, al tetto sicuro, all´automobile´e forse anche al cognome imbarazzante ma di garanzia che il padre gli ha imposto, certamente si!

  6. Filippo l'altro ha detto:

    Ivan, faccio un apparizione sul tuo blog dopo mesi di assenza. Su! Forssssa e coraggio!
    Tu , imille, ecc.: Piccona oggi che piccona domani (no Cossiga non c’entra) qualcosa (ac)cadrà prima o poi.
    Il rischio comunque é sempre il gattopardo…..

  7. Filippo l'altro ha detto:

    Ivan, faccio un apparizione sul tuo blog dopo mesi di assenza. Su! Forssssa e coraggio!
    Tu , imille, ecc.: Piccona oggi che piccona domani (no Cossiga non c’entra) qualcosa (ac)cadrà prima o poi.
    Il rischio comunque é sempre il gattopardo…..

  8. Filippo l'altro ha detto:

    Ivan, faccio un apparizione sul tuo blog dopo mesi di assenza. Su! Forssssa e coraggio!
    Tu , imille, ecc.: Piccona oggi che piccona domani (no Cossiga non c’entra) qualcosa (ac)cadrà prima o poi.
    Il rischio comunque é sempre il gattopardo…..

  9. Anellidifumo ha detto:

    Ivan, non mi è molto chiaro cosa intendi dire con questo post. Forse dovrei rileggerlo, ma se non era chiaro la prima volta mi sa che non lo sarà manco la seconda. In generale, a me l’articolo di D’Avanzo è molto piaciuto sebbene anche io, come te, non condivida un suo assunto, cioè che non esista una questione gerontocratica in Italia. Ma al di là di questo non piccolo particolare, mi pare molto corretta l’analisi che Repubblica fa sul fatto che proprio nel PD esista invece una serissima questione di giovani a cui mancano i denti, di personaggi che vorrebbero “uccidere il padre” con la benedizione del padre stesso. Oppure che pretendono di parlare di meritocrazia e di lotta al nepotismo avendo come relatore il figlio di Adriano Sofri. So che su questo (e altro) non siamo d’accordo tu, iMille e io, ma almeno mi godo la compagnia di D’Avanzo e della maggioranza dei lettori di Repubblica.
    Ah, un modesto consiglio: se davvero vuoi fare il politico, oppure anche solo il personaggio televisivo, non conviene usare questi luoghi comuni offensivi tipo “la casalinga di Voghera”. Le casalinghe sono alcune milioni di elettrici e di videoascoltatrici e inimicarsele è stupido. E se non lo vuoi fare per rispetto di quei milioni di persone, fallo almeno per rispettare lo stile del tuo italiano, che proprio non si merita di includere luoghi comuni triti e ritriti, insostenibili alla lettura.

  10. piergiorgio ha detto:

    Bè, bè, bè…è vero l’articolo di D’Avanzo nella prima parte cerca di gettare fumo negli occhi con “i dati” buttati là in un confuso incalzare per convincere e preparare il terreno all’arringa della seconda parte senza troppo lasciar riflettere, è vero è pieno di contraddizioni ( per es.=non c’è la gerontocrazia ,ma subito dopo lui stesso lamenta i giovani incompetenti cooptati – dai vecchi – solo per la fedeltà che , ovviamente, è appunto un’ altra faccia di quel problema!), è vero contiene analisi semplificate e illusorie (paragone con Obama= in Italia anche un Obama mai potrebbe riuscire ad avere, pur nelle debite proporzioni, i medesimi finanziamenti e il medesimo accesso ai media appunto perchè tutta la struttura del paese è diversa e precisamente in italia è una struttura oligarchico-feudale e non tendenzialmente concorrenziale come gli USA)…riconosciuto tutto ciò, c’è nella sua provocazione un pizzico di verità, secondo me.
    Ovviamente il problema gerontocratico-feudale (chiamandolo così diventa più chiaro che non è solo questione di età anagrafica, ma di modalità di organizzaizone e trasmissione del potere) riguarda anche gli altri, ma siccome intanto gli altri vincono le elezioni è giusto occuparsi dei guai di casa nostra: e infatti, come al solito, “gli altri” per i ben noti motivi possono vincere lo stesso, la sinistra invece no, non vince se non si dimostra all’altezza delle sue promesse.
    E allora a noi.
    Bè temo che un pò D’Avanzo abbia ragione nelle critiche che rivolge ai giovani leoni-blogger del centrosinistra. Premetto che ho grande stima nonchè vera simpatia per il padrone di casa di questo blog; gli altri li conosco meno, ma pure spesso li ho trovati, dagli scritti, persone brillanti.
    Tuttavia D’Avanzo vuole riferirsi non alle capacità in generale ma proprio alle specifiche competenze politiche e capacità di organizzazione e leadership politica. E qui forse un pò di ragione, senza offesa, ce l’ha.
    Ho il sospetto che la giusta voglia di emanciparsi dalle vecchie logiche di partito, la paura di venire “omologati “dal “sistema” abbia portato forse un pò a buttar via con l’acqua sporca anche il bambino e cioè a snobbare un pò la necessità di una crescita politica all’interno di un’organizzazione, la necessità di un’esperienza di aggregazione di interessi e quindi di consenso all’interno di un sistema complesso come un partito. Il fatto è che il consenso politico, vuoi all’interno di un partito, vuoi sul diretto terreno elettorale, è cosa molto diversa dal consenso di opinione che voi ben sapete raccogliere usando gli (scarsi ahimé) media disponibili. Insomma forse manca un pò di “professionismo” (orribile dictu! hehehe) della politica.
    In questo senso va letto D’Avanzo: forse siete più abili analisti e opinionleaders che veri politici, perlomeno all’altezza delle vostre ambizioni. Ci sono molti abili organizzatori di consenso mediatico (non so, per es. i giornalisti scafati, a sinistra per es. Santoro) che tuttavia non sarebbero in grado di mettere in piedi una vera organizzazione politica e infatti non ci hanno mai provato. Forse anche voi siete destinati a rimanere in quetsa dimensione?
    Per es. tu Ivan sei stato bravissimo e coraggioso nel lanciarti a suo tempo nell’avventura delle primarie per il leader del centrosinistra – certo- e tuttavia converrai con me che anche in quel caso, se non altro per la natura stessa delle primarie che “dovevano” incoronare Prodi (come le ultime “dovevano” incoronare Veltroni), oltre che per svariati altri motivi, non si può parlare della vera sottoposizione ad un scontro elettorale nel vero senso della parola: è stata più che altro una bella avventura mediatica anche quella; giusta, giustissima, per portare alla ribalta certi temi ecc., ma pur sempre appunto un’esperienza mediatica.
    Effetto (e spia segnalatrice) di questa (sospettata) relativa incapacità di organizzazione e progettualità propriamente politica del giro dei “giovani leoni” del PD potrebbe essere appunto la mancanza di una chiara (almeno ai non insiders come me) strategia di conflitto al “potere costituito”. Tu dici: il conflitto è già in atto. Può darsi. E singoli atti, singole scaramucce ci sono si, e si vedono. Ma il punto della critica di D’Avanzo credo sia appunto questo: che questi singoli atti, queste piccoli “interventi ” di “buona politica” come dici tu, in realtà non paiono tradursi in, e ricondursi a un piano strategico, appunto un progetto politico che sappia dove andare a parare. In questo senso è emblematico e chiarissimo il richiamo di D Avanzo all’episodio di Luca Sofri che va al “summit” dei “capi” per far che? una lamentela – sacrosanta- una lucida analisi critica – ok- ma…senza sapere, per sua stessa ammissione!, che fare e come.
    La differenza fra i conati e un vero progetto sta nel sapere e volere le conseguenze del successo o dell’insuccesso della propria azione. Quando tanti anni fa Veltroni e D Alema fecero le scarpe ai loro “vecchi” tutto sommato erano abbastanza giovani. Ma sapevano cosa volevano, cosa rischiavano, cosa li aspettava DOPO e l’hanno fatto.
    Voi giovani leoni di oggi invece forse non vi sentite ancora pronti per certi passi, e in ogni caso non vi organizzate o provate ad organizzarvi per realizzarli (il che è la stessa cosa): cioè siete pronti a governare un PD? e come? e come organizzereste il “nuovo” potere? come “garantireste” nel trapasso tizio e caio? sapete come aggregare interessi intorno a questo fine in modo da raggiungere i consensi interni necessari? avete la forza, il tempo, le energie per farlo? e sapreste perdere subendone le conseguenze? avreste una exit strategy? ecc. ecc.
    L’impressione generale, insomma, è che forse abbiate ancora bisogno di appoggiarvi alla tutela dei leader di turno, sperando in una leadership illuminata che piano piano aiuti lo svecchiamento del partito. Insomma è come se (questo vorrebbe dire DAvanzo e forse un pò ha ragione) vi metteste nella posizione di un intelligente ministro del tardo settecento al servizio di un sovrano dell’assolutismo illuminato.
    Agginugo solo una cosa: il tempo è importante, ma guai a ridurre tutto ad una questione di massimalismo versus gradualismo (“la buona politica”). Perchè? Ma perchè sarebbe un argomento troppo facile (e auto consolatorio e ingannatorio) per non affrontare i nodi. Quindi sia chiaro tutto quello che ho accennato sopra non significa affatto, nè dovrebbe affatto tradursi in uno stolto e rapido redde rationem, non si tratta affatto di fare gesti clamorosi, rotture immediate ecc. (chè anzi qui si rientrerebbe sempre nella logica mediatica). No, il piano, il progetto di “conflitto” può essere pure a lungo termine, o a tempo indeterminato (pronto poi a cogliere le occasioni che si dovessero presentare strada facendo), dunque graduale, lento, progressivo. Il problema è di Qualità: cioè la differenza fra conati, critiche, lamentele, tentativi di ottenere appoggiandosi al potere costituito, ed una vera strategia organizzata di costruzione di un potere alternativo basata sulla consapevolezza dei fini, dei mezzi necessari, delle conseguenze, delle cose da fare “dopo” e sulla determinazione costante a volere tutto ciò.

  11. Antonio ha detto:

    Il fatto è che il consenso politico, vuoi all’interno di un partito, vuoi sul diretto terreno elettorale, è cosa molto diversa dal consenso di opinione che voi ben sapete raccogliere usando gli (scarsi ahimé) media disponibili. Insomma forse manca un pò di “professionismo” (orribile dictu! hehehe) della politica.
    In questo senso va letto D’Avanzo: forse siete più abili analisti e opinionleaders che veri politici, perlomeno all’altezza delle vostre ambizioni. Ci sono molti abili organizzatori di consenso mediatico (non so, per es. i giornalisti scafati, a sinistra per es. Santoro) che tuttavia non sarebbero in grado di mettere in piedi una vera organizzazione politica e infatti non ci hanno mai provato. Forse anche voi siete destinati a rimanere in quetsa dimensione?

    Un applauso commosso a piergiorgio.

  12. giannino stoppani ha detto:

    Quoto Piergiorgio per sottolineare una ricostruzione errata nei fatti:
    Per es. tu Ivan sei stato bravissimo e coraggioso nel lanciarti a suo tempo nell’avventura delle primarie per il leader del centrosinistra – certo – e tuttavia converrai con me che anche in quel caso, se non altro per la natura stessa delle primarie che “dovevano” incoronare Prodi (come le ultime “dovevano” incoronare Veltroni), oltre che per svariati altri motivi, non si può parlare della vera sottoposizione ad un scontro elettorale nel vero senso della parola
    Se non mi sbaglio Scalfarotto ha partecipato anche alle elezioni per la Costituente del PD (eletto) e per la Camera dei Deputati (non eletto). La differenza con le primarie del 2005 sta nel fatto che queste ultime due elezioni sono state fatte a liste bloccate per cui Scalfarotto e’ stato eletto quando Veltroni voleva che fosse eletto e non eletto quando Veltroni non voleva che fosse eletto. Scalfarotto ha in pratica accettato l’ultima sfida elettorale vera che si sia avuta in Italia, dopo la quale destra e sinistra si sono ben guardate dall’aprire la scelta degli eletti. Ricordiamo che nei due anni di governo Prodi la legge elettorale non e’ stata riformata e che siamo ancora in attesa dei referendum elettorali, rimandati causa elezioni anticipate.
    Quando Veltroni e D’Alema facevano le scarpe ai loro “vecchi” avevano a che fare con persone che si facevano ancora degli scrupoli circa il significato della parola democrazia ed erano molto meno abili dei nostri attuali a blindare il loro potere. Come al solito qui ci si dimentica che il vero problema italiano e’ quello della contendibilita’ della leadership che in Italia e’ pura teoria. Illudersi che Scalfarotto e soci possano far fuori questa gente dalla sera alla mattina e’ pura teoria.
    Se invece di spaccargli le balle in modo cosi’ scientifico dessimo loro una mano e un sostegno (mi chiedo quanti degli Scalfarotto-critics passino la stessa quantita’ di tempo che dedicano a Scalfarotto a fare il contropelo a D’Alema e Rutelli) renderemmo loro le cose un pochino piu’ semplici, credo.

  13. piergiorgio ha detto:

    Ringrazio antonio.
    E ringrazio anche giannino per l’attenzione (sono così prolisso che pensavo non mi leggesse nessuno: è che io butto giù un pò tutto quello che mi viene, e mi ripeto perchè temo sempre di essere frainteso! 🙂
    In verità non si trattava di una “ricostruzione dei fatti” , ma solo della citazione, a mò di esempio, di un singolo fatto (peraltro significativo: io scalfarotto l’ho conosciuto in quella occasione e come me credo tanti).
    Gli altri fatti citati da te (posso usare il tu?) giannino, però mi paiono confermare un pò l’assunto: appunto! non sono stati momenti di confronto effettivo con l’elettorato (gli iscritti o simpattizzanti del partito in un caso, l’elettorato generale nell’altro) bensì candidature sotto il riparo della cooptazione. Dopodichè giustamente tu osservi che la colpa delle liste bloccate è dei “vecchi” partiti: certo, non è colpa di scalfarotto (et alteri), e loro potendo cambiarebbero il sistema, ma il punto che interessava è che, di fatto, scalfarotto ecc. non hanno avuto occasione di misurarsi con lotte “vere” per il consenso.
    Sul fatto che al tempo della prima repubblica ci fossero meno gerontocrazia e feudalesimo, nonchè leader “meno abili a blindare il loro potere” …bè…lassamo stà
    Cmq io non mi iscrivo affatto negli scalfarotto-critics, per carità, anzi. Io lo supporto e spero, semmai, di poterlo incoraggiare.
    Però qui il thread chiedeva di commentare l’articolo di D’avanzo e lo stesso scalfarotto dice di averci pensato su per giorni: dunque qualcosa su cui interrogarsi c’era.
    So bene che la situazione italiana è piena di ostacoli: l’ho ricordato anch’io quando dicevo che l’analisi di D’Avanzo nella prima parte non convince affatto (paragone obama ecc.) Siamo d’accordo.
    E tuttavia nella seconda parte si avverte qualcosa di centrato: adesso non starò a ripetermi.
    In ogni modo pur sapendo bene delle difficoltà italiche il punto è: o diamo per scontato che esse siano tali per cui il potere è incontendibile in maniera assoluta: e allora la conclusione sarebbe la rassegnazione oppure una linea di condotta basata su incursioni mediatiche “all’esterno” e la ricerca di una sponda paterna di uno o più leader “illuminati” all’interno nella convinzione di non poter aggregare consensi con una iniziativa attiva propria= e infatti è quello che a D’Avanzo (e un pò anche a me) pare facciano i leoni-blogger del pd (peraltro rispettabilmente, solo che è un altra cosa da quella che occorrerebbe per gli obbiettivi che propugnano e che loro stessi dicono di proporsi).
    Oppure partiamo dal pensiero “positivo” che, nonostante le gravi difficoltà, non c’è una preclusione assoluta: e allora magari si perde (accettandone le conseguenze), ma si deve pensare e realizzare una linea di condotta diversa.
    Il vantaggio della seconda ipotesi, per i “giovani leoni” è appunto di non indurre, come la prima, a farsi un alibi delle difficoltà per non elaborare (e rischiare) una iniziativa attiva propria.
    Dal punto di vista di un osservatore o di un’ analista esterno, poi, sposare la seconda ipotesi ha il vantaggio della pietra di paragone: serve a saggiare chi appare avere le capacità politiche e chi no. Ed è quello che ha voluto fare D’Avanzo, magari in maniera un pò tranchant: ovvio che poi le cose sono (quasi)sempre grigie, non bianche o nere.
    Il fatto è che supporre e convincersi che un obbiettivo è raggiungibile sul serio, a volte spaventa: se lo è ,infatti, bisogna volerlo davvero agguantare.
    Ora, siamo proprio sicuri che in italia l’incontendibilità sia assoluta, totale, senza possibilità?