La Carovana è stata un successone. Duecentocinquanta persone, forse di più, convenute – senza grande battage pubblicitario – a riaffermare che l’idea del PD è viva e vegeta a dispetto del peggio del peggio a cui siamo stati costretti ad assistere in questi giorni. E se l’idea è viva e vegeta è perché appartiene a milioni di militanti ed elettori che sono una parte bella, sana ed entusiasta del nostro paese. Ci tornerò presto su con qualche riflessione più strutturata. Per ora vi lascio ai pensieri di Pippo Civati e al testo del mio intervento introduttivo che trovate cliccando sul “continua…” qui sotto.
“Noi, che al PD abbiamo sempre creduto, pensiamo però che il partito nuovo sia un viaggio che deve ancora in buona parte cominciare.” La carovana è nata probabilmente da questa frase, da questa riflessione. Un viaggio che deve ancora cominciare, dei viaggiatori pronti a partire, e una carovana che decide di mettersi in marcia.
Nei giorni che hanno preceduto questo incontro ci sono state alcune altre frasi famose che hanno continuato a tornarmi in mente. Quella di John Kennedy: «Non chiedete cosa possa fare la nazione per voi, chiedete cosa potete fare voi per la nazione»; e poi quella famosissima di Gandhi: «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo», e poi la più famosa di tutte: «Non è più tempo di lamentarsi del Pd, dei vertici romani e della distanza del nostro partito dalla vita delle persone. E’ il tempo di accorciarla, questa distanza, e di darsi da fare, al di là delle formule e delle burocrazie», e avrete certamente già riconosciuto il mio amico Pippo Civati.
Il punto è che nonostante le frustrazioni accumulate in questi ultimi mesi le ragioni per il mio, per il nostro impegno nel Partito Democratico mi sembrano essere ancora tutte lì a distanza di quasi due anni dall’annuncio della sua fondazione. Se avessimo una macchina del tempo con la quale tornare ad ottobre 2007 e rivedessimo quei tre milioni di persone in fila per votare alle elezioni dell’Assemblea Costituente del PD e ci chiedessimo cosa ci fanno lì (perché è questo che ci chiederemmo probabilmente con gli occhi di oggi) troveremmo, a ben pensarci, ne sono certo, delle risposte.
Il Partito Democratico è stata la prima idea rivolta al futuro che la politica italiana, sicuramente quella di centro-sinistra, abbia partorito negli ultimi cinquant’anni. Si può discutere cosa abbia portato i gruppi dirigenti di DS e Margherita a stabilire la fusione, se una genuina volontà di cambiamento o una sortita tattica davanti alla crisi del governo Prodi e dell’alleanza di centro-sinistra, ma resta il fatto che l’idea è stata quella di trovare un mezzo, passatemi la parola, rivoluzionario per uscire da una crisi oggettiva. Una crisi di rappresentanza ed anche una crisi operativa.
Il mondo negli ultimi venti anni ha cambiato faccia improvvisamente. Pensate a quanto sia diventato più piccolo, a quanto le culture si siano mescolate, e con esse le razze, le religioni e quanti nodi questo mischiarsi abbia procurato: in un mondo così piccolo, una preghiera musulmana davanti al Duomo di Milano è una provocazione o solo una preghiera? Pensate alla crisi degli stati nazionali davanti a quei problemi che tagliano le frontiere come il burro: siano essi la cura e la sopravvivenza del pianeta o la grande crisi economica che stiamo vivendo; pensate alla società: ai nuovi modi di fare famiglia, alla crescente consapevolezza che se non diamo fondo a tutto il talento femminile non potremo mai davvero farcela; pensate all’idea del tempo, rivoluzionata dalla tecnologia che consente che tutta una serie di gesti quotidiani – a casa e al lavoro – avvengano in tempo reale. La politica come l’abbiamo conosciuta nel ventesimo secolo non era più in grado di dare risposte a queste emergenze e l’impossibilità di legiferare su tutta una serie di temi ne costituiva l’evidenza. Prendo un caso su tutti, che come molti sanno mi è caro, che è quello delle famiglie di fatto, il classico esempio di una politica incapace di regolamentare un fenomeno già esistente in natura. E penso anche a quanta strada abbiano ancora le donne da fare in questo paese, ma anche in questo partito, prima di raggiungere la piena parità, la piena dignità, il pieno rispetto ed essere pienamente valorizzate e difese. E quando la politica abdica al proprio ruolo, la società non può mica attendere, la società procede comunque e la politica, al massimo può seguire. Ma una politica che abdica al proprio ruolo di guidare la società è una politica sconfitta, sconfitta per definizione.
Grandi speranze, dunque. E grandi aspettative, con la nascita del PD. Tre milioni di persone in fila, la sensazione di un paese che può finalmente rimettersi in marcia, la sensazione di essere come gli altri europei, di avere anche noi, per la prima volta una politica “normale”. Eppure qualcosa non ha funzionato: lo strumento che doveva rivoluzionare la politica italiano si è clamorosamente inceppato. Il partito aperto che doveva portare insieme i due vecchi partiti e coinvolgere la parte più moderna e creativa della società italiana non è di fatto mai nato. La sconfitta elettorale in aprile ha fatto molto, vero. Ma posso testimoniare personalmente che il fatto storico della sconfitta è stata solo una, e non la principale, delle cause che ha fermato la nascita non solo formale del PD.
Lo testimonio come componente della commissione Statuto del Partito, la commissione chiamata a scrivere le regole fondamentali del nuovo soggetto. Ebbene, durante i lavori di quella commissione io ho potuto vedere benissimo i prodromi di quella che oggi è la crisi nella quale versiamo. Il partito inclusivo, aperto al paese, è stato sabotato già durante la scrittura dello Statuto, dove sono state introdotte una serie di norme che limitavano di fatto la contendibilità della leadership e impedivano, per esempio, l’emersione – come accade in altri paesi – di nuove personalità dai ranghi del partito o dalla società civile.
In realtà la dichiarata intenzione di sciogliere i due partiti, di sintetizzarne le culture e di aprire il prodotto riveniente dalla fusione al Paese non è mai stata seriamente messa in opera, dal principio, dalla gran parte dei gruppi dirigenti del partito, molto restii a rinunciare alle proprie identità di provenienza: fossero partiti, correnti, o gruppi di potere. Nessun “cacicco”, nessun “capobastone”, come si dice si è spostato di un millimetro dalla sua posizione, come riconoscono oggi dirigenti, anche di vertice, del Partito.
Siamo quindi ancora oggi privi di un’identità vera, incapaci di rispondere davvero alla prima domanda che ci si dovrebbe porre e che ci viene posta che è: “Ma noi democratici, chi siamo?”. Non lo sappiamo ancora, di fatto le vecchie appartenenze sono ancora tutte là, con le loro logiche di clan e le loro posizioni dogmatiche.
Le posizioni dogmatiche sono quelle che alla fine ci impediscono di prendere posizione su qualsiasi tema controverso: dal testamento biologico alla collocazione in Europa, piuttosto che discutere anche aspramente all’interno per determinare alla fine la posizione del partito – perché siamo un partito e dovremmo avere una posizione – si preferisce (o si è costretti a) non decidere. E allora la domanda diventa: se un partito non è in grado di dettare un’agenda per il paese e di rispondere alla domande fondamentali del proprio tempo, per quale motivo gli elettori dovrebbero mai sostenerlo votandolo?
Questa difficoltà a prendere posizione ci rende anche largamente incomprensibili all’opinione pubblica. Per poter non scontentare mai nessuno il nostro modo di comunicare deve necessariamente farsi sottile, bizantino, involuto, equivoco. E’ la logica del “ma anche”: noi siamo col testamento biologico, ma anche con la difesa della vita; con le coppie di fatto, ma anche con la famiglia tradizionale; noi stiamo col partito ma anche con la responsabilità istituzionale dei sindaci del PD eletti dal popolo; noi stiamo col PSE ma anche no.
Cosicché alla fine siamo spesso presi in mezzo tra i messaggi, semplici al limite del semplicismo, di Berlusconi e di Di Pietro. Sulla giustizia siamo presi in mezzo tra chi vuole la separazione delle carriere e chi no con la conseguenza di appiattirci di volta in volta o sull’uno o sull’altro. E non si ha mai la capacità di dire che se si volesse seriamente parlare di giustizia in Italia, ben altre sarebbero le emergenze: processi interminabili, carenza di organici e di risorse, carceri che scoppiano.
E poi, l’assenza di un’identità lascia intatte le logiche di clan. Diciamoci la verità: è inaudito, inaudito, che un sindaco registri i colloqui con il segretario del suo partito. E’ inaudito che gli Onorevoli Fassino e Mantini facciano rissa in parlamento – perché Mantini dice che il PD paga i DS per l’affitto delle sezioni – però è pure difficile da capire perché i DS e la Margherita abbiano ancora un sito web attivo con tanto di auguri di buon 2009. Fatto sta che nell’assenza di un partito con una forte identità ciascuno esprime fedeltà solo a quella che riconosce come la propria parte. Ci siamo preoccupati all’inizio per il proliferare delle correnti e siamo arrivati ad essere schierati in fazioni l’una contro le altre armata.
Questo comporta che i nostri dirigenti spesso tengano comportamenti impossibili da spiegare, da giustificare quando discutiamo di politica con altre persone, comportamenti in cui certamente non ci riconosciamo. Io non mi riconosco in un Sindaco come D’Alfonso, che si mette in malattia – secondo lui a fin di bene, ma non è questo che conta – anche se tutti noi sappiamo bene che non è malato. Io non mi riconosco in un Sindaco come la Iervolino o in un Presidente di Regione come Bassolino, che pur davanti al disastro amministrativo e di governo di una regione o di una città, non si dimettono.
Attenzione, qui non si tratta di fare del facile giustizialismo, al contrario. Si tratta di recuperare le basi del vivere civile. C’è un articolo della Costituzione che mi è particolarmente caro, che è l’articolo 54 che dice, tra l’altro: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.” Ecco, io penso che noi questo principio costituzionale dovremmo farlo immediatamente nostro come partito e pretendere che i nostri dirigenti agiscano sempre con disciplina ed onore.
Due concetti che sembrano fuori dal tempo ma fondamentali per poter rappresentare la collettività nei confronti di una realtà, come quella italiana, che spesso non è né disciplinata né particolarmente onorabile. Non è solo una questione di non avere responsabilità penali, è proprio mettere in atto comportamenti che rispecchino un’immagine della politica accettabile dal punto di vista del buon senso comune. Prendete Anna Finocchiaro, una dei nostri dirigenti più stimati. Scusate, ma io ancora faccio fatica a pensare che dopo la sonora sconfitta alle regionali in Sicilia la Finocchiaro non sia rimasta in regione a combattere sul territorio di una regione simbolo per questo paese e che il partito sia lì rimasto sostanzialmente acefalo.
Ecco, le frustrazioni vengono un po’ tutte dalla combinazione di tutti questi fattori, e la sensazione che i consensi per il PD stiano diminuendo a vista d’occhio vengono probabilmente anche da lì. Ed è per questo che abbiamo deciso di riunirci questa sera. Per ripartire. Consapevoli delle difficoltà, ma certissimi del potenziale che il nostro partito ancora ha per il futuro.
Disponibili a metterci la faccia, il lavoro e la volontà e a chiedere a voi tutti di metterci la faccia, il lavoro e la volontà. Per essere noi stessi il cambiamento, qui a Milano e nel resto d’Italia nelle altre tappe che la Carovana farà in futuro.
Possiamo ripartire con una serie di piccole cose da fare, piccole forse ma utili a marcare la differenza e il cambiamento di rotta.
Innanzi tutto rivendicare il tema della legalità e dell’etica. Nel PD non vogliamo farci dare lezioni da nessuno. Lo ripeto, non è una questione di giustizialismo. E’ semplicemente che chiedere di essere governati ed amministrati da persone che abbiano un profilo pubblico indiscutibile è un diritto minimo per la popolazione di un paese civile. Lo stesso vale per il principio dell’accountability, il principio di responsabilità politica. Chiediamo dunque che il partito non candidi o promuova a più alto incarico, sin dalle prossime elezioni europee ed amministrative, quantomeno chiunque si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 5 del Codice Etico del partito, o riporti una grave sconfitta elettorale o un evidente fallimento sul piano amministrativo e gestionale. Che non accada più, insomma, che chi straperde le elezioni da Sindaco di Roma venga premiato con una presidenza di commissione. Così come è importante che la norma statutaria relativa al massimo di tre mandati elettivi sia applicata senza eccezioni.
Questo significa anche, e vale purtroppo a Milano quanto a Napoli o a Palermo, prendere un impegno di lotta senza quartiere contro la macrocriminalità. Mafia, camorra e ‘ndrangheta sono la prima emergenza di questo paese, una pietra al collo per la nazione, dal punto di vista dell’economia e della libertà e noi del Partito Democratico dobbiamo farne una questione nazionale perché si tratta di un’emergenza nazionale. Anche a Milano, lo ripeto.
Chiediamo poi che il partito sia immediatamente riaperto. Non si tratta solo di una questione generazionale, anche se non sfugge che una classe dirigente che non pensa per nulla al futuro è una classe dirigente miope e poco interessata alla sopravvivenza dell’istituzione che dirige. Si tratta – questo è l’essenziale – di fare in modo che il PD resti il partito inclusivo che era all’inizio. Diciamoci la verità: entrare in una sezione dei due vecchi partiti non era una grande esperienza, in termini di accoglienza. La logica prevalente nei vecchi partiti sembrava essere quella del “meno siamo e meglio stiamo”. Con la nascita del PD, invece, tante persone hanno tentato di avvicinarsi alla politica. Ecco, bisogna tornare a puntare a questo, a cercare di aprirci non tanto alla mitica “società civile” ma al paese, a quel paese che vuol far politica e che non si vergognerebbe certo a farla, se solo trovasse i luoghi per farla.
Questo significa non buttare a mare frettolosamente le primarie, e anzi fare che si facciano e che siano vere: gli esempi della scelta del candidato sindaco a Firenze e del segretario regionale del Lazio non sono stati certamente dei buoni esempi. Bisogna però abbandonare immediatamente le vecchie appartenenze e le logiche lottizzatorie che ne derivano. Dobbiamo finirla con il paradosso di un partito a vocazione maggioritaria fuori e furiosamente proporzionalistico dentro. Se continuiamo a chiederci quante seggiole andranno alla Margherita e quante ai Diesse e se i nostri dirigenti non avranno altro merito che l’etichetta che si portano addosso, vorrà dire che non siamo assolutamente sulla buona strada.
Ecco, si può cominciare anche qui dalle elezioni europee: difendendo le preferenze ed evitando le liste bloccate – che non sono male in sé, sono male quando vengono utilizzate male come le abbiamo male utilizzate noi ad aprile lasciando che fossero elette persone spesso né rappresentative, né qualitative (e qualche volta neppure almeno disciplinate, vedi Vigilanza RAI) e nessuno paga per le scelte sbagliate – e facendo in modo che il parlamento europeo non diventi un cimitero degli elefanti, ma serva anzi ad aiutare la scelta e la formazione di una classe dirigente che senta di appartenere né alla Margherita, né ai DS, né alla società civile, ma solo al PD.
Insomma, dobbiamo ripartire, e subito, recuperando la buona politica e anche il buon senso che sembra anch’esso perduto.
Ho letto oggi sui giornali che qualcuno già parla di un feeling tra Rutelli e Casini e dell’eventualità “che salti tutto”. Noi siamo qui anche, e lo vogliamo dire con chiarezza, per difendere il PD e dire che il partito Democratico non si tocca. Il PD non appartiene a delle oligarchie, ma ai suoi militanti e ai suoi elettori. Si chiama non a caso democratico. Siamo in sette oggi, e dopo di me parleranno brevemente gli altri sei firmatari del manifesto: Teresa Cardona, Pippo Civati, Michele Dalai, Francesco Laforgia, Marella Reitani e, a chiudere, Pierfrancesco Majorino. Siamo solo in sette perché ovviamente in sette da soli non si va da nessuna parte e volevamo così chiarire di aver bisogno di tanti, tanti altri di voi, ma anche perché noi sette con le nostre diversissime esperienze possiamo raccontarvi bene di cosa sia il PD visto da tante angolazioni diverse. Il PD non è solo quello che si vede dal loft, o dal governo ombra. Il PD vive nei circoli, sulla rete, negli enti locali. E’ fatto di persone con una lunga storia politica, o con nessuna storia politica. E appartiene ugualmente a tutti coloro che vi hanno investito tempo e cuore, a coloro che hanno bussato e a coloro che hanno aperto.
Ripartiamo da qui, oggi. Nella carovana c’è bisogno di tutti, nella carovana c’è spazio per tutti.
13 risposte a “Partiti!”
…e non dimentichiamo noi 30/40 online….che chattavamo e chattavamo e ancora e ancora!
…e non dimentichiamo noi 30/40 online….che chattavamo e chattavamo e ancora e ancora!
Io vi seguivo ed eravate abbastanza indisciplinati, devo dire 🙂
Dopo Torino+Bologna nel 2005 e Roma nel 2007 sono venuto con molta curiosità e speranza a sentirti a Milano 2009. Tu sei sempre una garanzia e rispetto al passato ora puoi contare su Civati e Majorino.
Il guaio è che organizzativamente occorre, come state giustamente facendo, tentare di coinvolgere molte altre persone, poche delle quali sono in grado di fornire un significativo contributo d’idee. L’apparente contraddizione tra meritocrazia e democrazia comincia nella lista degli oratori: essendo impensabili le primarie per parlare, si potrebbe magari garantire il doppio del tempo a chi ricevesse il plauso della sala finiti i primi minuti a disposizione.
Il silenzio di Draghi e Corritore, pur presenti, è stato piuttosto rumoroso: non schierandosi apertamente hanno applicato la logica del “ma anche” che sta sclerotizzando il PD.
L’identità del PD che vogliamo si può costruire solo attorno alle dichiarazioni di voto, su tutti gli argomenti, dall’ultimo degli oratori interni delle prossime assemblee della carovana fino alla politica estera. Possiamo accettare che la nostra posizione sia messa in minoranza, non che il PD sia privo di una posizione.
Grazie per quanto si è cominciato a fare.
Dopo Torino+Bologna nel 2005 e Roma nel 2007 sono venuto con molta curiosità e speranza a sentirti a Milano 2009. Tu sei sempre una garanzia e rispetto al passato ora puoi contare su Civati e Majorino.
Il guaio è che organizzativamente occorre, come state giustamente facendo, tentare di coinvolgere molte altre persone, poche delle quali sono in grado di fornire un significativo contributo d’idee. L’apparente contraddizione tra meritocrazia e democrazia comincia nella lista degli oratori: essendo impensabili le primarie per parlare, si potrebbe magari garantire il doppio del tempo a chi ricevesse il plauso della sala finiti i primi minuti a disposizione.
Il silenzio di Draghi e Corritore, pur presenti, è stato piuttosto rumoroso: non schierandosi apertamente hanno applicato la logica del “ma anche” che sta sclerotizzando il PD.
L’identità del PD che vogliamo si può costruire solo attorno alle dichiarazioni di voto, su tutti gli argomenti, dall’ultimo degli oratori interni delle prossime assemblee della carovana fino alla politica estera. Possiamo accettare che la nostra posizione sia messa in minoranza, non che il PD sia privo di una posizione.
Grazie per quanto si è cominciato a fare.
Si ragazzi, è stata veramente bella…
il PD è radicato nella copscienza dio molti…e penso che il problema non è che Rutelli vada via ao meno…anzi, se va via non persiamo un voto…
Io ringrazio coloro che nei circoli continuano a dimpegnarsi e a crederci…dobbiamo aiutarci cari amici…e ringrazio Ivan…
dobbiamo resistere…e mobilitarci…
Il pD siamo noi…e il futuro siamo noi…
Veltroni? che vi posso dire? in questi due anni di frustrazione, gli unici momenti di gioia e speranza che ho avuto sonbo stati 4: il discorso del Lingotto, il discorso del 27 Ottobre, la campagna elettorale ( anche se siamo stati sconfitti) e il 25 Ottobre nell’immensa piazza del circo massimo…
Opera di Veltroni…uno che da otto mesi gente senza scrupoli sta cercando di mettere in difficoltà…
“difendendo le preferenze ed evitando le liste bloccate – che non sono male in sé, sono male quando vengono utilizzate male come le abbiamo male utilizzate noi ad aprile”
e’ in affermazioni come questa – una purtroppo tra le molte – che e’ evidente lo sbandamento e l’assenza di bussola politica del progetto PD, specialmente quando sono affermazioni fatte da chi dovrebbe rappresentarne l’anima nuova.
la lista bloccata e’ un male in se’ per il semplice motivo che il nominato – per bravo che sia – risponde solo ai dirigenti di partito dai quali dipende la sua elezione e non deve misurarsi con la costruzione del consenso con l’elettorato: e’ uno stupro dell’essenza stessa della democrazia rappresentativa, e andrebbe quindi rifiutata in modo netto e senza distinguo.
ma vi rendete conto di quanto sia grottesco il PD visto da fuori (e lo dico da elettore di sinistra)? di quanto l’incapacita’ del suo direttivo e dei suoi eletti di prendere posizioni nette, limpide e eticamente/moralmente sane sulle questioni di base gli tolgano ogni credibilita’? di quanto l’inconcludenza e il balbettio sull’applicazione anche solo di un minimo sindacale di trasparenza, accountability e democrazia interna costituisca un repellente sicuro per gente di valore che vorrebbe impegnarsi in un progetto politico serio?
per riacquistare un minimo di credibilita’ e dignita’ secondo me il PD deve dimostrarsi capace almeno di correggere autonomamente (attraverso i suoi attuali eletti e organi direttivi/di controllo) le gravissime lacune del suo funzionamento interno: un partito “democratico” che nel suo funzionamento e’ improntato al oligarchico, all’opaco e all’irresponsabilita’ costituisce un assurdo paradosso senza alcun senso o credibilita’, indipendentemente da quanto siano alti e nobili i suoi progetti politici.
a questo punto della storia del PD trovo di pessimo gusto tentare di coinvolgere anche una sola persona in piu’ in un progetto politico che penso si possa obiettivamente definire una farsa, se non un vero e proprio disastro.
“difendendo le preferenze ed evitando le liste bloccate – che non sono male in sé, sono male quando vengono utilizzate male come le abbiamo male utilizzate noi ad aprile”
e’ in affermazioni come questa – una purtroppo tra le molte – che e’ evidente lo sbandamento e l’assenza di bussola politica del progetto PD, specialmente quando sono affermazioni fatte da chi dovrebbe rappresentarne l’anima nuova.
la lista bloccata e’ un male in se’ per il semplice motivo che il nominato – per bravo che sia – risponde solo ai dirigenti di partito dai quali dipende la sua elezione e non deve misurarsi con la costruzione del consenso con l’elettorato: e’ uno stupro dell’essenza stessa della democrazia rappresentativa, e andrebbe quindi rifiutata in modo netto e senza distinguo.
ma vi rendete conto di quanto sia grottesco il PD visto da fuori (e lo dico da elettore di sinistra)? di quanto l’incapacita’ del suo direttivo e dei suoi eletti di prendere posizioni nette, limpide e eticamente/moralmente sane sulle questioni di base gli tolgano ogni credibilita’? di quanto l’inconcludenza e il balbettio sull’applicazione anche solo di un minimo sindacale di trasparenza, accountability e democrazia interna costituisca un repellente sicuro per gente di valore che vorrebbe impegnarsi in un progetto politico serio?
per riacquistare un minimo di credibilita’ e dignita’ secondo me il PD deve dimostrarsi capace almeno di correggere autonomamente (attraverso i suoi attuali eletti e organi direttivi/di controllo) le gravissime lacune del suo funzionamento interno: un partito “democratico” che nel suo funzionamento e’ improntato al oligarchico, all’opaco e all’irresponsabilita’ costituisce un assurdo paradosso senza alcun senso o credibilita’, indipendentemente da quanto siano alti e nobili i suoi progetti politici.
a questo punto della storia del PD trovo di pessimo gusto tentare di coinvolgere anche una sola persona in piu’ in un progetto politico che penso si possa obiettivamente definire una farsa, se non un vero e proprio disastro.
Caro Ferdinando, ogni sistema elettorale si presta a degli abusi. Le preferenze sono state abrogate a maggioranza bulgara da un elettorato (il nostro) stanco del mercimonio, delle competizioni intestine e del controllo del voto che avveniva grazie alla preferenza multipla. Per non parlare dei cosiddetti “signori delle preferenze”, in grado di smuovere migliaia di voti su base non necessariamente trasparente. La cooptazione, ripeto, non è male in sé, può agevolare il ricambio e consentire, se usata in modo virtuoso, la rappresentanza di minoranze meritevoli di un “diritto di tribuna”, per esempio. Sono tantissimi i casi in cui una persona che ha delle responsabilità deve scegliere discrezionalmente tra Tizio, Caio e Sempronio. Sta poi alla persona, al sistema, e ai meccanismi di controllo, all’avere in piedi un principio di responsabilità per cui se coopti uno non meritevole paghi di tuo, a far sì che il prescelto sia prescelto su base meritocratica e non clientelare. Che il prescelto non “risponda” a chi lo ha cooptato, ma agli elettori. Il punto è che se si è in mala fede, ogni sistema, come detto, si presta a degli abusi. In ogni caso si tratta di una mia opinione personale, contenuta in un piccolo inciso, e mi pare piuttosto forzato assumere quell’inciso a metro di valutazione di un’iniziativa che non aveva nulla a che fare coi sistemi elettorali ma a discutere dello stato di salute del PD.
Caro Ferdinando, ogni sistema elettorale si presta a degli abusi. Le preferenze sono state abrogate a maggioranza bulgara da un elettorato (il nostro) stanco del mercimonio, delle competizioni intestine e del controllo del voto che avveniva grazie alla preferenza multipla. Per non parlare dei cosiddetti “signori delle preferenze”, in grado di smuovere migliaia di voti su base non necessariamente trasparente. La cooptazione, ripeto, non è male in sé, può agevolare il ricambio e consentire, se usata in modo virtuoso, la rappresentanza di minoranze meritevoli di un “diritto di tribuna”, per esempio. Sono tantissimi i casi in cui una persona che ha delle responsabilità deve scegliere discrezionalmente tra Tizio, Caio e Sempronio. Sta poi alla persona, al sistema, e ai meccanismi di controllo, all’avere in piedi un principio di responsabilità per cui se coopti uno non meritevole paghi di tuo, a far sì che il prescelto sia prescelto su base meritocratica e non clientelare. Che il prescelto non “risponda” a chi lo ha cooptato, ma agli elettori. Il punto è che se si è in mala fede, ogni sistema, come detto, si presta a degli abusi. In ogni caso si tratta di una mia opinione personale, contenuta in un piccolo inciso, e mi pare piuttosto forzato assumere quell’inciso a metro di valutazione di un’iniziativa che non aveva nulla a che fare coi sistemi elettorali ma a discutere dello stato di salute del PD.
Peccato che per il pd il meccanismo delle liste bloccate serva principalmente a “congelare” lo status quo, ad assegnare i posti in quota agli ex ds e agli ex margheritini, senza le liste bloccate temo che non esisterebbe neanche il PD. La cooptazione su base meritocratica è una chimera. Chi sceglie principalmente bada a nominare persone che per lo meno non gli dian fastidio, e chi è scelto sa bene a chi deve riconoscenza, perlomeno nel mondo reale le cose funzionano così. Vanno bene gli ideali, ma a chiudere gli occhi su queste verità lapalissiane si passa per altra cosa che idealisti.
Va bene l’amore per la polemica, ma mi pare appunto che diciamo la stessa cosa: “lo strumento non è male in sé, è male per come viene usato”.
Va bene l’amore per la polemica, ma mi pare appunto che diciamo la stessa cosa: “lo strumento non è male in sé, è male per come viene usato”.