22 Settembre 2009

La colpa è non aprirsi al Paese

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Ieri Filippo Penati è uscito su L’Unità con un articolo nel quale rivendicava i successi nei circoli della mozione Bersani dicendo “Beh, non è che adesso perché gli iscritti scelgono Bersani noi pensiamo che sia una colpa essere iscritti al PD”. Sul numero di oggi gli rispondiamo Fassino, per la mozione Franceschini (“Non c’è contrapposizioone tra iscritti ed elettori”) ed io, con l’articolo che segue:

Gli iscritti al PD hanno finora largamente votato per Bersani e per il suo sforzo di costruire un partito dall’identità forte per poi “riaprire il cantiere dell’Ulivo”, come l’ex ministro ha recentemente dichiarato. Tutto il contrario del partito che nasceva intorno al “cittadino elettore” e che voleva dialogare con tutta la società innescando quella “vocazione maggioritaria” che è stata fino ad oggi la nostra parola d’ordine. La costruzione di un’identità forte è un messaggio rivolto tutto all’interno, che compatta i militanti ma che rende più intricati due nodi fondamentali: scava un fossato tra iscritti e “società civile” e rimette in discussione la stessa missione del PD. Il tentativo di rendere più piccolo e agile lo scafo per meglio far fronte ai marosi è tattica comprensibile ma per definizione rinunciataria, adatta più al piccolo cabotaggio che al perseguimento del sogno di un cambiamento radicale. Compattare le truppe nell’orgoglio identitario invece di farsi capire da milioni di elettori è il modo di reagire alle crisi che questo gruppo dirigente ha sempre privilegiato e che ha raggiunto il sublime con la repentina elezione di Franceschini alla segreteria: davanti alla già avvenuta fuga di milioni di elettori dalla stalla democratica si decise allora di sigillare ermeticamente le porte della stessa evitando qualsiasi forma di riflessione sulle ragioni di una così drammatica e repentina diserzione. Quanto alla missione del PD è chiaro che incaponirsi nel fortificare il confine tra gli iscritti e “resto del mondo” stabilendo cosa siamo noi (e, quindi, cosa non sono “gli altri”) solleva la questione della missione futura del PD e fa esplodere l’interrogativo di cosa succederebbe nell’ipotesi in cui gli iscritti scegliessero il proprio segretario e gli elettori decidessero il 25 ottobre che la persona giusta per guidare il partito per cui votano è tutta un’altra. Si tratterebbe della clamorosa formalizzazione dell’avvenuta separazione tra un’intera classe dirigente e un paese che da anni manda inutilmente messaggi disperati come quello di affidarsi inspiegabilmente ma ineluttabilmente alle cure di un miliardario eccentrico. Il problema non è dunque quello di considerare una colpa quella di essere iscritti al PD, come si chiedeva retoricamente Filippo Penati su L’Unità di ieri. Il problema sono i messaggi di chiusura che si mandano alla pancia di un partito in difficoltà incoraggiando la costruzione di un mondo impermeabile agli stimoli del Paese che lo circonda. Non si spiegherebbe sennò come un candidato innovativo come Ignazio Marino possa arrivare facilmente al 34% dei voti nel centro di Milano, mentre a Torremaggiore, in provincia di Foggia, su 312 votanti 305 abbiano scelto Bersani, con una percentuale che avrebbe fatto invidia all’Honecker dei tempi migliori.

4 risposte a “La colpa è non aprirsi al Paese”

  1. MArco Caglioni ha detto:

    Ciao Ivan cercherò di essere brevissimo…a forza di aprire e di far circolare aria ci si è dimenticati di mettere i filtri alle finestre.
    Nel Pd è entrata molta gente nuova, ma non di certo solo persone brillanti. Il PD è stato utilizzato da molte persone per riciclarsi o come occasione di rilancio personale. Servono regole chiare, il mio circolo (di cui sono diventato coordinatore) non voglio che sia un bar dove una persona in qualsiasi momento senza curarsi del lavoro che settimanalmente si fa entra lancia accuse, critiche e poi sparisce per mesi…e magari nemmeno fa la tessera perchè guai a sbilanciarsi…
    Il regolamento congressuale già di per sè è una presa in giro degli iscritti (e non favorisce di certo Bersani), se poi pure i candidati a segretario snobbano l’appuntamento e insistono solo sulle primarie secondo me proprio non ci siamo.

  2. […] del Mezzogiorno dove, addolora dirlo, il dibattito dentro il partito è asfittico come lo è fuori: in un articolo che ho scritto per L’Unità qualche giorno fa ricordavo i 305 voti per una stessa mozione su 312 votanti a […]

  3. […] del Mezzogiorno dove, addolora dirlo, il dibattito dentro il partito è asfittico come lo è fuori: in un articolo che ho scritto per L’Unità qualche giorno fa ricordavo i 305 voti per una stessa mozione su 312 votanti a […]