Voglio raccontarvi un’esperienza molto intensa che ho vissuto ieri. Sono stato alla presentazione del libro che Benedetta Tobagi ha scritto su suo padre Walter, ucciso nel 1980. Avevo 15 anni quando Tobagi fu ucciso e la presentazione di ieri è stata come un viaggio prezioso in un tempo che ho vissuto ma che non era interamente mio. Io – come quelli della mia generazione – c’ero, matroppo piccolo per capire fino in fondo, troppo grande per ignorare quello che mi accadeva intorno.
Tra le cose che ho sentito ieri, una cosa mi è rimasta in mente in modo particolare: la conclusione di Miguel Gotor, lo storico che ha anche raccolto e commentato in un bellissimo, recente lavoro le lettere di Moro. Gotor ci ha ammonito a non credere che gli anni 70 siano stati tutta spari e buio e ha ricordato quanto fermento ci fosse in quegli anni: la partecipazione, i diritti, il ruolo delle donne che cambiava, le leggi sul lavoro. E ha tracciato un confine molto chiaro tra chi stava dalla parte del cambiamento e chi voleva invece fermare tutto quel fermento. “Checché ne dica qualcuno oggi, erano gli uomini che sparavano a gente come Tobagi quelli che erano contro il cambiamento e che hanno portato l’Italia ad una stasi dalla quale probabilmente non è mai uscita.”
Così sono uscito dalla presentazione del libro di Benedetta chiedendomi come possa il nostro Partito, oggi, provare ad essere la leva che possa farci uscire da quella stasi e rimette in moto il cambiamento. E ho pensato che sono due le cose fondamentali di cui dovremmo farci carico, come classe dirigente. La prima è la sfida della contemporaneità (io che ho questa maledizione di essere sempre considerato giovane, a 44 anni suonati sto almeno cercando di spostarmi dalla gioventù alla contemporaneità) la seconda è la sfida della leadership.
La sfida della contemporaneità consiste nel non aver paura di guardare al tempo che viviamo e ai suoi enormi cambiamenti con gli occhi di oggi. Voglio fare qualche esempio: questa mattina ho ascoltato con estrema attenzione l’intervento di Pietro Ichino, le cose condivisibili che dice da anni. Conosco Pietro dal 1992, quando io ero un giovane (allora sì!) impiegato della Comit e lui l’avvocato della banca, ed è da allora che gli sento dire le cose sacrosante che dice. Cose che sono ovvie e normali a Nizza e a Lugano e che invece in Italia, un paese dove convivono i lavoratori più garantiti e quelli meno garantiti d’Europa, fanno da sempre fatica a prendere quota.
Penso alla società che cambia. Al fatto che cambiano le famiglie, che esistono sempre più italiani che sono tali per il loro passaporto e e non per la propria origine etnica o culturale. Ecco, anche per questi cambiamenti, cose che sono ovvie a Nizza o a Lugano per qualche modo sembrano pazzesche qui da noi. Prendete il ruolo delle donne. Voglio raccontarvi un aneddoto. Una nostra delegata dell’assemblea nazionale è stata eletta a Madrid ed è arrivata in assemblea, il 7 novembre, con i suoi due bambini nel passeggino. Appena mi ha incontrato mi ha chiesto dove fosse la nursery; io naturalmente le ho detto che la nursery noi in assemblea non ce l’avevamo. Ecco, io so che Pierluigi vuole organizzare una riunione a Napoli sul tema delle donne: io in tema di contemporaneità comincerei invece col chiedere se non sia il caso di provvedere immediatamente a darci una nursery per la nostra delegata di Madrid e per le tante donne che non possono fare politica in assenza di nursery, così che la nostra delegate possano continuare a venire alle assemblee del partito democratico.
Prendete la comunicazione, la rete, le nuove forme di partecipazione democratica. In Grecia il Pasok ha fatto cose straordinarie con i sondaggi deliberativi, per esempio. Ora dico: noi abbiamo mille delegati in assemblea nazionale che convochiamo solo due volte all’anno per votare. Ma con tutti i sistemi di democrazia partecipativa che esistono, non potremmo provare a pensare a un sistema per utilizzare queste mille persone in modo più efficace e motivante? Di questo parlerò con la Presidente Bindi, per provare a pensare a qualcosa che ci consenta di utilizzare questo enorme patrimonio: mille persone elette da quei territori di cui lamentiamo la distanza, le loro intelligenze, la loro passione…
E, ultimo, pensate al’Europa. Ne parliamo tantissimo, ma io credo che come classe dirigente di questo paese l’unica cosa che dovremmo fare immediatamente è stabilire una sorta di “benchmarking europeo” e impegnarci in via esclusiva e prioritaria a fare in modo che l’Italia sia sempre in media con la media europea. Su tutto: ricerca, efficienza delle pubbliche amministrazioni, diritti civili, etica pubblica….
Questa è la prima sfida, dunque. La seconda è quella della leadership, che vuol dire il tornare a ricoprire un ruolo di guida. Una politica che si limiti a seguire la pancia del paese, è una politica sconfitta in partenza. Quello che dobbiamo tornare a fare come partito è provare ad andare per terreni scoscesi, avere un’idea di paese e provare a farla diventare realtà indipendentemente dal fatto che sia immediatamente popolare o meno. Quante decisioni difficili ha dovuto e saputo prendere la politica: gli studenti neri furono accompagnati nelle Università dell’Alabama dalla Guardia Nazionale; il voto alle donne nel 46 non sarebbe stato probabilmente appoggiato dalla maggior parte della popolazione.
E’ dunque importante che noi torniamo a parlare di decisioni e dei valori che riteniamo giusti anche quando la cultura dominante, specie quella imposta dalla televisione e dai mezzi di comunicazione di massa, fa ritenere quei valori e quelle decisioni obsoleti o troppo arditi e innovativi, anche se sono cose normali a Nizza o a Lugano.
Io credo che possiamo prenderci la responsabilità di queste due sfide perché una cosa nuova è avvenuta: il nostro congresso. Dopo aver svolto congressi in 7000 circoli, il PD non è soltanto più una brillante intuizione basata su una visione e un’adesione emotiva.
Oggi abbiamo contenuti sui quali possiamo dire di aver davvero discusso. Abbiamo un partito più forte, una leadership consolidata e da oggi abbiamo anche una squadra. Io credo che dobbiamo considerarci finalmente pronti a partire.
6 risposte a “Il mio intervento in Direzione Nazionale”
Bravo Ivan. Sarebbe interessante sapere come Bersani ha concluso i lavori, se ha tenuto conto di quanto hai detto. A proposito di canali informativi e nuove tecnologie:sul sito del PD non si trova ne la relazione di Bersani ne gli interventi. Potresti farti carico della esigenza di trasparenza e chiedere che i lavori degli organismi dirigenti siano messi a disposizione degli elettori?
[…] di Ivan Scalfarotto, Vicepresidente del Partito Democratico, alla Direzione Nazionale del […]
[…] Il mio intervento in Direzione Nazionale Oggi abbiamo contenuti sui quali possiamo dire di aver davvero discusso. Abbiamo un partito più forte, una leadership consolidata e da oggi abbiamo anche una squadra. Io credo che dobbiamo considerarci finalmente pronti a partire. (tags: Scalfarotto Pd Direzione_Nazionale Metodo) […]
[…] Novembre 2009 · Lascia un Commento L’intervento in Direzione Nazionale e quello per la giornata internazionale contro la violenza alle […]
Enzo ha ragione. Il PD non e’ neanche minimamente trasparente. Comunque, ti devo fare ancora gli auguri. Sono felice che tu sia il vice, ne hai fatta di strada, qui da Boston ti seguiamo sempre. A proposito, se bisogna rinnovare il sistema, bisogna essere piu’ duri con chi all’interno del partito, cerca scorciatoie per l’elezione, e parlo di casi qui a Boston. Ora sono iscritto al PD e quindi mi fa inc…. ancora di piu’.
Bellissimo intervento ma….ma,a mio modesto avviso, capisco bene solo una cosa di questo Paese e cioè che: la società italiana cerca di aggiornarsi e stare in linea con la contemporaneità grazie a giovani e meno giovani. La classe politica mediamente invece vive in pieno Medioevo socio-culturale. Forse qualcun gli dovrebbe dire che siamo nel Terzo Millennio e che le monarchie assolute e le crociate fanno parte del passato. Conoscendo poi la loro incapacità di capire il presente poi li mandarei in soggiorno obbligato da Obama. Forse,e dico forse imparerebbero qualcosa della contemporaneità e del mondo in cui viviamo, che ci piaccia oppure no.