18 Aprile 2010

5 minuti

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Ho avuto 5 minuti anch’io, ieri in Direzione Nazionale, e li ho usati così:

Qualche settimana fa, in un incontro a Viareggio, mi è venuto incontro un anziano signore che mi ha detto: “Scalfarotto, lo sa qual è il problema? Che col PCI avevo un partito in cui credere, adesso ho solo un partito per il quale votare”. Questo mi pare fondamentalmente il punto, il problema è che non riusciamo più a dare una riconoscibilità alle cose che facciamo, a dare un’idea chiara di dove vogliamo andare.

Guardate che il voto non è soltanto una cosa razionale, una decisione che si prende sulla base di puri dati di fatto. La dimostrazione ce l’ha data la Lega. Quando il martedì dopo le elezioni mi sono svegliato a Milano con la spiacevolissima sensazione di essere un po’ più “padano” di prima – con Cota da una parte, Zaia dall’altra e Formigoni e i suoi nel mezzo – mi sono chiesto come fosse possibile che dopo aver detto cose così razionali in campagna elettorale contro la Lega alla fine quelli fossero andati così bene lo stesso. Mi sono chiesto come tutti i nostri discorsi sul’Alitalia e su Malpensa per esempio, un’operazione che grida vendetta dal punto di vista economico ma anche sul piano dell’umiliazione di un territorio, i bresciani – che sono gente forgiata col tondino di ferro – avessero comunque dato 12 mila preferenze a Renzo Bossi. Ma come: proprio i militanti della Lega, quelli di Roma ladrona, quelli contro il nepotismo, ti votano in un modo così massiccio uno come il figlio del capo? Evidentemente c’è qualcosa che fanno meglio di noi, hanno saputo essere un partito in cui credere prima ancora di un partito per cui votare.

Dicono cose chiare loro. E noi? Ho sentito Stefano Fassina quest’oggi difendere a spada tratta l’articolo 18 e innescare una marcia indietro sui progetti di riforma che stiamo discutendo e che sono nei progetti di legge che sono stati presentati in Parlamento. Ora io dico: cominciamo a sgombrare il campo dagli equivoci. Qui l’articolo 18 nessuno vuol toglierlo a chi ce l’ha. Nessun progetto di legge presentato dal PD vuole toccare le garanzie esistenti. Però non possiamo negare che oggi per un numero enorme di persone, in particolare giovani, l’articolo 18 è visto come un miraggio o come un privilegio per pochi. Esistono milioni di persone che l’articolo 18 non lo vedranno mai e che nell’attesa futura di questo fantomatico diritto non hanno invece concretamente diritti che il senso comune vorrebbe essere stati assicurati a tutti i lavoratori dall’epoca della rivoluzione industriale: le ferie, la malattia, la maternità. Quello che dobbiamo fare oggi è capire come consentiamo a chi entra nel mercato del lavoro di avere garanzie minime che oggi non ha, dobbiamo disegnare un diritto del lavoro che sia applicabile a tutti non solo sulla carta, ma nella realtà. Altrimenti, oltre ad apparire come un partito che non decide su un tema così vitale, appariremo anche come un partito che non è in grado di prendersi cura delle persone, di milioni di persone, soprattutto tra i giovani.

E, a proposito di giovani, si è parlato tanto di ricambio, di innovazione, di una nuova classe dirigente. Noi non siamo riusciti ancora a raggiungere questo obiettivo. Ma io credo che gli strumenti per farlo siano già disponibili, che siano nel nostro statuto. Io propongo che cominciamo ad applicare con rigore la regola del massimo dei due mandati senza alcuna eccezione, a parte il Segretario nazionale del Partito. Basta deroghe. Se diamo delle deroghe vuol dire che stiamo dicendo che non siamo in grado di creare una nuova classe dirigente, che non siamo un partito vivo e capace di rigenerarsi, e questa sarebbe un’osservazione veramente dolorosa e preoccupante.

Voglio dire un’ultima cosa. Per essere un partito nel quale credere è fondamentale anche avere coraggio: per esempio dire a viva voce al Cardinal Bertone che l’equiparazione tra omosessualità e pedofilia non è solo scientificamente falsa, ma che è anche inaccettabile perché crea uno stigma ingiustificato intorno a un gruppo di cittadini pacifici e inermi, e di contribuenti per di più. Quando c’è una menzogna e quando qualcuno crea delle divisioni nel Paese il nostro ruolo dev’essere senza dubbio dalla parte della verità e della convivenza civile, e dovremmo avere il coraggio di fare sentire chiara la nostra voce.

Non dimentichiamo poi della sentenza della Corte Costituzionale di qualche giorno fa. Oggi finalmente sappiamo che le unioni omosessuali sono “formazioni sociali” costituzionalmente rilevanti ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, e che, come ha detto la Consulta, “hanno diritto di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti previsti dalla Legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Che intendiamo fare noi? Che ci piaccia o meno, oggi sappiamo che questa è una realtà che esiste non solo nel diritto ma anche, per chi non avesse voluto vederlo prima, anche intorno a noi. Come partito abbiamo la responsabilità di metterci le mani dentro e venire fuori con una proposta sensata al più presto.

3 risposte a “5 minuti”

  1. Anellidifum0 ha detto:

    Bello l’intervento, ma alla fine pare che tutto ciò che viene detto di ragionevole non venga ascoltato, non venga preso in considerazione. Mi sbaglio?

  2. […] L‘intervento di Ivan Scalfarotto in Direzione Nazionale […]

  3. Luca Collina ha detto:

    Se i cinque minuti li avessi usati qui:

    http://londonalcatraz.blogspot.com/

    avresti fatto riflessioni piu’ profonde….