Il mio post oggi su “Il Post”.
Non sono andato al corteo della Fiom. Non ci sono andato per un paio di ragioni: una di metodo, l’altra più schiettamente legata al merito politico della manifestazione.
La prima ragione è che penso che un partito politico non debba andare a un corteo sindacale e che in genere non debba provare a “mettere il cappello” su chi legittimamente interpreta e difende gli interessi di una singola categoria. Sovrapporsi a un interesse particolare non fa bene né al partito né agli interessi rappresentati: il partito in qualche modo si declassa a portatore di interessi particolari abdicando a tenere insieme le complessità che una visione più generale fatalmente comporta, chi difende quegli interessi corre invece il rischio di essere etichettato politicamente e in quanto tale diventa meno efficace. Il messaggio che passa è che stia in realtà conducendo una battaglia politica e che il lavoro di tutela sia solo strumentale all’affermazione di una determinata visione politica, magari stabilita dall’esterno.
Sarà per questo motivo, o forse più prosaicamente per la difficoltà ormai atavica di trovare una sintesi tra le nostre varie anime, fatto sta che il PD ha comunque deciso di non essere presente ufficialmente, al contrario di IdV e SeL che hanno deciso di sfilare in quanto tali. Molti miei colleghi di partito hanno però partecipato a titolo personale e ne ho certamente capito le motivazioni: il lavoro è probabilmente l’emergenza numero uno di questo paese in questo momento e i bisogni che si sono manifestati in quel corteo sono una voce che di certo non può essere ignorata, come molti hanno giustamente sottolineato.
Il punto è che ci sono domande secondo me fondamentali a cui questo corteo non rispondeva e che anzi ha probabilmente reso più urgenti e gravi: siamo sicuri, per esempio, che di tutti i modelli di relazioni industriali sia quello proposto dalla Fiom quello che assicura maggiore e più efficace protezione ai lavoratori e maggiore sviluppo? Un’idea delle relazioni industriali polarizzata in una dialettica di contrapposizione tra lavoratori e imprese, insomma, è quello che ci serve? In questa economia globalizzata, inoltre, l’approccio della Fiom rende l’Italia un paese più o meno attraente per gli investimenti stranieri e per il mantenimento delle produzioni in Italia, e quindi per il mantenimento nel nostro Paese di posti di lavoro? E poi: un sistema di relazioni sindacali così nettamente diviso tra lavoratori subordinati e imprese è davvero quello che meglio descrive il modo del lavoro in questo secolo? Non siamo forse rimasti a una rappresentazione che andava bene per il passato ma che si è persa per strada pezzi interi di mondo produttivo? C’era davvero in quella piazza la voce di chi – soprattutto giovani – lavora in questo paese in schemi giuridici diversi dal lavoro subordinato? Di chi opera magari per anni con contratti precari o temporanei, o con partita iva, o facendo il praticante in uno studio professionale, e senza nessuna garanzia né alcuna forma di rappresentanza collettiva?
L’idea che una maggiore collaborazione del sindacato e dei lavoratori allo sviluppo delle imprese, e una maggiore partecipazione dei lavoratori alle vicende delle stesse, costituisca una svendita dei diritti è secondo me sbagliata. Nessuno pensa che si debbano aprioristicamente e permanentemente spuntare le armi del conflitto come extrema ratio ma nemmeno pensare il mondo del lavoro in modo stabilmente conflittuale credo possa più essere una risposta in questo nostro tempo. In un’economia moderna non può sfuggire a nessuno che la prima garanzia, e la più effettiva, per i lavoratori è quella di lavorare in un’economia sana e che la collaborazione del lavoro alla crescita economica sta diventando via via parte integrante delle responsabilità di cittadinanza. L’unico ruolo e il motivo di esistere di un partito come il PD è difendere i diritti e la dignità del lavoro avendo l’abilità di sintetizzare risposte assai più complesse, insomma, di quelle che si sono proposte sabato scorso a Roma. O ce la si fa, o si è persa la sfida per la modernizzazione di questo Paese.
Una risposta a “Il lavoro del PD sul lavoro”
Caro Ivan, se in linea teorica posso condvidere in gran parte quello che hai scritto, a parte la mancanza di coraggio nel dire che il pd oggi è influenzato e in modo pesante nelle sue decsioni in materia di riforma del lavoro dal sindacato, la verità a mio modesto avviso è che il pd non ha ancora un’idea precisa nè sulla riforma del mercato del lavoro nè sulla riforma del diritto del lavoro e i VARI disegni di legge giacenti in parlamento del nostro partito sono lì a dimostrarlo. E allora di cosa stiamo parlando, della solita aria fritta? Ti dico la verità, le analisi che tu e altri fate le abbiamo imparate tutti a memoria. Sarebbe ora di passare dalla teoria alla pratica. E’ chiedere troppo?
Un abbraccio Lucrezia