Il mio post per “Il Post”, su un tema già toccato più di tre anni tre anni fa. L’Italia non cambia.
Non è passata inosservata la notizia che nell’ambito dell’accordo esuberi di Unicredit la banca si sia impegnata a “privilegiare” le assunzioni dei figli di dipendenti (purché siano laureati e parlino l’inglese). Un errore clamoroso, che per di più esemplifica alcuni problemi italiani che vanno ben al di là del caso di specie.
In primo luogo, e lo dico da tecnico avendo lavorato nel settore per tanto tempo, viene da chiedersi che tipo di mercato sia mai quello in cui un’azienda si impegna a “privilegiare nell’assunzione” persone che nemmeno conosce. Avere le persone giuste è vitale per qualsiasi impresa e in particolare per una banca, dato che lì ciò che fa la differenza è la capacità di chi ci lavora. In un mercato davvero aperto le banche dovrebbero competere in modo feroce l’una contro l’altra per accaparrarsi il miglior talento. Se non lo fanno è perché evidentemente non competono sul serio e questo vuol dire che le garanzie per il cliente di poter usufruire delle migliori condizioni di mercato di fatto non esistono.
Anche il sindacato non sembra molto interessato a fare in modo che l’azienda, assumendo le persone migliori, cresca e si sviluppi. A questo interesse di lungo periodo, che rappresenta la massima garanzia per i lavoratori e che dovrebbe quindi essere l’obiettivo strategico del sindacato, le rappresentanze dei lavoratori antepongono un interesse particolare: “sistemare” i figli. Un’esigenza comprensibile per il singolo, ma non per l’organizzazione sindacale nel suo complesso. La logica è che se l’azienda depaupera il proprio talento e se questo produce un effetto sui risultati operativi, il problema sarà alla fine risolto da qualcun altro. Con ogni probabilità anche il sindacato ha la consapevolezza che non c’è un regime di effettiva concorrenza e, a queste condizioni, gli sta più che bene. Con accordi come questi, al bassissimo livello di appetito dell’imprenditore per un mercato vero e trasparente si crea un livello altrettanto basso di interesse da parte dei lavoratori. Con buona pace dei clienti delle banche (che poi sono comunque cittadini e lavoratori).
In ultimo, questi accordi rappresentano il funerale dell’ascensore sociale. Non c’è cosa più raccapricciante del passaggio delle professioni da padre a figlio. Perché studiare? Perché darsi da fare? Se papà ha una farmacia, la erediterò. E se papà va in pensione da Unicredit la mia laurea in Scienze bancarie acquisirà di colpo un valore molto superiore di quello del mio vicino di banco. Poi ci si stupisce che i giovani italiani corrano a frotte verso paesi che non garantiscono nulla (né il vacuo valore legale del pezzo di carta, né la teorica inamovibilità dal posto di lavoro) ma che consentono a ciascuno di essere valutati secondo i propri meriti e di realizzare il proprio talento sulla base delle loro sole forze.
3 risposte a “Parenti dipendenti ritornano”
A completamento di quanto dici, la stessa cosa l’ha appena fatta e applicata il Banco di Napoli, cioè Intesa Sanpaolo.
L’aspetto più patetico è che queste richieste sono avallate fondamentalmente dai sindacati. Ripeto, i SINDACATI.
Cioè quelli che i lavoratori, li dovrebbero difendere!
Volevo segnalare, anche se OT, questo bellissimo post su OkCupid. Smonta tutti i preconcetti che ci sono in giro, ed è anche scritto bene.
http://blog.okcupid.com/index.php/gay-sex-vs-straight-sex/
Caro Ivan,
voglio solo ricordarle, e lei lo saprà benissimo avendo trascorso molto tempo in banca, come l’assunzione preferenziale dei figli di dipendenti che vanno in pensione deriva da un accordo sindacale firmato da tutte le sigle. Con l’attuale penuria di posti di lavoro a tempo indeterminato, forse la circostanza non è delle peggiori; comunque, concordo con lei sul fatto che tale metodo non favorisce la selezione.
La saluto,