Il mio pezzo per L’Unità, oggi.
Andrò a Firenze, questo fine settimana, con enorme piacere. Ci andrò soprattutto per sostenere con Renzi e Civati che il tema del ricambio nel nostro paese è preliminare a qualsiasi credibile ipotesi di riforma e di innovazione. “Contro i perpetui” si chiamava il pamphlet con il quale chiusi la mia esperienza alle primarie del 2005, un’esperienza basata sulla constatazione che qui da noi l’inamovibilità delle classi dirigenti fa il paio con la chiusura e la stasi di una società basata esclusivamente su meccanismi corporativi e di cooptazione: dagli ordini professionali, ai concorsi nelle università, alla legge elettorale, l’Italia è il luogo dove l’appartenenza a un clan (sia esso familiare, professionale o politico) è la vera chiave per il successo. La nostra è una società dove l’ascensore sociale è bloccato e le classi sociali si stanno ormai cristallizzando in caste. È una società dove il merito è irrilevante e non esiste nessun vero meccanismo di responsabilità (o “accountability”): se il merito non conta nulla, far bene o far male diventa alla fine assolutamente indifferente. Ma c’è di più: se non c’è ricambio tra le persone che esercitano il potere, il Paese perde inesorabilmente la capacità di leggere il proprio tempo. Il ritardo accumulato nell’interpretare la contemporaneità nell’economia globalizzata, nelle dinamiche del lavoro, nei mutamenti tecnologici, nei fenomeni migratori e nella nuova multiculturalità nonché nei nuovi modi di vivere e di fare famiglia, è secondo me frutto della gestione di una classe dirigente che ha passato gli ultimi cruciali venti anni, quelli a cavallo tra i due secoli, segregata in un palazzo. È una generazione che io credo abbia oggi il solo mandato di passare la mano. Però attenzione: funzionerà solo a due condizioni. La prima è che il cambiamento del contenuto, per radicale che sia, non dovrà compromettere il contenitore. Se fino ad oggi i partiti sono passati mentre le persone sono rimaste le stesse, bisogna riuscire a capovolgere il meccanismo e a preservare con ogni cura il partito (il lavoro dei suoi militanti, il suo radicamento, l’orgoglio dell’appartenenza) mentre cambiamo le persone. La seconda condizione è che il ricambio abbia la capacità di permeare di sé l’intero partito prima e tutto il paese dopo. La scommessa di Firenze sarà stata vinta soltanto se l’iniziativa avrà la capacità di far emergere anche coloro che la pensano in modo diametralmente opposto, se da lì nascerà un movimento che ricompatti e valorizzi (tanto per restare sul tema del trattamento dei rifiuti) un’intera generazione. È l’unica possibilità per vedere la scommessa del Pd realizzata per davvero, è l’unica possibilità di vedere alla guida del Paese (nelle professioni, nelle imprese, nelle università) una nuova generazione di italiani.
5 risposte a “Ricompattare, valorizzare”
Le persone passano, i partiti restano. Solo in Italia succede il contrario.
perfettamente d’accordo con Te con l’uso del termine ricompattare sicuramente molto diverso da rottamare
Bravo Ivan, il linguaggio tuo è rassicurante…si tratta di proporre democraticamente un’idea, avviare una discussione e coagulare e/o sedimentare una una prospettiva politica…un conto è ricompattare per valorizzare, un altro è “rottamare” anche se richiama lontanamente il tuo parricidio d’antan…la base è disorientata ci vuole “accountibility”…:-))
Grande Ivan: lucido e costruttivo come sempre. La scommessa di Firenze, anzi la scommessa del PD, sarà vinta anche se avrà la capacità di far emergere un nuovo metodo di lavoro all’interno del partito.Verticistico o democratico? E’ anche su questo punto, e non certo per la nostra età anagrafica, che ciascuno di noi dovrebbe essere valutato politicamente vecchio o giovane.
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