Non ho cominciato a far politica a 15 anni ma a 40, e sono entrato per la prima volta in un partito politico prendendo la tessera dei DS solo pochi mesi prima della nascita del PD, in un gesto di sostegno a Piero Fassino che si avviava a chiudere il partito erede del PCI e a consegnare la sua gloriosa eredità a un partito nuovo, aperto, democratico. Mi considero dunque un politico molto atipico (anzi, che più atipico non si potrebbe) ma ho imparato a rispettare la forma partito e ad amare il mio partito da quando ho cominciato a girare per il Paese e a riconoscere il PD nelle facce e nel lavoro delle tantissime persone che nel partito credono, lavorano, e nel partito si riconoscono profondamente.
L’amore per il mio partito non ha però fatto cessare in me l’urgenza della politica, e con questa intendo soltanto l’urgenza delle idee, e quella speranza che il PD potesse rappresentare il salto della sinistra italiana verso un luogo laico, profondamente innovativo, capace di battere strade nuove e di restare profondamente in contatto con la parte più europea e moderna della società italiana. Un partito coraggioso, creativo, in grado di trascinare a viva forza un’Italia provinciale e patriarcale verso la pattuglia dei paesi più vivaci e mobili del continente. L’Italia non ha solo il problema di Berlusconi. In Italia si consuma da sempre una lotta trasversale tra conservazione e innovazione in cui l’innovazione ha avuto da sempre la peggio, chiunque l’abbia governata.
E’ per questo che ho amato l’Unità di Concita De Gregorio e sono stato orgoglioso di collaborare al suo giornale. Perché quel giornale assomigliava alla sinistra che ha in mente un’Italia fuori dalle secche. Nel giornale di Concita ho visto una società genuinamente plurale, un luogo dove si potevano ascoltare voci che in questo nostro Paese di fatto non esistono: i giovani, i bambini, le donne, il lavoro nelle sue molte forme, gli italiani di altre origini e colori, le famiglie italiane – anche quelle che la politica si ostina ancora ad ignorare. Ho visto il giornale all’Aquila farsi fisicamente vicino al Paese, l’ho visto comprendere più di ogni altra testata in Italia l’importanza della rete, l’ho visto pubblicare editoriali firmati da tutte le sensibilità della sinistra italiana e da tutte le anime del partito, senza eccezione alcuna.
L’ultimo articolo che ho pubblicato su L’Unità si intitolava “Perché dico sì al documento di Pietro Ichino”. Ichino è secondo me l’emblema perfetto della modernità: uno che coraggiosamente continua a predicare un diritto del lavoro e sindacale di questo secolo. Lo fa da sempre: è stato il primo a criticare il collocamento numerico, ha proposto con dieci anni di anticipo l’introduzione del part-time. Per tutto questo fu praticamente cacciato dal Parlamento negli anni ottanta. Sono voci come la sua, e giornali come quello di Concita, quelli che ci servono di più. Le voci scomode, quelle che indicano strade nuove, quelle che ci destabilizzano perché ci costringono a discutere continuamente le nostre sicurezze, che ci sembrano minacciare la nostra identità ma in realtà ci costringono a viva forza a mettere il naso nel mondo e nel nostro tempo. Perché il futuro è così, è scomodo. Ma se ti siedi, e questo ormai dovremmo saperlo bene, ti scappa dalle mani.
Sarà che sono un politico atipico e che il suo era un giornale atipico ma è per questo che l’Unità di Concita mi mancherà moltissimo. E sarei profondamente, terribilmente preoccupato se l’Unità diventasse l’organo dell’ortodossia del segretario, quello di oggi e quelli futuri. Un giornale che stesse a lì a consolarci e a dirci sempre che abbiamo ragione. Sarebbe il segno di un partito bisognoso di rassicurazione e di consolazione. Di una barca che torna frettolosamente nel porto proprio nel momento in cui, invece, dovrebbe avere il coraggio di aprire le vele e finalmente prendere il mare.
3 risposte a “L’Unità di Concita”
Condivido totalmente ciò che scrivi,trovo l’Unità già estranea ,sono veramente angustiata dal significato che tutto ciò può avere.
Leggo l’Unità da quando ha riaperto i battenti, con Furio Colombo, poi con Antonio Padellaro. Con Concita non ho più saltato un numero. Resto un po’ male per questo ultimo avvicendamento, e continuerò a seguire il giornale con occhio vigile. Concita già non la trovo più. Stiamo a vedere. Se non mi piacerà più, mi toccherà cambiare una bella abitudine.
Auguri grandi, Concita!
[…] L’Unità di Concita di Ivan Scalfarotto […]