Il 90% delle persone che sento parlare della riforma Ichino lo fanno non avendola mai letta o depistando in malafede l’interlocutore. Per il mio debutto su Europa ho voluto ristabilire alcune semplici verità sulla riforma del mercato del lavoro. PS: Grazie a Stefano Menichini per l’ospitalità!
Nel vortice di reazioni scatenato dall’intervista del ministro Fornero al Corriere si è perso a un certo punto il senso della realtà. È bene quindi ristabilire e chiarire alcuni punti fermi senza i quali non si parla di riforma del mercato del lavoro ma di altro.
Innanzi tutto: nessuno vuole togliere diritti a nessuno, anzi. Nella puntata di Porta a porta di mercoledì sera, dove si affrontava il tema, si è discusso a lungo della domanda di un sondaggio che chiedeva agli italiani se fosse giusto o meno togliere qualche diritto ai lavoratori stabili per darne un po’ di più ai precari. La domanda era completamente fuori luogo, così come il dibattito che ne è seguito, dato che nessuno penserebbe mai di fare una cosa del genere.
Il tema andrebbe più correttamente posto così: premesso che chi ha un contratto a tempo indeterminato se lo tiene com’è, cosa offriamo ai giovani che entrano oggi sul mercato del lavoro? In questo momento, nella maggior parte dei casi la prima esperienza lavorativa ha le sembianze di uno stage, di un contratto a progetto, di una (falsa) consulenza per ottenere la quale è necessario aprire una partita Iva.
Questo comporta che chi entra nel mercato del lavoro, oggi, spesso non ha diritti elementari (ferie, indennità di malattia, congedo per maternità), nessuna protezione (se sei antipatico al capo, bastano due minuti per troncare una consulenza), nessuna prospettiva di sviluppo professionale (perché formare un lavoratore che per definizione è in azienda di passaggio?). Non si tratta quindi di togliere diritti ad alcuno, si tratta di darne – e di essenziali, in un paese civile – a qualcuno che oggi non ne ha.
Secondo tema: l’abrogazione dell’articolo 18. Non è affatto vero che consentire il licenziamento per ragioni economico-organizzative (si chiama “giustificato motivo oggettivo”) significherebbe abolire l’articolo 18. Al contrario, nella proposta Ichino si prevede un chiaro allargamento dell’applicazione dell’articolo 18.
Mi spiego. L’articolo 18, oltre al caso della reintegrazione in assenza del giustificato motivo, prevede la reintegrazione nel posto di lavoro per i licenziamenti contra legem: quelli discriminatori o determinati da motivi futili (si parla di assenza di giusta causa). Oggi i precari non sono coperti in nessuno dei due casi: sono indifesi nel caso che vengano licenziati perché l’azienda oggettivamente necessita di ridurre il costo del lavoro. Ma sono assolutamente nudi anche davanti a un licenziamento causato dal fatto di essere gay o lesbiche, o incinte, o perché semplicemente di opinioni politiche diverse da quelle del capo.
Nella proposta che il governo verosimilmente ha in mente, tutti questi casi sarebbero immediatamente coperti dall’articolo 18, copertura di cui oggi assolutamente non godono. In sostanza, con la riforma, i neoassunti entrerebbero in azienda con un contratto vero, con tutti i diritti dovuti a un lavoratore e con la doverosa protezione contro licenziamenti capricciosi. Unica novità, rispetto ai contratti indeterminati di oggi: la possibilità delle aziende di licenziarli per ragioni economico-organizzative, ma in un sistema in cui viene predisposto un meccanismo di retribuzione quasi piena per tre anni e di formazione per la ricerca di un nuovo posto di lavoro.
In un momento di grande incertezza, un’iniezione di certezza. Il tutto avverrebbe in un’economia, si badi, meglio attrezzata ad attrarre capitali stranieri, oggi tenuti lontani dall’Italia anche dall’assurda farraginosità della legge sul lavoro e dalla imprevedibilità dei tempi e dei costi per far fronte a ristrutturazioni aziendali, se non nel caso di fallimento. È quello che avviene in tutta Europa, non solo in Danimarca.
La conseguenza di tutto ciò è che in nessun paese come da noi esistono milioni di giovani che vivono (e invecchiano) nell’attesa di avere un contratto inamovibile che nessun governo sarà mai in grado di garantire loro. Tutto questo va cambiato, e il Pd di questo cambiamento dovrebbe essere il campione.
9 risposte a “Alcune semplici verità sull’articolo 18”
“(…) in un sistema in cui viene predisposto un meccanismo di retribuzione quasi piena per tre anni e di formazione per la ricerca di un nuovo posto di lavoro.(…)”Ciao Ivan, teoricamente il modello Ichino è assolutamente positivo, soprattutto per il punto che sottolineo citandoti, ma oggi il problema principale è far crescere questo paese e questo continente; perché se non cresce il paese, non ci saranno aziende in grado di riassumere le persone licenziate. (vd. Dario di Vico che affronta il caso Electrolux, se vuoi trovi il link sul mio blog). Quello che lascia interdetti è che il dibattito – a destra e a sinistra – sembra incartarsi sul modello giuridico della relazione di lavoro, ma lascia scoperti alcuni elementi di tipo macroeconomico e politico fondamentali per tentare di risolvere il problema della disoccupazione. Infrastrutture, costi dell’energia, rapidità e certezza del diritto; s tutti questi capitoli, e non sono certo gli unici, dobbiamo dire parole diverse e riformatrici, noi insieme all’Europa. Se costruiamo un diritto del lavoro perfetto ma si continua a rimanere un paese debole e dipendente dagli altri, avremo teoricamente ottimi contratti ma sempre de facto più deboli, perché più debole l’economia. Non nego che l’articolo 18 possa essere un problema (però a mio avviso è un fattore sopravvalutato), ma è comunque l’ultimo dei problemi. Oggi le aziende falliscono perché non vendono, non perché sono bloccate dall’art.18. E finché non affrontiamo questo problema, anche giuste idee di riforma del lavoro appariranno idee debolissime, incapaci di fare i conti con una economia che non sta funzionando regolarmente, e che richiede quindi misure straordinarie di intervento.
D’accordissimo. Era, quasi parola per parola, quello che dicevo mercoledì mattina ad Agorà. L’articolo 18 è solo uno dei grumi, tu ne descrivi altri. Io ci metto anche il nepotismo, i monopoli ecc. L’arroccamento sull’articolo 18 è un sintomo chiaro di un problema più ampio e su quello si combatte la battaglia tra il corporativismo imperante e chi prova a liberalizzare e ad aprire davvero.
insomma, il problema è sempre quello: sostituire la tutela reale con quella obbligatoria. quindi il padrone ti mette un mano un po’ di soldi e ti indica la porta.
e non dimentichiamo che qui stiamo parlando di licenziamenti individuali, perché in caso di ristrutturazioni aziendale i licenziamenti diventano collettivi e l’art. 18 già adesso non si applica.
Come si dice dalle mie parti, “pexo el tacon del buso”…
1) Abolire l’articolo 18 per chi ce l’ha sarebbe un’eventualità che non esiste, “dato che nessuno penserebbe mai di fare una cosa del genere”?
Beh, no. Questa era la proposta del governo Berlusconi nel 2002 ad esempio. Ed era anche la proposta dei Radicali al referendum del 2000 (sommerso di no).
2) Ma allora tutto il ragionamento sull’eliminare il dualismo tra garantiti e non garantiti, dove va a finire? Anzi, così istituzionalizziamo il dualismo per legge: per i vecchi articolo 18 per sempre, per i giovani mai e poi mai. Oggi è poco probabile che si giunga ad averlo, domani sarebbe impossibile. Insomma, istituiamo per legge un doppio binario contrattuale su base generazionale. Complimenti per la riduzione del dualismo!
3) Continuate a non spiegare perché i diritti sacrosanti di cui parlate (ferie, malattia, ecc.) devono essere legati alla libertà di licenziamento. Ma perché mai? Non si potrebbe semplicemente introdurre quelle tutele a tutti i contratti, subito, come avviene nel resto del mondo?
4) E resta il mistero di fondo: perché mai il percorso di stabilizzazione dei precari deve passare attraverso una rinuncia al licenziamento per giustificato motivo? Qual è il nesso logico? Tutte le cose che proponete non si possono fare anche lasciando l’articolo 18 così com’è?
Una volta abolito l’articolo 18 per i nuovi assunti diverranno chiari i benefici di un mercato del lavoro non ingessato e meritocratico come diverra’ chiaro a tutti che non e’ possibile avere lavoratori di serie A e lavoratori di serie B in una stessa azienda. Personalmete auspico che a quel punto si opti per trasferire gradualemnte nell’arco di x anni tutti i lavoratori fuori dall’articolo 18.
La tutela maggiore per un lavoratore è saper fare qualcosa e lavorare in un azienda che ha un disperato bisogno che lui lo faccia. Ergo crescita. I precari sono precari perchè non c’e’ lavoro ed il problema non è giuridico ma economico. Il dibattito (Monti almeno una giusta con l’irap l’hai fatta) dovrebbe concentrarsi sul cuneo fiscale e sul costo TROPPO ALTO del lavoro e anche sui conseguenti redditi disponibili troppo bassi.
Per capire che il problema sta li basta vedere i dati di precariato nelle imprese con meno di 15 dipendenti dove l’art 18 non c’e’. Beh sono anche peggio (pubblica amm a parte) dei dati delle grandi imprese perchè al piccolo imprenditore pesa di più il costo fiscale del lavoro. Il giorno che il lavoratore precario costerà di più o uguale globalmente al lavoratore a tempo indeterminato l’azienda non avrà più interesse ad avere uno stuolo di dipendenti precari che ti possono salutare dalla sera alla mattina magari via sms 🙂
Ma quel giorno dovrà anche essere quello dove una azienda non tira fuori 100 per dare 70 lordi ad un dipendente che ne può poi spendere solo 40!!!!!!
questi sono gli spietati numeri della realtà! mettere una assicurazione obbligatoria che ti tuteli x licenziamento vuol dire portare quel numero a 115, una ulteriore cavolata perchè ci si allontana dal cuore del problema.
Se qualcuno mi spiega il nesso di causalità fra la mia rinuncia all’art,18 e la creazione dun posto di lavoro decente per mia figlia “pagfo da bere”.
Io sono incredulo. Scrivo tutto un articolo per dire che I CONTRATTI GIA’ IN ESSERE NON SONO SOGGETTI A MODIFICHE e nasotommaso mi chiede del nesso di causalità tra la “sua rinuncia all’articolo 18” e il lavoro di sua figlia. NESSUNO CHIEDE A CHI HA L’ARTICOLO 18 IN QUESTO MOMENTO DI RINUNCIARVI.
COL MAIUSCOLO E’ PIU’ CHIARO?
Iva, tra le semplici verità sull’art. 18 non emergono quelòle più solari. Dovresti leggere questo commento (http://www.orticalab.it/Articolo-18-il-peso-dell-ideologia), che mette a nudo l’impronta pericolosamente ideologia (tanto più se proveniuenete da un governo privo di mandato elettorale) della riforma Fornero