3 Giugno 2012

Il campus di UCLA

Viaggi

Ieri pomeriggio (da voi era notte), appena arrivato qui a Los Angeles sono andato a fare un giro per il Campus di UCLA. Come posso descrivere l’incanto? Una cosa da film. Viali larghi, alberati e tranquilli. Prati verdi, tutto lindo e pulito, una sacco di facce di giovani a rappresentare tutti i popoli del mondo. Un via vai rarefatto e sereno di gente con facce distese. Istituti di ricerca, facoltà, biblioteche: tutto un senso di perfetta organizzazione e come l’eccellenza che si manifestasse orgogliosa ma discreta ai nostri occhi. Giravo col mio amico e collega Andrea Notarnicola, che è il responsabile della formazione di Parks, e entrambi ci guardavamo intorno come ipnotizzati. Nascere e crescere qui, ci siamo detti, è diverso che da nascere o crescere a Foggia (io) o a Trieste (Andrea): le opportunità sono diverse anche sulla base del luogo dove nasci. Una banalità, a ben pensarci e lo sappiamo bene noi, in Italia, che ospitiamo tanta gente che arriva da fuori aspettandosi di trovare da noi un’opportunità nonostante i problemi del nostro paese. Non so come descrivere meglio il senso di ammirazione che abbiamo provato ieri se non dicendo che, nel camminare tra i viali dell’Università della California, ho sentito netto quel senso di opportunità che da noi manca – nonostante tutti i problemi che ci sono anche qui negli Stati Uniti. Se avessi un figlio, ho pensato, vorrei che potesse studiare qui.

8 risposte a “Il campus di UCLA”

  1. rosa ha detto:

    e se il figlio non volesse???? io ho un figlio all’università, vorrei che studiasse lì, ma non vuole…capita! lo si accetta e si spera che anche in italia arrivi quanto hai visto in california…

  2. Guido ha detto:

    Complimenti, questo post vince di sicuro il premio Strega – categoria Banalità. Chiunque sia andato all’estero in quasi tutti i paesi europei o in nordamerica, si trova a fare costatazioni simili alle tue, e non solo per le università, ma per le stazioni dei treni, il trasporto pubblico, gli asili, gli ospedali, ecc… ecc… Da un politico, vicepresidente del maggiore partito nazionale, ci si aspetterebbero dei progetti e delle soluzioni per migliorare la situazione attuale e non lo sbigottimento di fronte ad un Paese che offre dei servizi di buon livello a fronte della riscossione di tasse dai cittadini, come dovrebbe essere dovunque.

  3. scalpha ha detto:

    Mi mancava tanto un commento che contenesse l’ineffabile frase: “Dal vicepresidente del partito ci si aspetterebbe”. Caro Guido, dato che la carica di vicepresidente del partito non mi appartiene a vita, dal vicepresidente del partito ti arriva ciò che Ivan Scalfarotto pensa. Sei libero di criticare quello che penso, ma non di aspettarti che dal vicepresidente del partito ti arrivino solo perle di saggezza zen. Quando leggo questo tipo di argomentazione penso che la casta viva innanzi tutto nella testa di noi cittadini.

  4. andrea ha detto:

    Certo, tante opportunità per pochi. Siamo sicuri di volere un sistema come quello?

  5. scalpha ha detto:

    L’alternativa è pochissime opportunità per tutti. Dovendo scegliere, non ho esitazioni. A patto che la scelta dei “pochi” sia esclusivamente basata sul merito.

  6. zoom ha detto:

    io non so se il sistema accademico americano sia esportabile in Italia per una miriade di motivi. Però vedere come di fronte all’evidenza di una netta superiorità molti commentatori anzichè interrogarsi su come recuperare il gap, come rendere le nostre università dei posti migliori di quello che sono, cosa possiamo copiare a chi indubbiamente ha saputo fare meglio, molto meglio, si nascondono dietro frasi fatte anni 70. I laureati in america sono più numerosi che in italia, molte delle università americane migliori sono pubbliche, gli studenti meritevoli, anche se poveri, ottengono borse di studio sufficienti a completare gli studi senza troppi sacrifici. Soprattutto coloro che poi si laureano, quasi tutti, in un paese che non riconosce valore legale al titolo di studio, hanno aspettative di impiego e remunerazione inimmaginabile per i loro pari grado italiani. Alla faccia degli slogan e dei luoghi comuni autoconsolatori.

  7. andrea ha detto:

    Se è a me che il commentatore si riferiva non volevo ragionare per slogan ma cercare di introdurre una problematica in maniera sintentica. La nostra Costituzione attribuisce il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi(sic) non ai “più meritevoli” ma a coloro che sono “capaci e meritevoli”, concetto che mi sembra più ampio e più rispondente a un vero criterio di giustizia sociale. Che poi da questa valutazione non debba derivare una acriticità verso la situazione italiana è scontato; credo che sia un po’ meno scontato decidere da chi dovremmo imparare o avventurarsi in giudizi di “evidente superiorità”. Io ho avuto delle esperienze di studio all’estero e non ho mai avverito di avere una preparazione inferiore ai miei colleghi stranieri, anzi ho sempre ricevuto riconoscimenti e apprezzamenti in sede di valutazione. Il problema dell’Università italiana, oltre a quelli organizzativi e strutturali che sono quelli più evidenti ma che non incidono necessariamente sulla qualità della formazione, è il suo essere in bilico fra la gestione di un’utenza ormai molto ampia e la richiesta di un carico di studio tendenzialmente uniforme, con oscillazioni fra l’abbassamento del livello(per frenare la dipersione) e la dipersione. Credo che per ridare all’Università il proprio ruolo e per creare più qualità ci vorrebbe un forte intervento nel campo del mercato del lavoro e soprattutto investire nella formazione tecnica superiore(formazione extrauniversitaria di figure professionali) o comunque, visto che ci viene richiesto un numero maggiore di laureati(criterio in sé discutibile) servirsi del 3+2 per la creazione di percorsi triennali maggiormente professionalizzanti e alternativi a quelli classici.

  8. zoom ha detto:

    le cose che dice andrea mi sembrano più che condivisibili però aggiungerei alcune precisazioni. Fino a qualche anno fa, direi fino all’introduzione del 3+2 i laureati italiani erano mediamente più preparati dei loro pari europei e nordamericani. Il motivo non era però da ricercarsi nella maggiore qualità dell’istruzione ch ericevevano ma nel fatto assai meno positivo che all’università ci andava una ristretta elite e che a laurearsi era meno del 30% delle matricole. Per superare gli esami occorreva studiare di più che altrove punto. L’offerta era comunque scadente. Prova ne è che in tutta la mia carriera universitaria non ho mai visto un professore ma neanche un assistente non italiano e che esclusa la sparuta rappresentanza erasmus, gli unici studenti stranieri erano qualche albanese e un paio di rumeni. Chi scrive ha seguito per anni lezioni in cinema e teatri, ha superato esami in cui era il millesimo esaminando della giornata e studiato in una biblioteca con 40 postazioni per 16.000 iscritti. Ecco, nella mia università si organizzavano raccolte firme contro l’ingresso dei privati negli atenei, come se i palazzinari romani facessero la fila per investire in un sistema dove le cattedre si ereditano, i professori ordinari vantano hanno una attività scientifica prossima allo zero e gli studenti sono semplicemente una rottura di palle con cui le burocrazie accademiche sono costrette a far conto. Quando parlo di modelli esteri cui ispirarsi mi riferisco a questo, a prescindere ripeto, dal fatto di cui sono ben conscio che il sistema americano non è importabile in Italia.