14 Agosto 2012

Una lezione britannica

Europa Quotidiano

Il mio pezzo per Europa di oggi.

Se qualcuno avesse avuto gli occhi per guardare in fondo al cuore degli ottantamila londinesi che domenica sera hanno affollato la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi, ci avrebbe sicuramente trovato un piccolo grumo scuro. Un nodo che era lì da anni e che si è collettivamente sciolto solo con l’estinguersi della fiamma olimpica nel braciere dello stadio olimpico e con l’evidenza della perfetta riuscita di questi Giochi.
Erano passate soltanto alcune ore dall’assegnazione delle Olimpiadi a Londra quando, il 7 di luglio del 2005, le bombe esplosero nel metrò e sugli autobus uccidendo 55 persone e ferendone 700. Il peggior momento nella storia della città dalla fine della seconda guerra mondiale aveva suggellato col sangue l’inizio dei sette anni di lavori di pianificazione e di organizzazione. Che hanno condotto al trionfo di fuochi d’artificio sopra il cielo di Stratford, il quartiere desolato della periferia est trasformato in pochi anni nell’ombelico del mondo che è stato per le ultime due settimane.
David Cameron, il primo ministro, ha detto «Britain has delivered». «To deliver»: un verbo difficile da tradurre in italiano, in questo senso. Sta a significare mantenere l’impegno preso, consegnare ciò che si è promesso di fare entro una certa scadenza e mantenendo i livelli di qualità pattuita. Gli ha fatto eco lord Sebastian Coe, presidente del comitato organizzatore, che – davanti allo stadio gremito per la chiusura – ha detto: «Il comitato internazionale olimpico ci ha accordato la propria fiducia e noi abbiamo dimostrato di averla meritata». I Giochi sono stati un successo, da tutti i punti di vista. Il consenso popolare, innanzi tutto. I sondaggi pubblicati dai giornali hanno segnalato un sostegno superiore al 90 per cento dei londinesi, anche per i soldi pubblici spesi in un momento di crisi. Tutti sono stati parte dello sforzo: dalla regina Elisabetta che ha accettato addirittura di prestarsi alla recitazione accanto a Daniel “007” Craig ai 70mila volontari che hanno sostenuto l’impegno della città sorridendo ai turisti e dando loro indicazioni da ogni angolo di strada: dagli aeroporti alle strutture olimpiche, dalle stazioni alle vie del centro. Il medagliere britannico, poi. Il “Team GB” si era impegnato a far meglio di Pechino (48 medaglie) e di farlo guadagnando successi in un numero più ampio di discipline. Alla fine le medaglie sono state 65, di cui 29 d’oro (Italia, Francia e Germania insieme sono arrivate a 30). Tutto questo grazie a una grande programmazione che ha previsto anche l’individuazione sistematica di atleti che potessero essere destinati a discipline olimpiche sulla base delle proprie caratteristiche fisiche: Helen Glover, medaglia d’oro nel canottaggio, non era mai salita su una iole prima del 2008.
Lo slogan dei giochi “Ispirare una generazione” è stato dedicato all’idea che le Olimpiadi dovranno servire ad avvicinare più giovani allo sport e allo spirito olimpico, e di questo dovrà occuparsi Lord Coe dopo la chiusura delle prossime Paralimpiadi.
Il successo è servito anche a consolidare l’idea di un paese multiculturale e aperto, soltanto a un anno da quei “riots” che sembravano avere messo in crisi il modello di inclusione etnica che ha fatto di Londra la città più cosmopolita del modo. Durante il “Super Saturday” che ha portato ben tre medaglie d’oro in un’ora soltanto nella disciplina regina, l’atletica leggera, i vincitori sono stati in ordine di apparizione: l’eptatleta Jessica Ennis, figlia di una madre bianca e di un padre di origine giamaicana; Greg Rutherford, saltatore in lungo dall’aria stereotipicamente britannica a cominciare dal rosso dei capelli, e Mo Farah, vincitore dei 10mila e poi anche dei 5mila, nato in Somalia e arrivato a Londra all’età di otto anni. È stata la celebrazione di una città che appartiene al mondo e il cui modello di inclusione, serietà e rispetto nessuna bomba potrà fermare. La sfida con chi ha cercato di ferirla è stata vinta. Il nodo è sciolto, il testimone ora è alla prossima generazione.

2 risposte a “Una lezione britannica”

  1. giovanni ha detto:

    Caro Ivan
    tutto secondo il migliore copione. Quartiere periferico rigenerato, grande attenzione da parte dei londinesi ed organizzazione sportiva ottima. Tuttavia qualche voce critica mi è capitata di ascoltarla. Da fuori Londra, tra Coventry e Birmingham, dove sto lavorando da qualche tempo. In quello che un tempo era il distretto automobilistico inglese per antonomasia, e dove ancora oggi ci sono molte case automobilistiche che hanno i propri uffici. Molte delle persone che lavorano in magazzino o in officina durante le pause pranzo avrebbero preferito un edizione piu sobria con particolare riferimento alle cerimonie di apertura e chiusura. Londra è Londra, una realtà a sè stante rispetto all’Inghilterra. Dove un tempo si faceva produzione industriale oggi si fa fatica come in tutto il resto dell’Europa. Perchè riduzioni di orario e licenziamenti ci sono anche qui, eccome. E come da tutte le parti, mentre l’amministratore delegato gira su una macchina da 350.000 euro il mio amico Tony lavora due ore in meno al giorno.
    A presto,
    Giovanni

  2. Italo ha detto:

    Son fatti così…Non hanno voluto ricordare neppure la strage di Monaco 72…