Alla riunioni dei “montiani” (Morando, Ichino, Gentiloni ecc.) che si è tenuta a Roma sabato scorso, Tommaso Nannicini ha citato il dilemma del prigioniero, quel gioco in cui si immagina che due complici siano fatti prigionieri e, rinchiusi in celle separate, debbano scegliere se confessare oppure no.
Se uno solo dei due confessa sarà libero e l’altro sarà incarcerato; se nessuno dei due confessa saranno imprigionati per una pena lieve; se entrambi invece confessano, andranno in prigione ma con un piccolo sconto. La teoria dei giochi dice che l’unico equilibrio possibile è che entrambi confessino, e che vadano in prigione entrambi.
A me pare soprattutto una questione legata alla fiducia. In fondo se i due fossero una squadra vera potrebbero essere sicuri che nessuno dei due confesserà e che se la caveranno con poco. Se entrambi confessano è in fondo perché ciascuno dei due è sicuro che l’altro lo tradirà e quindi conviene almeno portarsi a casa il piccolo sconto legato alla confessione.
La morale è che potersi fidare conviene, e che non fidarsi costa. Non so perché, ma mentre Nannicini parlava mi è venuto in mente di tutte le volte che ho visto gruppi di lavoro infrangersi sul tema della fiducia reciproca. E anche dei prezzi che tutti collettivamente hanno pagato per aver dato per scontato che i propri compagni di squadra sarebbero venuti meno alla parola data.