L’Italia è il Paese del valore legale del titolo di studio, dove ciò che si è imparato è meno importante della certificazione di ciò che si è imparato. E’ il paese degli ordini professionali, dove per fare un mestiere devi avere il permesso ed essere certificato da chi già lo fa. L’Italia è il paese delle code, del “take a number”: prendi il tuo numerino e aspetta. E’ il paese degli avanzamenti e delle promozioni per anzianità. Il luogo in cui impera l’avversione al rischio, ragion per cui il candidato migliore per un certo lavoro viene scelto sulla base delle sue performance passate invece che per la sua attitudine a ricoprire ruoli futuri. Tutto il focus è sulla prestazione, nessuno sul potenziale.
Lavorando per una grande azienda americana ho imparato che un lavoro si dà solo e soltanto alla persona migliore per quella posizione, chiunque quella persona sia: non c’è un’età, un’etnia, una nazionalità, un’abilità, un orientamento sessuale che possano definire a priori il candidato migliore per ricoprire un ruolo. Ci sono carriere lunghissime e carriere più brevi, dipende dalla capacità di fare il salto che non tutti hanno e che non sempre c’è. A un certo punto ci si ferma. Qualcuno prima, qualcuno dopo. Qualcuno, invece, per fortuna sua e dell’organizzazione, non si ferma mai.
Per questo ho trasecolato oggi davanti alle parole di Sergio Marchionne su Matteo Renzi: “Penso che per la sua età e per l’esperienza limitata sia, almeno per il momento, non adeguato ad assumere una posizione di leader in un contesto economico e sociale complesso come è oggi quello italiano. A mio parere, una maggiore esperienza, che può solo accumularsi nel tempo, lo renderà più maturo…”
Da direttore del personale so benissimo che Sergio Marchionne non penserebbe mai una cosa simile dovendo scegliere un talento per la sua azienda e che licenzierebbe in tronco l’intero staff delle risorse umane che si presentasse a lui con una simile strategia. Mai e poi mai gli avrebbero affidato la Chrysler se avesse rivelato a Obama e ai suoi che in Fiat i dirigenti si scelgono sulla base della loro età o anzianità, e che se non sono abbastanza bravi vengono messi in una stanza a maturare.
Se il metodo è quello di valutare la gente sulla base di certe caratteristiche – come l’età – non dovremmo stupirci allora se qualcuno dicesse che le donne non sono adatte a fare gli ingegneri o i magistrati, o che quelli di colore o coloro che non si muovono sulle proprie gambe non sono adatti a ricoprire posizioni di responsabilità politica. Si chiamano “pre-giudizi”, perché giudicano non una persona ma tutta una categoria di persone, senza fare differenze. Di tutt’erba un fascio, si dice.
Non è quindi solo una questione di correttezza politica: è una questione di efficacia, di bontà delle decisioni prese. Il problema è che un’organizzazione funziona bene solo se le scelte sulle persone sono basate sul loro talento individuale, non su dei cliché e nemmeno sull’esperienza o sul buon senso comune. Perché è vero che a otto anni in genere non si è in grado di scrivere una sinfonia, ma è pur vero che Mozart andava ascoltato, prima di giudicarlo. E lo stesso Obama in fondo, prima di diventare presidente degli Stati Uniti d’America, aveva soltanto fatto per due anni il senatore e nessun industriale o giornalista ha mai pensato di screditarlo perché non era abbastanza vecchio per fare quel mestiere. E del resto, come chiunque faccia il mio di mestiere sa, il modo migliore di perdere un talento e di farlo finire alla concorrenza è quello di non riconoscerne le capacità e di non dargli una sfida successiva che gli o le consenta di misurarsi con le proprie capacità e di continuare a crescere.
Generalizzare è dunque sbagliato, punto. Dire che Renzi non può governare l’Italia per via della sua età e della sua inesperienza (che dell’età è in questo caso una conseguenza) equivale dunque a dire che nessuna persona della sua età può farlo e che l’età è prevalente rispetto alle differenze tra i singoli all’interno di quella categoria.
Se Marchionne ha da dire qualcosa sulle capacità di Renzi, insomma, lo faccia. Ma parli delle capacità di Renzi, non di quelle della gente dell’età di Renzi. Sarà un contributo iniziale a fare di questo paese un posto migliore, più competitivo e più sano. Marchionne, ne sono certo, queste cose le sa. Dichiari per favore di conseguenza.
4 risposte a “Di Marchionne e del talento”
Marchionne sembra sempre di più il pupazzetto degli Agnelli…
e come spiega il fatto che gli USA hanno un tasso di mobilità sociale tra i più bassi al mondo e che ai vertici di colossi come Bank of America e atri siano arrivati dei perfetti idioti? (leggere The big short per credere)
La sua, caro Scalfarotto, e’ una banalissima generalizzazione.
L’eta’ ha la sua importanza. Se un dipendente “maturo” e’ un asino il salto di carriera non lo fa. Nessun imprenditore o “direttore del personale” offre opportunita’ ad un “maturo” dipendente che brilli per la sua incompetenza favorendolo rispetto ad un “giovane” che invece dimostra il contrario.
Lei ha una visione per cosi dire “mitica” della cultura aziendale e di quella politica del mondo anglosassone.
Quella di Marchionne e’ un opinione personale nei confronti di un individuo singolo. Ritenere che sia troppo giovane per certi ruoli riflette l’impressione che di quell’individuo singolo si e’ ricavata.
Se l’impressione fosse stata diversa, la considerazione sulla giovane eta’ non sarebbe emersa.
Una persona della competenza di Marchionne ha “sentito” che Renzi e’ “giovane” , Non ha detto che i “giovani” devono essere subordinati agli anziani nelle scelte aziendali. La scelta dipende sempre dall’impressione che si ricava dal quel giovane o da quell’anziano. E puo’ rivelarsi “giusta” o “sbagliata” in ambedue i casi.
Inoltre il mito che in USA e UK siano tutti “competenti”, come traspare quando Lei dice che “lavorando per una grande azienda americana ha imparato che un lavoro si dà solo e soltanto alla persona migliore per quella posizione”, viene in modo clamoroso sfatato dal declino politico ed economico che sta caratterizzando l’universo politico ed economico anglosassone.
A cominciare da Obama che dopo quattro anni di “Yes, We Can” si presenta all’elettorato con 23 milioni di dis-sotto-occupati e una politica estera a dir poco fallimentare.
marchionne è anziano ed è un dirigente scadente, che non sa cosa voglia dire produrre automobili e per questo sta portando allo sfascio la società di cui è amministratore delegato. renzi è giovane, almeno anagraficamente, ed è un politico che punta tantissimo sull’immagine e sull’affabulazione, nulla sui programmi (il suo programma è, naturalmente, quanto di più sciatto e generico ci possa essere); in più con l’aggravante di sostenere, pur con la solita faciloneria, posizioni di destra da potenziale candidato premier di uno schieramento di centrosinistra. fino a due giorni fa marchionne e renzi si amavano. entrambi avevano il pregio non da poco di sapere nulla di ciò di cui si occupavano; entrambi se la prendevano con gli operai perchè non c’era niente di meglio da fare (e perchè altro non sanno fare, in definitiva). poi il mediocre renzi ha scoperto che, continuando a sostenere a scatola chiusa il mediocre marchionne, forse qualche voto a sinistra lo perde; e allora ha detto “marchionne ha tradito me e isuoi operai” (sarebbe divertente far fare a renzi un paio di stettimane di fabbrica; gli servirebbe senz’altro), rivelandosi come il politico furbacchione e opportuunista che è; marchionne ha risposto per le rime, rivelandosi per il poveraccio con i soldi che è.
nonostante gli sforzi di scalfarotto di salvare capra e cavoli e di dire che tutti e due sono bravi,bravissimi, mi sa che questa volta, come dire, voi “riformisti” (!!!) l’avete fatta fuori del vaso. ben vi sta, alla fine…