Le vicende dell’Italia dei Valori confermano la tesi che sostengo in “Ma questa è la mia gente”. Che fare politica in un paese normale significa farlo in un modo normale: entrando in partito, portando avanti con lealtà la propria militanza e, eventualmente, se si ricoprono posizioni di minoranza, provando a lavorare per diventare maggioranza. Il che non vuol dire, come mi è stato rimproverato da una simpatica compagna di partito su twitter, “non voler bene” al partito o “mancare di rispetto” al segretario, per il semplice motivo che il partito va molto oltre le persone del segretario pro-tempore e dei suoi competitori. Va bene, insomma, contendersi il partito operando in buona fede per il bene di un partito destinato a sopravvivere ai suoi protagonisti. Quello che non va bene è invece fondare e avere una pletora di partiti, tutti con un cognome inciso o stampato su simboli, bandiere e targhe degli uffici. Anche perché un partito personale non ha più senso senza il suo fondatore. Cosa fanno all’IdV se Di Pietro se ne va? E al PdL senza Berlusconi? Tutto questo non fa nessun bene, secondo me, alla nostra democrazia. È per questo che, con tutti i suoi difetti, ho scelto e scelgo tutti i giorni di militare nel Partito democratico, ed è per questo, appunto, che alla fine penso sempre e comunque che la mia gente sia proprio esattamente quella lì.
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Ivan Scalfarotto
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno nel Governo Draghi. Deputato di Italia Viva. Mi occupo di democrazia, di diritti e libertà, di enti locali, impresa e affari internazionali.
Ho fondato Parks - Liberi e Uguali.