Che bell’articolo ha scritto oggi Michela Murgia su La Stampa! Un pezzo da par suo: bello, intelligente, che gratta sotto la superficialità del dato evidente per cercare una verità meno comoda e nascosta subdolamente tra le pieghe dei fatti. Mi ero chiesto anch’io, leggendo rapidamente delle motivazioni della sentenza che ha condannato Salvatore Parolisi all’ergastolo, come diavolo avesse fatto il giudice a tessere questa trama così dettagliata e romanzesca basata su elementi di cui mai avevo sentito o letto sui giornali. Tutte cose che delle cronache del dibattimento e dalle (anche troppe) trasmissioni televisive sul fatto di cronaca non erano mai emerse.
Il giudice ricostruisce una storia in cui la vittima vessava psicologicamente il marito, il quale, vistosi rifiutare un rapporto sessuale in un prato, l’avrebbe uccisa. Ha ragione Michela a dire che “È Melania Rea che è morta, ma nelle motivazioni della sentenza la vittima alla fine è Salvatore Parolisi”. Mi viene da aggiungere che sulla violenza nei confronti delle donne, prima ancora che le sanzioni penali, conterebbe costruire una cultura, uno stigma sociale, che non solo sentenze come questa ma anche cose molto più leggere non contribuiscono certamente a produrre.
Ieri sera, per esempio, vedevo un eccellente talk show politico in cui tutti – conduttore, politici, giornalisti – erano uomini. Ora è chiaro che è proprio in questo modo che si costruisce uno stereotipo, una normalità culturale e dell’immagine pubblica, per cui le classi dirigenti sono fatte (e devono normalmente essere fatte) da uomini. Specie quando ci si occupa di questioni “serie”: l’economia, il lavoro, la “grande” politica: tutte cose da sigaro e scotch in un vecchio pub londinese gentlemen only.
Bersani ha detto ieri dalla Gruber che il prossimo gruppo parlamentare del PD avrà un numero di donne senza precedenti, in linea con i migliori paesi europei. Ecco, noi ripartiamo da lì.