Marckuck propone un’intrigante soluzione aritmetica per arrivare a una maggioranza al Senato e consentire a Bersani di formare un governo e a M5S di votare i provvedimenti volta per volta: potete leggerla qui, ma in sostanza l’idea è quella di non far uscire tutti i senatori grillini al momento della fiducia, ma di lasciarne dentro quei tanti (20) che consentirebbero a Grillo di votare no, di mantenere il numero legale anche in caso di uscita dall’aula di PdL e Lega, e di far ottenere a Bersani la fiducia.
Interessante sul piano aritmetico, resterebbe evidentemente in piedi il nodo politico: il governo sarebbe sostanzialmente nelle mani di Grillo, che potrebbe farlo cadere a sua discrezione. A me non pare che il fondatore di M5S abbia intenzione di collaborare: per il semplice motivo che il suo obiettivo è quello di cambiare i connotati della democrazia rappresentativa. Superare la democrazia come l’abbiamo conosciuta finora e stabilire una nuova forma di governo non basata sulla delega: il deputato non deve più chiamarsi deputato perché non rappresenta nessuno, a parte se stesso. Uno vale uno, come se fossero personaggi di un reality show e non rappresentanti della nazione.
Resta da vedere che differenza ci sia tra Beppe Grillo e i suoi eletti, e anche quale sia il minimo comune denominatore tra di essi. Chi ha fatto scelte politiche in passato le ha fatte anche sulla base di un set di valori. Dirsi “di destra” o “di sinistra” serviva a stabilire una cornice dentro al quale muoversi e c’è da giurare che chiunque venisse eletto in un partito (con alcune eccezioni tipo il Senatore De Gregorio, ma si sa che l’eccezione conferma la regola) condividesse almeno quei particolari valori con i suoi compagni di lista.
In questo caso ciò non è. Dai rappresentanti di M5S abbiamo sentito sui temi singoli (prendete ad esempio i diritti civili) tutto e il contrario di tutto (qui sotto il video di Francesco Perra, candidato non eletto al Senato, sul quale lascio a voi ogni commento). Il tema è allora quale sarà il collante di questi 160 e passa parlamentari, soprattutto se la legislatura dovesse durare più di un respiro.
Come si muoveranno nello spazio politico soprattutto, se dovesse accadere, dopo aver ottenuto alcuni dei risultati principali che si erano proposti. Quanto si sentiranno liberi di esercitare quel mandato senza vincoli di cui parla la Costituzione – contro il quale Grillo si è già scagliato – e quanto invece saranno ligi alle direttive di Casaleggio. Cosa faranno nel caso in cui non dovessero trovarsi d’accordo con quelle direttive: voteranno secondo coscienza o si atteranno a un ruolo di meri esecutori della volontà dei capi? Sono tutti interrogativi ai quali in questo momento nessuno, nemmeno Grillo, può dare una risposta.
2 risposte a “Il minimo comune denominatore”
Condivido pienamente (ed ovviamente) tutte queste perplessita.
A parte il grande guru (di cui ho un giudizio pessimo) vedo tra i militanti del M5S tante idee poco chiare e molto naive su come funzionino tante cose.
Sono molto curioso di vedere cosa ne sara’ del movimento tra cinque anni e cosa ne penseranno i suoi militanti.
Grazie per la citazione. Come è stato correttamente detto, la mia “machiavellata” serve a mettere in piedi un governo, che magari poi si frantuma dopo 2 mesi. Ma qualcosa dobbiamo pure inventarci. Diciamo che ci sono solo opzioni cattive e quella che ho descritto vorrebbe essere la migliore cattiva opzione (piccola, vanesia citazione di Argo…).
Per quanto riguarda il discorso dei temi, alla fine se noi come partito avessimo il coraggio di dire “hey, abbiamo il controllo di una camera e la maggioranza relativa nell’altra” e produrre proposte chi lo sa, magari riusciremo pure a spaccarli i grillini. Se invece l’agenda la dettano loro, siamo finiti.