Ieri a Ivrea si è suicidato il tredicesimo detenuto dall’inizio dell’anno. Per questo ho deciso di fare della casa circondariale di Ivrea la seconda tappa del mio viaggio nelle carceri italiane. Sono arrivato questa mattina verso le 11, accolto da un agente della polizia penitenziaria che mi ha detto subito che il loro contratto di lavoro non viene rinnovato da 5 anni. La direttrice era in giorno di riposo, così mi ha ricevuto e accompagnato il comandante della polizia penitenziaria, Commissario Dottoressa Basile. Una giovane donna preparata e capace, e anche coraggiosa. Non dev’essere un mestiere facile, quello.
Il carcere è oggettivamente molto brutto, un’orribile costruzione degli anni 80. I detenuti a oggi sono 277. Dovrebbero essere massimo 180, ma mi hanno spiegato che esiste un concetto di “affollamento tollerabile” che arriverebbe fino a 350 persone. In pratica nelle celle ci sono 2 persone dove dovrebbe essercene solo una. Ed è una struttura che viene utilizzata anche per accogliere detenuti trasferiti da altre carceri gravate da un affollamento ancora peggiore, tipo San Vittore a Milano. Il punto è che così si passano degli anni in un piccolo spazio, costretti a una situazione da polli di batteria. Ci sfugge, secondo me, che la pena a cui si viene condannati è la perdita della libertà personale, non altro: il codice penale prevede la perdita della libertà, non quella della propria dignità. E molti, in carcere, ci stanno ancora prima di essere condannati.
Il detenuto che si è ucciso ieri a Ivrea aveva problemi di tipo psichiatrico, e per questo era in cella da solo. Ha approfittato del cambio del turno tra gli agenti addetti alla vigilanza e si è impiccato ala finestra. Gli eventi di autolesionismo non sono infrequenti. Spesso i detenuti si procurano tagli, inghiottiscono lamette che smontano dai rasoi che vengono loro dati per poter radersi. Mi è stato spiegato che talvolta inghiottiscono anche pile e batterie. E il sostegno di tipo psicologico non è sufficiente. È chiaro che i tagli stanno colpendo anche qui, in un settore di cui nessuno parla particolarmente, Pannella e i radicali a parte. “Non vediamo una fornitura di cancelleria da anni”, mi ha detto la sovrintentende che si è affiancata a me e al comandante per parte della visita.
L’Italia è stata condannata molte volte in sede internazionale per le condizioni inumane e degradanti con cui si svolge la detenzione. Luigi Ferrarella scriveva ieri sul Corriere che il Tribunale di sorveglianza di Milano ha chiesto alla Corte Costituzionale una pronuncia che consenta di differire la pena non solo nel caso, già previsto, di grave infermità fisica, ma anche se la pena si risolva in un trattamento, appunto, inumano e degradante. Se non possiamo mandare in galera qualcuno perché è malato, hanno detto i giudici milanesi, non possiamo nemmeno mandarci qualcuno che è sano e che andandoci si ammalerebbe.
La sensazione è che le carceri siano una specie di discarica umana. Un posto dove mettere dei rifiuti speciali, certi esseri umani, che come tutti gli altri rifiuti vogliamo soprattutto spariscano dalla nostra vista rapidamente. E il cui smaltimento ci illudiamo non essere affar nostro. Sbagliando, nell’uno e nell’altro caso, drammaticamente.
4 risposte a “Ivrea, Casa circondariale”
Il carcere non dovrebbe avere solo la funzione punitiva della privazione della libertà. Dovrebbe anche ri-formare il detenuto, consentendogli di imparare la lingua italiana, se è un detenuto straniero, o la lingua inglese e l’informatica, se è un detenuto italiano. Le carceri dovrebbero essere non solo sufficientemente capienti da consentire un detenuto per cella, ma dovrebbero avere computer con il wi-fi, una palestra, e una piccola biblioteca. Dovrebbero ospitare corsi serali di recupero. In strutture di questo tipo, vale a dire di tipo norvegese o canadese, i condannati dovrebbero soggiornare per la loro completa sentenza, fatte salve le riduzioni di pensa previste dalla legge per buona condotta e simili. Il problema è che in Italia chi parla di costruire nuove carceri moderne viene considerato “giustizialista” anziché di moderno. E il secondo problema è che molti pensano di risolvere il sovraffollamento delle carceri con una bella amnistia, che metterebbe fuori migliaia di persone che, pur avendo commesso un reato e avendo dunque stuprato o delitto in altro modo, sarebbero libere “perché non c’è spazio in galera”. Non è un caso se il maggiore sostenitore dell’amnistia è Berlusconi: se ne avvantaggerebbe lui per primo.
Anche io penso che ci siamo dimenticati che la punizione e’ la privazione temporanea della libertà, non condizioni di vita che negano la dignità, il “carcere duro”. Il numero di detenuti in Italia non è neanche troppo elevato e se questa non fosse l’ultima delle priorità non sarebbe impossibile garantirle. O meglio, non sarebbe troppo elevato se in carcere ci fossero solo i condannati, non anche chi è in attesa di giudizio. Nella tua visita precedente incontravi Rizzoli che non sembrava proprio un inquisito a rischio di fuga, purtroppo per lui. Questa stortura solo italiana dovrebbe essere in testa a tutte le priorità. Salvo i rari caso di pericolo sociale (assassini colti sul fatto e simili) ogni inquisito dovrebbe essere a piede libero, con vincoli ovviamente e cauzioni e accordi per l’estradizione per assicurarsi contro la fuga, ma libero fino alla condanna, se questa poi prevede il carcere. Come nei paesi anglosassoni. Non il contrario come avviene spesso da noi. Certo non dovrebbero esserci tempi troppo lunghi per i processi, ma anche questa e’ una stortura che dovrebbe avere la massima priorità.
Due detenuti o due detenute, nella stella cella, sono anche esposti alla tentazione del rapporto omosessuale. Quando anche resistessero alla tentazione si troverebbero soggetti a forme di sopruso, intimidazione e violenza a sfondo omo-sessuale.
Il bullismo lesbico o gay cui sono esposti i detenuti e’ un fenomeno diffusissimo. Ho parlato con moltissimi ex-carcerati, in Italia e all’estero, e tutti mi hanno confermato che il fenomeno esiste. E colpisce specialmente i nuovi arrivati che si trovano intimiditi nei confronti dei detenuti piu’ anziani i quali, nel tempo, essendosi guadagnati una certa “autorita’” tra i “colleghi”, si imbruttiscono e trovano fonte di appagamento nell’esercitare sugli altri il “potere” acquisito in quel luogo di pena.
Oltre ai manuali di psicologia carceraria, basterebbero a rendere l’idea i migliaia di film ambientati nelle carceri di tutto il mondo: film che fotografano perfettamente il livello di soprusi cui il nuovo carcerato va incontro.
Si sa che la frustrazione sessuale e’ uno dei risvolti piu’ drammatici, dal punto di vista psicologico, della privazione della liberta’.
Io spero che nelle carceri del futuro si tenga conto di questo fattore che concorre assai negativamente sull’equilibrio mentale del detenuto.
Quindi oltre all’introduzione del computer con il wi-fi, di una palestra, di una piccola biblioteca e, aggiungerei, di vari corsi scolastici che tengano mentalente occupati per alcune ore al giorno i poveri detenuti offrendo loro autentiche opportunita’ di recupero culturale e vere opportunita’ di lavoro una volta ritornati nella societa’ civile, io sarei favorevolissimo all’idea di assicurare anche il libero accesso al porno nel privato delle loro celle.
Il sesso vuole la sua parte e non puo’ essere represso durante la detenzione. Se ne deve tenere conto. Ammettere le visite periodiche di fidanzata, mogli e, se necessatio, di prostitute. oltre al libero appagamento delle fantasie sessuali attraverso il porno, contribuirebbe in modo determinante al mantenimento dell’equilibrio psico-fisico e renderebbe assai piu’ agevole l’assorbimento quotidiano delle lezioni scolastiche e quelle di avviamento professionale.
Insomma: il detenuto deve riuscire a mantenere un soddisfacente equilibrio durante il periodo di detenzione, un equilibrio teso a farlo sentire “attivo” in tutte le sfere delle sue emozioni: inclusa dunque anche quella sessuale.
Un giovane, in Inghilterra, INCARCERATO per aver rubato un ginger bread
( un pasticcino) approfittando del saccheggio di un supermarket durante le rivolte giovanili e razziali che periodicamente mettono a soqquadro la Grande Bretagna dove i giovani se la passano assai peggio che in Italia (soprattutto i giovani di colore),….. un giovane,, dicevo, incarcerato per il furto di un dolcetto, si e’ suicidato in carcere e la leggendaria Scotland Yard ha aperto un inchiesta.
Nelle carceri inglesi carcerati e carcerieri se la passano malissimo. Sono molte le inchieste della BBC che trattano l’argomento facendo pressione presso la classe politica affinche anche la GRANDE BRETAGNA si dia una struttura carceraria degna di un paese civile.
La maggior parte delle prigioni inglesi risalgono al periodo vittoriano.
In UK il 95% degli ex-detenuti, tornati in liberta’ dopo avere scontato la pena, torna in carcere nel giro di sei mesi.
Anche la Grande Bretagna deve fare qualcosa nel senso di ri-educare i poveri cristi che delinquono per colpa di una societa’ classista dove il divario tra ricchi e poveri e’ tra i piu’ elevati del mondo.