La mia relazione in aula, stasera, sulla legge contro l’omofobia e la transfobia
La mia relazione stasera in aula alla Camera, se avete la pazienza di leggerla. Altrimenti appena posso seguirà il video.
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Matthew Shepard nacque a Casper, nel Wyoming, il 1° dicembre 1976. Era il primo figlio di Dennis e Judy Shepard. I suoi genitori vissero per un certo periodo in Arabia Saudita, dove suo padre lavorava per una compagnia petrolifera, così Matthew si diplomò presso la scuola americana in Svizzera. Poi si iscrisse a Scienze Politiche, all’Università dello Wyoming. Suo padre lo ricorda come un “giovane uomo ottimista e aperto”. Subito dopo la mezzanotte del 7 ottobre 1998 Matthew, che allora aveva 21 anni, incontrò in un bar Aaron McKinney e Russell Henderson. Shepard chiese loro un passaggio a casa. Fu derubato, picchiato selvaggiamente, legato a una staccionata e lasciato lì a morire.
Matthew fu trovato 18 ore dopo, vivo e in stato di incoscienza, da un ciclista di passaggio che inizialmente lo aveva scambiato per uno spaventapasseri. Aveva una frattura dalla nuca fino oltre l’orecchio destro. Parte del cervello era stata danneggiata in modo tale da risultare compromessa la capacità del suo corpo di regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea e altre funzioni vitali. I medici giudicarono le sue lesioni troppo gravi per poter essere operate. Matthew non riprese più conoscenza e rimase sempre in rianimazione. Morì alle 00.53 del 12 ottobre 1998 all’ospedale di Fort Collins, in Colorado.
La polizia arrestò McKinney e Henderson poco dopo, trovando l’arma insanguinata, le scarpe della vittima e la carta di credito nel loro camion. Il processo ai due aggressori accertò che l’unica ragione per cui Matthew era stato aggredito e ucciso era il fatto che fosse gay. Il 29 ottobre 2009 il Presidente Obama ha promulgato una legge che punisce l’odio nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender. Si chiama il Matthew Shepard Act.
Andrea, invece, era di Roma e aveva 15 anni. Si è ucciso nella sua città il 22 novembre del 2012, l’anno scorso. Lo ricordiamo tutti come “il ragazzo dai pantaloni rosa”. Perché aveva, appunto, dei pantaloni rosa. E poi metteva lo smalto rosa, e aveva anche un quaderno, sempre rosa. Non sappiamo se fosse omosessuale oppure no. Sappiamo però che il suo comportamento non era quello giusto, quello che i suoi compagni di scuola si aspettavano da lui. Un ragazzo non mette lo smalto, non si veste di rosa. E infatti qualcuno sul muro della scuola aveva scritto: ‘Non vi fidate del ragazzo con i pantaloni rosa, è frocio’. Così Andrea si è stretto una sciarpa intorno al collo, si è lasciato andare, ed è morto con i suoi 15 anni.
Il giorno dopo qualcuno scrisse su un blog: “Chiamatela pure omofobia se volete, anche se io ancora non riesco a capirlo questo termine. Omo-fobia: paura dei gay? Paura di chi viene periodicamente pestato a morte? Paura di chi subisce ogni giorno, sotto la nostra indifferenza, violenze psicologiche? A me più che paura sembra odio, perché l’odio è sempre più facile, perché l’amore deve essere corrisposto, l’odio no. Perché l’odio crea facilmente gruppo: si trova un bersaglio e gli si indirizza contro tutto il nostro odio, come se un odio condiviso fosse più giustificabile.”
Ecco. Negli Stati Uniti oggi esiste il Matthew Shepard Act. Qui da noi in Italia, no. Nessuno ha ancora dato una legge che ricordi Andrea e i suoi pantaloni rosa, e che aiuti a evitare che si ripetano casi come il suo. La legge per quelli coi pantaloni rosa non è ancora stata varata. Così come non è ancora stata varata una legge che protegga dall’odio le persone transessuali e transgender, un gruppo talmente odiato in tutto il mondo da essere l’unica minoranza che ha dovuto inventarsi una celebrazione, il TDOR (Transgender Day of Remembrance), per ricordare i propri morti, uccisi per ragioni di odio. Per chi ancora non lo sapesse, si celebra ogni 20 novembre, tutti gli anni, dal 1999.
E’ per questo che siamo qui, oggi. Per cominciare il cammino che ci conduca finalmente ad approvare una legge non tanto contro l’omofobia, la paura dei gay, ma contro l’odio verso di essi. Una legge di civiltà, in nessun modo ideologica, che serva in primo luogo a dire al Paese che la nostra comunità nazionale ripudia ogni forma di odio, incluso quello omofobico e transfobico. Una legge, poi, che spieghi bene che l’”omofobia” e la “violenza omofobica” sono due cose ben diverse. Perché l’omofobia, per essere tale, proprio come il razzismo, non richiede necessariamente la violenza fisica.
In qualità di relatore di questo provvedimento voglio innanzi tutto indicare il metodo con il quale il mio collega Antonio Leone, che voglio subito ringraziare per la collaborazione sempre leale e fattiva, e io ci siamo mossi. Nel lavorare a questa legge abbiamo voluto in ogni modo provare a creare una legge di tutto il Parlamento. Una legge che appartenga a tutto il Paese, come patrimonio collettivo e condiviso. Non una legge di parte, né una legge la cui approvazione costituisca la vittoria di qualcuno e la sconfitta di qualcun altro.
Si dice che la salute di una democrazia si misura dal modo in cui tratta le sue minoranze. Se guardiamo come l’Italia tratta le persone gay, lesbiche, bisessuali e trans c’è da dire che la nostra democrazia è in un pessimo stato di salute. Per questo motivo Leone e io abbiamo voluto procedere ascoltando tutti, tenendo le preoccupazioni di tutti nella massima considerazione.
Abbiamo cercato di agire con prudenza e con rispetto. Maneggiando la nostra responsabilità di legislatori come si maneggia una materia fragile e preziosa. Consapevoli della delicatezza estrema del nostro lavoro: un tessuto delicatissimo, un ponte strettissimo – di quelli fatti di corda, quelli che oscillano pericolosamente sopra la cascata nei film di Indiana Jones – necessario a collegare due posizioni lontanissime, forse addirittura opposte. Quella di chi invoca la propria libertà di coscienza e di pensiero, e quella di chi chiede di poter vivere liberamente nella dignità e nel rispetto.
Due libertà entrambe fondamentali, di cui una limita l’altra ma anche due parti della stessa materia di cui è fatta la democrazia. Due parti intimamente legate, come lo yin e lo yang. Inseparabili e fatte in modo da dare ciascuna vita all’altra. Una però molto yang, maschile e solare: la libertà di pensiero. L’abbiamo vista agitarsi dalle pagine dei giornali, dei blog, nelle discussioni parlamentari, tanto nella Commissione Giustizia che nelle altre commissioni. L’altra libertà: quella di vivere senza essere offesi, privati del rispetto, picchiati, molto più yin, femminile, lunare. Più silenziosa, esile e aerea. L’abbiamo vista e sentita meno, ma è la ragione stessa per cui siamo qui. Perché senza la libertà delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans di vivere in pace, protette dall’odio, dalla violenza e dalla discriminazione questa democrazia non è una democrazia. Due libertà, due diritti, due giuste pretese. Chi ne invoca una, ricordi sempre che ha senso solo se esiste anche l’altra.
Il principio di cui chiediamo l’approvazione da parte di quest’Aula non viene introdotto nel nostro ordinamento con una nuova legge, al contrario. Ciò che vi proponiamo è di utilizzare norme già da tempo in vigore nel nostro ordinamento. Con la proposta di legge della quale discutiamo, infatti, si estendono alle discriminazioni fondate sull’omofobia e la transfobia i reati puniti dalla legge n. 654 del 1975 (cosiddetta «Legge Reale») – che ha reso esecutiva la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, fatta a New York il 7 marzo 1966 – legge poi modificata dal decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993 (cosiddetta «Legge Mancino»).
In buona sostanza si vuole equiparare l’odio basato sull’omofobia e la transfobia a quello, già riconosciuto e punito da vent’anni nel nostro ordinamento, basato su motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o contro gli appartenenti alle minoranze linguistiche. In questo modo si rimuove l’irrazionale differenza che esiste nel nostro Paese, per esempio, tra l’apporre uno striscione gravemente razzista in uno stadio, il che può – almeno in teoria – configurare una condotta antigiuridica, e l’apporre il medesimo striscione, riportante le medesime parole di dileggio, nei confronti delle persone omosessuali. In questo caso fino ad oggi non di reato si tratta, ma di semplice espressione del pensiero, posto che la legge penale non prevede che l’omofobia sia una forma d’odio perseguita dalla legge. E posto che in una democrazia, in uno Stato di diritto, tutto ciò che non è vietato è, deve essere, permesso.
Senza una legge contro l’omofobia e la transfobia, come ci ha confermato il Prefetto Francesco Cirillo in un’audizione in Commissione Giustizia, nemmeno l’OSCAD (l’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori della Polizia) è in grado di tenere una contabilità delle aggressioni, dei pestaggi, delle violenze contro gay, lesbiche, bisessuali e trans. Non c’è una legge che qualifichi questi come reati d’odio, non ci sono dunque nemmeno i numeri e la possibilità di monitorare il fenomeno.
Il testo approvato dalla Commissione è il risultato del raggiungimento di un punto di incontro di posizioni contrapposte che, come ho già ricordato, in alcuni momenti sono sembrate addirittura inconciliabili. La scelta della Commissione è stata quella di adottare un testo unificato delle diverse proposte abbinate per poi approvare un emendamento dei relatori che ha rimodulato il testo finale oggi sottoposto all’Aula. La disposizione centrale del testo base licenziato dalla Commissione era l’articolo 3 che stabiliva l’applicabilità integrale della Legge Reale-Mancino anche in materia di discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima. In sostanza si andava a completare il percorso avviato nel 1993 per estendere ad altre categorie di persone le tutele della Legge Reale del 1975. La legge Mancino ha infatti esteso tali tutele alle vittime di atti di discriminazione e di violenza per motivi etnici, nazionali o religiosi (e in seguito anche alle minoranze linguistiche ex articolo 18-bis della Legge 15 dicembre 1999, n.482).
Da almeno 20 anni il Parlamento si cimenta in questa operazione di adeguamento normativo di una disposizione legislativa che si dimostra quotidianamente lacunosa nel non prevenire e punire fatti di omofobia e transfobia che hanno lo stesso disvalore di fatti che invece sono puniti in quanto il motivo della discriminazione o della violenza attiene, ad esempio, all’etnia o alla nazionalità. La resistenza a questo adeguamento ha trovato varie giustificazioni che sono mutate in base alla formulazione del testo sottoposto al Parlamento, incluso il testo base licenziato dai relatori in Commissione Giustizia in questa legislatura. Si è detto per esempio che le nozioni di “orientamento sessuale” ed “identità di genere” sono indeterminate. Un rilievo inspiegabile, posto che si tratta di definizioni assai ben conosciute sia dalle scienze sociali che dal nostro ordinamento.
Sempre nell’ottica del massimo ascolto, comunque, per superare in radice questa obiezione si è comunque alla fine scelto di utilizzare la nozioni di omofobia e transfobia, che sono ormai comunemente e pacificamente intese e utilizzate in modo inequivoco come il sentimento di intolleranza, equivalente al razzismo, rivolto nei confronti, rispettivamente, delle persone omo e bisessuali (“omofobia”) e transgender o transessuali (“transfobia”).
L’obiezione di fondo è tuttavia un’altra. Si è spesso sostenuto, anche in Commissione, che l’estensione della legge Mancino ad ipotesi in cui la condotta discriminatoria abbia a proprio fondamento l’omosessualità o transessualità della vittima possa comportare l’introduzione nell’ordinamento di un reato di opinione, in contrasto con i principi costituzionali. Ebbene, in realtà questa preoccupazione non è fondata come risulta evidente dal solo fatto che la Corte Costituzionale non ha mai sancito l’illegittimità costituzionale della legge Reale-Mancino.
Dalla stessa applicazione giurisprudenziale della «legge Reale-Mancino» risulta chiaro che molte delle ipotesi di scuola che vengono oggi richiamate per dimostrare i rischi dell’introduzione di reati di opinione sono in realtà dei casi che nel diritto penale vengono ricondotti alla categoria dei «reati impossibili», in quanto la condotta non sarebbe idonea a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico protetto. In sostanza in molti di quegli esempi addotti per dimostrare l’incostituzionalità o, quanto meno, l’inopportunità dell’estensione della legge Reale-Mancino alla discriminazione nei confronti di omo e bisessuali o transessuali, ciò che viene a mancare è la lesione del bene giuridico.
Tanto per essere chiari, dichiarare di essere contrari ai matrimoni tra omosessuali o alle adozioni da parte degli stessi non è per il diritto penale un atto di discriminazione. Se così non fosse dovrebbero oggi essere perseguiti penalmente tutti coloro che sono contrari allo ius soli in materia di cittadinanza. Costoro non vogliono che la cittadinanza sia estesa a certe persone in quanto non italiani sulla base della loro origine nazionale ed etnica, considerando irrilevante il fatto che siano nati in Italia. Non mi risulta che nessun giornalista o esponente politico che sostenga la propria contarietà allo ius soli sia mai stato indagato per la violazione della Legge Mancino.
Peraltro la legge di cui discutiamo oggi non vuole e non deve diventare uno strumento di limitazione di nessuna opinione, nemmeno di quelle più controverse e abrasive. «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo», dice la famosa frase attribuita a Voltaire a cui ciascuno di noi parlamentari certamente si ispira. E in questo senso si è lavorato per introdurre nella norma una clausola di garanzia che specifichi compiutamente, anche nel testo della Legge Mancino, il principio dell’articolo 21 della Costituzione.
So che sono stati presentati emendamenti in tal senso sui quali si è compiuto un lungo lavoro di ascolto e di sintesi, e, in quanto relatore, mi riservo di esprimere il mio parere favorevole cosicché la norma riveniente dal nostro voto rassicuri tutti coloro che sono in qualche modo preoccupati di eventuali compressioni della propria libertà di pensiero. Come ho detto, si tratta di una libertà preziosa che nessuno intende limitare. Questa legge è una legge, e lo dico ancora una volta con chiarezza nella solennità di quest’aula, che vuole moltiplicare la libertà, non limitarla.
La realtà è un’altra ed è inutile girarci intorno: qualcuno teme, sbagliando, che la legge sull’omofobia possa essere la prima crepa nella diga che ha bloccato sin qui tutti i tentativi fatti per assicurare anche in Italia alle persone omosessuali e transessuali gli stessi diritti riconosciuti loro in tutti i Paesi del mondo industrializzato. La diga c’è, come si fa a non vederla, ma la legge sull’omofobia non costituirà (purtroppo, mi viene da dire) la crepa di quel muro. Di ben altro coraggio, di ben altra visione avremmo bisogno! Quella visione, quel coraggio che hanno dimostrato leader di destra e di sinistra in tutta Europa e che in Italia corrisponde solo a un timido balbettio. Lo dico anche a chi ci ha detto: “Ma non avete nulla di più urgente da fare che una legge contro l’omofobia?”
Ebbene: il tema dei diritti delle persone LGBT è un tema centrale nelle agende politiche di tutto il mondo. In Francia, dove già vigevano i PACS, François Hollande mette nel suo programma il matrimonio ugualitario e lo fa diventare realtà in pochi mesi. Negli Stati Uniti il Presidente Obama schiera la sua amministrazione a favore del matrimonio ugualitario nella causa davanti alla Corte Suprema. A Londra David Cameron introduce il matrimonio egualitario spiegando a tutti di essere a favore del matrimonio non “nonostante il fatto di essere un conservatore” ma, al contrario, proprio “a causa del fatto di essere conservatore”. E, si sa, i conservatori – almeno all’estero! – tengono all’istituzione matrimoniale.
Questa legge non sarà dunque lo strumento per introdurre nel nostro ordinamento né il matrimonio né altra forma minore di unione perché qui da noi, rispetto al resto del mondo occidentale, ancora facciamo fatica a vedere la politica come quella cosa che deve rispettare le convinzioni di ciascuno, senza dimenticare però di legiferare sempre per la generalità dei cittadini. Di qualsiasi origine, di qualsiasi fede. E qualsiasi sia il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere.
In queste condizioni, ciò che andiamo ad approvare è semplicemente una norma di civiltà, una legge che serve semplicemente a colmare una vistosa lacuna del nostro ordinamento, estendendo la portata applicativa di una legge che, nella sua struttura, è stata già dichiarata conforme alla Costituzione ed è stata prudentemente utilizzata nei nostri tribunali per la bellezza di vent’anni.
Una legge il cui testo è stato peraltro cambiato nel 2006, dal governo di destra dell’epoca, in senso restrittivo, proprio al fine di evitare la persecuzione delle semplici opinioni. Stupisce quindi che oggi si chieda da parte di taluni esponenti del centrodestra di modificare ulteriormente un testo che hanno riscritto essi stessi e che consideravano perfettamente garantista quando misero mano alla sua riforma.
Per quanto infondate siano tutte le critiche fatte all’estensione integrale della legge Legge Mancino, di queste si è dovuto comunque tener conto, al fine di evitare pesanti contrapposizioni in Commissione tra gruppi politici che avrebbero messo fortemente a rischio, se non compromesso del tutto, il proseguimento dell’iter legislativo. È stato quindi approvato un emendamento dei relatori che allarga all’omofobia e alla transfobia l’articolo 3 della legge Reale, senza però introdurre l’aggravante per i reati prevista dall’articolo 3 della legge Mancino.
Si tratta di una scelta che non condivido in radice ma che ho accettato obtorto collo di assumere, d’intesa con l’altro relatore, solo per non bloccare l’iter legislativo e garantire l’arrivo del testo qui in Aula. Il testo che esaminiamo rappresenta sicuramente un grande passo in avanti, ma non basta. Non è accettabile che la legge Reale-Mancino tuteli in modo diverso taluni gruppi di minoranza (quelli che sono discriminati o subiscono atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), prevedendo una tutela differente e più ristretta per le persone omosessuali o transessuali. Avremmo il paradosso, come ha detto giustamente qualcuno, di avere una legge, nata per combattere le discriminazioni che ufficializza una discriminazione. Una situazione intollerabile, come quella del Sud Africa dell’apartheid, in cui i diritti erano modulati sul grado di pigmentazione della pelle: i bianchi a pieni diritti, i mulatti con meno diritti e i neri senza diritti. Nel momento in cui si decide di procedere in tal senso, la circostanza aggravante prevista dalla legge Mancino rappresenta una delle due colonne (l’altra è la modifica dell’articolo 1 della legge Reale, con l’introduzione delle fattispecie di reato create ex novo dalla medesima norma) sulle quali si basa l’impianto normativo dell’intervento normativo. Senza una delle due colonne, l’intero edificio crolla.
Non si comprendono davvero le ragioni della ritrosia che in Commissione si è registrata verso l’estensione dell’aggravante della legge Mancino da parte di coloro che, partendo da posizioni diverse alla fine hanno condiviso la modifica dell’articolo 1 della legge Mancino. Fatto questo passo, che comunque significa poter punire condotte che fino ad ora non sono considerate reato, dovrebbe venire di conseguenza il passo successivo dell’estensione dell’aggravante della legge Mancino, considerato che in questo caso si tratta di condotte che già sono considerate dei reati. Se si accetta che la violenza, l’odio e la discriminazione fondati sull’omofobia e la transfobia possano diventare reati, tanto di più si deve riconoscere che una condotta che già costituisce reato debba essere qualificata come “aggravata dall’odio omofobico o transfobico” come già accade oggi con i reati aggravati dall’odio razziale.
Prima di concludere mi vorrei soffermare un momento sul parere della Commissione Affari costituzionali, chiamata a fornire un parere di legittimità, che la Commissione Giustizia, con il voto contrario della Lega e l’astensione – per motivi opposti – del Movimento 5 Stelle, non ha ritenuto di accogliere. Mi soffermo in particolare su un paio di punti, ma rimando chi fosse interessato a una più puntuale analisi alla mia relazione che lascio agli atti di questa seduta.
In primo luogo, la Commissione Affari Costituzionali ha sollevato una preoccupazione circa la potenziale violazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza. Secondo i sostenitori di questa tesi, chi subisce violenza per ragioni legate al proprio orientamento sessuale o identità di genere riceverebbe una protezione privilegiata rispetto a chi subisce violenza tout court. A questa obiezione deve rispondersi che, evidentemente, in questo caso ciò che rileva non è tanto la qualità soggettiva dell’identità sessuale della vittima del reato, quanto il motivo del reato stesso e cioè il fatto che il reo fosse stato spinto dall’odio omofobico o transfobico. Vale la pena citare a questo proposito la Sentenza 12 gennaio 2012, n. 563 della 5° sezione penale della Corte di Cassazione secondo la quale “La finalità di odio razziale e religioso sussiste non solo quando il reato (nella specie minaccia) sia rivolto ad un appartenente al popolo ebraico, ma anche quando sia indirizzato a coloro che, per le più diverse ragioni, siano accomunati dall’agente alla essenza e ai destini del detto popolo”.
Altro punto del parere che non può essere accolto è quello in cui si evidenzia la necessità di assicurare il rispetto del principio di libertà di espressione di cui all’articolo 21 della Costituzione evitando il rischio in particolare di scivolare sul delicato territorio dei reati di opinione e di introdurre nell’ordinamento illegittime violazioni delle libertà di manifestazione del pensiero, anche perché potrebbe risultare alquanto difficoltoso sul piano probatorio ricostruire i motivi che hanno determinato l’agire. Mi limito a dire che queste considerazioni investono l’intero impianto della legge Reale-Mancino, che da decenni è passato con successo il vaglio di costituzionalità della Corte Costituzionale. Inoltre vorrei ricordare che non è la prima volta che una fattispecie penale richiede una ricostruzione probatoria dei motivi che hanno spinto l’imputato ad agire.
Vi è infine l’ultima questione sollevata, ma forse quella più rilevante ai fini del proseguimento dell’esame del testo unificato. La Commissione affari costituzionali rileva che al fine del rispetto del principio di determinatezza e di tassatività delle norme incriminatrici (articoli 25 e 27 della Costituzione), risulta necessario richiedere che la condotta di istigazione sia esplicitata, non potendosi mai dedurla dalla opinione espressa (pure se rilevante ai sensi dell’articolo 595 del codice penale). Questa esplicitazione sarebbe garantita dalla specificazione che l’istigazione o la commissione di atti di discriminazione o di violenza debba essere fatta “apertamente”. Anche in questo caso diverse considerazioni portano a non accogliere il rilievo dell’Affari costituzionali. Il primo è molto semplice: l’istigazione o la commissione di atti discriminatori sono nozioni che appartengono al nostro patrimonio giuridico che tiene conto di tutte le evoluzioni ermeneutiche della giurisprudenza. Perché solo oggi si sente l’esigenza di ancorare a qualcosa di oggettivo queste nozioni? Se poi la soluzione viene trovata nella qualificazione di quelle condotte attraverso l’avverbio “apertamente”, si introduce nella fattispecie penale un elemento di indeterminatezza difficilmente superabile se non attraverso la mera discrezionalità (anzi, arbitrarietà) del giudice. Si vorrebbe sanare una presupposta indeterminatezza attraverso un avverbio indeterminato.
Mi dispiace che taluno abbia considerato la scelta della Commissione Giustizia, di non dar seguito al parere condizionato della Commissione Affari Costituzionali, come un grave sgarbo istituzionale. Vi è stato anzi pieno rispetto per quest’ultima Commissione, come dimostra il dibattito che si è sviluppato sul parere espresso. Pieno rispetto non significa però abdicare alle proprie competenze e alle proprie prerogative né tanto meno l’accettazione acritica di ciò che in un’altra Commissione viene stabilito in merito alla formulazione di una norma penale, che è tipica competenza della Commissione alla quale mi onoro di appartenere.
L’Italia ricopre l’incomodo ruolo di fanalino di coda sul tema dei diritti delle persone LGBT in Europa e nel mondo occidentale. Sempre più paesi occidentali, non solo quelli pienamente industrializzati ma anche quelli dell’America Latina riconoscono non solo la piena dignità e protezione delle persone LGBT ma anche quell’uguaglianza che non conosce gradazioni: l’uguaglianza, infatti, o c’è o non c’è.
In psicologia è nota la “gerarchia dei bisogni” concepita dallo psicologo americano Abraham Maslow (è detta anche “Piramide di Maslow”). Come molti di voi sapranno la piramide di Maslow prevede che l’essere umano, una volta soddisfatti bisogni più elementari, si rivolga al soddisfacimento di bisogni più sofisticati: dai bisogni fisiologici si passa ai bisogni di sicurezza, poi a quelli di affetto, a quelli di stima e di successo e, infine, a quelli di realizzazione personale. Le persone omosessuali, bisessuali e trans in Italia sono ancora alle prese con il bisogno molto basilare della sicurezza personale.
Non parliamo di una piccola minoranza: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che almeno il 5% della popolazione mondiale sia gay, lesbica, bisessuale o trans, senza significative differenze di latitudine o di status sociale. E come accade sempre in tema di diritti, lo abbiamo visto con i provvedimenti assunti in questa legislatura in tema di violenza contro le donne, è possibile con questa legge dare un segnale di inclusione e di rispetto non solo alle persone interessate ma a tutto il paese. E’ uno di quei casi in cui la norma penale ha un effetto simbolico che contribuisce a costruire la modernità di un paese e la cultura di una comunità. E’ nella consapevolezza di questa occasione e di questa responsabilità, che auguro a tutti noi buon lavoro.
10 risposte a “La mia relazione in aula, stasera, sulla legge contro l’omofobia e la transfobia”
Mi sembra un buon discorso. Soprattutto perché è onesto e riconosce che quello che state forse per approvare è lungi dall’essere una legge fatta bene, ma al contrario si tratta di una legge che avrà bisogno di una riforma migliorativa nel futuro vicino. Non mi è ancora chiaro se, tuttavia, questa legge rappresenti comunque un passo avanti o no rispetto al vuoto legislativo attuale.
Infatti, lì dove dici: ” Il testo che esaminiamo rappresenta sicuramente un grande passo in avanti, ma non basta. Non è accettabile che la legge Reale-Mancino tuteli in modo diverso taluni gruppi di minoranza (quelli che sono discriminati o subiscono atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi), prevedendo una tutela differente e più ristretta per le persone omosessuali o transessuali. Avremmo il paradosso, come ha detto giustamente qualcuno, di avere una legge, nata per combattere le discriminazioni che ufficializza una discriminazione.”
Sembri appunto dichiarare: approvando questa legge stiamo, per ora, creando quel paradosso stile apartheid. Che poi era appunto ciò che ti avevo fatto notare su questo blog settimane fa. Vuoi vedere che dietro a quel “qualcuno” ci sta il nome mio, alla fine? 😉
Per fortuna che c’e’ Sciltian Gastaldi, lo “stomaco in fuga” nello sperduto Canada che aspetta “la latitanza di Silvio Berlusconi”, ad illuminare l’on. Ivan Scalfarotto sui “paradossi” del testo di legge contro l’omofobia e la transfobia che il Parlamento italiano sta (forse) per approvare.
Senza il contributo di Sciltian Gastaldi, cervello politico e stomaco in fuga, nessuno in Italia, tantomeno i relatori del testo, avrebbe colto le lacunose contraddizioni della Legge contro l’Omofobia e la Transfobia in faticosa fase di approvazione.,
Per fortuna che c’e’ “qualcuno”, in Canada, che vigila e controlla affinche’ la Legge sia una “legge fatta bene”.
Dobbiamo ancora una volta con rammarico constatare che l’assenza dello “stomaco in fuga”, Sciltian Gastaldi, dal Parlamento italiano privi i nostri legislatori di quella guida spirituale di cui tanto abbisognano per dare alla societa’ italiana “leggi fatte bene”..
Speriamo che alle prossime elezioni l’ex-magistrato Ingroia si ripresenti a capo di quella “Rivoluzione Civile” che il Paese aspetta con fremente trepidazione ed offra di nuovo al potenziale onorevole Sciltian Gastalsi un seggio di rappresentanza nel Parlamento nazionale. E speriamo che il futuro onorevole Gastaldi non rifiuti di nuovo la magnifica opportunita’ di poter dare all’Italia intera il contributo che finora, scegliendo la fuga, le ha fatto mancare.
Capiamo l’atroce dilemma nel quale si dibatte una delle menti piu’ lucide e sottili che l’Italia abbia partorito nel Ventesimo Secolo: scegliere una prestigiosa carriera accademica seduto sulla cattedra di Italiano nelle altrettanto prestigiose Universita’ canadesi oppure una folgorante carriera politica nel Parlamento italiano. Ma l’ora e’ solenne ed e’ arrivato il momento di ricordare all’illustre cattedratico italo-canadese che……” Your Country Needs You! “
Alla base dell’ideologia del gender, e spesso usati come supporto scientifico, stanno i Rapporti Kinsey, dal nome dello scienziato americano Alfred Charles Kinsey, il quale condusse esperimenti sul comportamento sessuale delle persone. In questo articolo troverete chi era davvero Alfred Kinsey e quale sia il progetto.
Il 12 maggio 2007 ero a Roma per il Family Day. Sfogliando un quotidiano – non ricordo quale – e ho trovato una intera pagina acquistata da una associazione di «Industriali gay e lesbiche». In questa pagina si affermava che cinque milioni di italiani avevano tendenze omosessuali: una bella cifra! Un asterisco riportava ad una nota a piè di pagina e faceva riferimento al Rapporto Italia 2003 dell’Eurispes. Incuriosito, mi sono procurato il Rapporto e, arrivato a pagina 1091, ho letto queste parole: «Si stima che gli omosessuali in Italia siano circa cinque milioni; secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sarebbero tra il 5% ed il 10% della popolazione italiana». Così, visto che le cacce al tesoro mi sono sempre piaciute, mi sono messo a cercare il documento dell’OMS che stabiliva quanti fossero gli italiani con tendenze omosessuali.
Come maliziosamente pensavo, non ho trovato nessun documento del genere; tuttavia ne ho trovati altri che citavano il famoso 10% e rimandavano ai famosi Rapporti Kinsey. Fine della caccia.
I Rapporti Kinsey sono due volumi intitolati Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna, pubblicati rispettivamente nel 1948 e nel 1953 negli Stati Uniti da Alfred Charles Kinsey e dai suoi collaboratori. I due rapporti furono l’esito di una ricerca finanziata sin dal 1940 dalla Rockefeller Foundation.
Torniamo al famoso 10%. Evidentemente i Rapporti Kinsey non dicono che il 10% della popolazione italiana abbia tendenze omosessuali; né che il 10% della popolazione mondiale abbia tendenze omosessuali. Dimostrano però che il 10% della popolazione statunitense ha tendenze omosessuali? Non esattamente.
Nel primo rapporto, a pagina 636*, si legge: «il 10 per cento dei maschi sono più o meno esclusivamente omosessuali per almeno tre anni tra i 16 e i 55 anni»; tuttavia «il 4 per cento dei maschi sono esclusivamente omosessuali durante tutta la vita, dopo la pubertà». Esclusi dunque gli incidenti di percorso, abbiamo il 4% di popolazione con tendenze omosessuali prevalenti e stabili: ben diverso dal 10% propalato dalle associazioni omosessualiste. Ma ben diverso anche dalle cifre ottenute da tutte le altre ricerche sull’argomento condotte da decenni nel mondo occidentale, per le quali la percentuale di popolazione omosessuale (di volta in volta calcolata considerando il comportamento, le pulsioni o l’auto-identificazione come omosessuale) si aggira intorno all’1-1,5%.
Da dove arriva, dunque, il 4% di Kinsey?
Semplice: Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25 % dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50 % degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti.
Ma la frode scientifica non è l’unico aspetto problematico del lavoro di Kinsey. Kinsey ha raccolto la più grande raccolta di materiale pornografico al mondo («Seconda soltanto a quella conservata al Vaticano», come amava ripetere per sconvolgere i suoi interlocutori), che ancora adesso viene periodicamente mostrata al pubblico. Kinsey e i suoi collaboratori (con mogli ed amici) si prestavano personalmente, come attori, fotografi e registi, per incrementare questa collezione.
L’aspetto però più inquietante di questo personaggio riguarda gli esperimenti sessuali condotti su bambini.
Nel paragrafo intitolato L’orgasmo nei soggetti impuberi (pp. 105 – 112) del primo Rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: «In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]» (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: «Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo» (p. 110).
Nel secondo Rapporto esiste un paragrafo intitolato Contatti nell’età prepubere con maschi adulti, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti, ovviamente alla presenza di Kinsey e colleghi. Le osservazioni condotte inducono Kinsey a sostenere che
“Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici. Quando i bambini vengono posti in guardia di continuo dai genitori e dagli insegnanti contro i contatti con gli adulti, e quando non ricevono alcuna spiegazione sulla natura esatta dei contatti proibiti, sono pronti a dare in manifestazioni isteriche non appena una qualsiasi persona adulta li avvicina, o si ferma a parlar loro per strada, o li carezza, o propone di fare qualcosa per loro, anche se quella persona può non avere alcuna intenzione sessuale. Alcuni tra i più esperti studiosi di problemi giovanili, sono addivenuti alla convinzione che le reazioni emotive dei genitori, dei poliziotti e di altri adulti i quali scoprono che il bambino ha avuto contatti, possono turbare il fanciullo più seriamente degli stessi contatti sessuali. L’isterismo in voga nei riguardi dei trasgressori sessuali può benissimo influire in grave misura sulla capacità dei fanciulli ad adattarsi sessualmente alcuni anni dopo, nel matrimonio.
Vi sono, naturalmente, esempi di adulti che hanno inflitto lesioni fisiche a bambine con le quali avevano tentato contatti sessuali, e possediamo le biografie di alcuni maschi responsabili di tali lesioni. Ma i casi del genere sono la minoranza, e il pubblico dovrebbe imparare a distinguere i contatti di tale gravità da altri contatti con adulti che, con ogni probabilità, non possono fare alla bambina alcun male apprezzabile, purchè i genitori non si turbino. Il numero straordinariamente piccolo dei casi in cui la bambina riporta danni fisici è indicato dal fatto che fra 4.441 femmine delle quali conosciamo i dati, ci risulta un solo caso chiaro di lesioni inflitte ad una bimba, e pochissimi esempi di emorragie vaginali che, d’altronde, non determinarono alcun inconveniente apprezzabile” (pp. 159-160).
Questi sono i rapporti Kinsey, che tanto piacciono ai militanti omosessualisti. Nessuna interpretazione, tutto nero su bianco, pubblicato ed accessibile a chiunque.
Ora sarebbe il caso di saperne di più di Kinsey, e di questa ricerca.
Kinsey non era uno psicologo, nemmeno uno psichiatra: era un entomologo. Un “insettologo”, insomma. Perché la Fondazione Rockefeller volle finanziare queste ricerche, la pubblicazione dei Rapporti ed aiutare Kinsey a fondare l’Indiana Institute for Sex Research non ci è dato sapere. Sappiamo però dai suoi collaboratori che Kinsey aveva un progetto, un «grande progetto»: fornire le basi scientifiche per una nuova moralità sessuale ed educare il mondo in base a questi nuovi principi.
Come nacque questo «grande progetto»? Perché desiderava ardentemente giustificare e diffondere l’omosessualità, la pedofilia, la bestialità (pp. 655 – 668, Il comportamento sessuale dell’uomo)? Non lo sappiamo. Sappiamo che Alfred Charles fu, da bambino, affetto da rachitismo, febbri reumatiche e tifoidi che lo condussero più volte in fin di vita. Impossibilitato per motivi di salute a frequentare i coetanei, sviluppò, nel corso di lunghe passeggiate, la passione per l’osservazione degli animali. Da adulto praticò il nudismo, lo scambismo, la pornografia, la sodomia, il masochismo, la masturbazione compulsiva.
Nel 1954 si impiccò, letteralmente, per i genitali. Da quel momento, e probabilmente a causa di quel gesto, la sua salute sempre cagionevole precipitò; subì diversi ricoveri «misteriosi», la sua dipendenza da barbiturici ed anfetamine divenne ingestibile. Kinsey morì il 25 agosto del 1956, probabilmente per un attacco cardiaco, anche se le circostanze della sua morte non sono mai state rese note.
Questo fu Alfred Charles Kinsey, icona del movimento gay e di quello pedofilo, pioniere della rivoluzione sessuale.
L’istituto da lui fondato, ora chiamato Kinsey Institute, for research in Sex, Gender, and Reproduction, prosegue la sua opera.
A proposito: cercano volontari per alcuni esperimenti; se qualcuno fosse interessato…
http://eliseodeldeserto.blogspot.it/2013/08/lettera-al-presidente-del-consiglio.html
I Giuristi per la vita hanno denunciato, dal principio, che il disegno che sta dietro alla legge sull’omofobia è quello di impedire ogni dibattito sul matrimonio gay e sulla relativa adozione di figli. Infatti, chi volesse sostenere che i gay non hanno diritto né di adottare, né di produrre dei figli, tramite PMA e, se maschi, uteri in affitto, verrebbe punito dalla legge Scalfarotto- Leone e additato come persona che discrimina.
Una piccola prova di ciò sta nell’impegno dell’onorevole Scalfarotto non solo nella lotta alla cosiddetta “omofobia”, ma anche nel suo tentativo di proporre come buono e giusto il modello “famigliare” in cui manchino il padre o la madre. A tal fine si segnala la sua postfazione al libro di Chiara Lalli, “Buoni genitori – Storie di mamme e papà gay” (Il Saggiatore), che reca sul retro la scritta: “Ogni famiglia è famiglia a modo suo”.
In questo libro, Chiara Lalli, per altri versi famosa apologeta dell’aborto libero e gratuito, non fa altro che negare decisamente che un padre e una madre siano il meglio augurabile per ogni bambino. Così viene riassunta dall’editore la tesi del suo saggio: “Il riconoscimento delle famiglie omosessuali non toglie valori alla società, semmai ne aggiunge. È un allargamento di diritti per alcuni cittadini, non una riduzione per la collettività. Obiezioni e resistenze si sgretolano sotto la mole di ricerche scientifiche che dimostrano come i bambini cresciuti in famiglie omosessuali siano mentalmente sani e socialmente integrati quanto quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. Questa è la realtà che emerge dalle pagine di “Buoni genitori”. Chiara Lalli disinnesca automatismi e generalizzazioni scontate lasciando la parola ai protagonisti. Gioie, problemi, difficoltà nell’immaginare un futuro: come in tutte le famiglie, ma con la frustrazione per i diritti negati”.
Il fatto che Scalfarotto non solo abbia scritto la postfazione a questo libro, pieno di falsità e nemico acerrimo del buon senso, ma lo abbia presentato anche pubblicamente, insieme a Pippo Civati, la dice lunga sul disegno a lungo termine del deputato del Pd (con buona pace dei cosiddetti cattolici del suo partito, tutti silenziosi ed allineati”).
Il punctum dolens del disegno di legge contro l’omofobia, al di là di tutto, non sta in ciò che afferma o affermava prima dei passaggi in Commissione ma in quello che furbescamente taceva e continua a tacere: prevede cioè fino ad un anno e sei mesi per chi «propaganda idee» o «istiga a commettere o commette atti di discriminazione» fondati «sull’omofobia o transfobia», ma non scende minimamente nel concreto chiarendo cosa sarebbe da intendersi per «omofobia o transfobia». Il testo e la relazione introduttiva – che alludono nella massima vaghezza statistica e semantica a non meglio precisati «episodi di omofobia e transfobia» -, infatti divagano o danno per scontato. Questo, converrete, spalanca le porte alla più totale discrezionalità.
E non si vede ragione alcuna per la quale – se la legge passasse – chi consigliasse la lettura di Platone, che relega l’«omosessualità maschile e femminile», al pari degli «amori precoci di fanciulli e fanciulle», fra le «perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società» (Leggi, 836 B), o di Aristotele, a detta del quale la concreta manifestazione dell’«amore tra maschi» rappresenterebbe uno dei «comportamenti bestiali» (Etica Nicomachea, 1148b 24-30), non dovrebbe essere perseguibile alla stregua di chi «propaganda idee» fondate «sull’omofobia». Se dunque volete toglierci i ben più innocui Catechismo e Paolo di Tarso, cari alfieri della libertà sessuale ma non di parola, prendetevi anche Platone e Aristotele: oppure lasciateci tutto e tenetevi la vostra cristianofobia.
Serve una legge contro l’omofobia. Punto. Lo si ripete ormai meccanicamente dentro e fuori le Istituzioni, nel corso dei dibattiti televisivi, nelle interviste: ovunque. L’uomo della strada ha però il diritto di sapere come mai sarebbe necessaria una normativa contro le discriminazioni sessuali: queste risultano in aumento? E di quanto? C’è forse, in Italia, un allarme omofobia, un dilagare di aggressioni e pestaggi ai danni di cittadini non eterosessuali? A queste banali domande – fateci caso – non si risponde mai, dando per scontato che la lotta all’omofobia, concetto inventato dallo psicologo americano Weinberg [1] e sul quale ci sarebbe molto da dire, costituisca una irrinunciabile priorità.
La realtà però è che non esistono, per l’Italia, dati che attestino alcuna allarmante diffusione di discriminazioni “omofobe”. Se per esempio prendiamo l’ultimo rapporto Ilga – acronimo che sta per International Lesbian and Gay Association – leggiamo che in Italia il 73% delle persone omosessuali e transgender sarebbe stata vittima di discriminazione [2]; dato impressionante ma scarsamente attendibile poiché privo di credenziali di scientificità derivando da un altro rapporto, denominato “NISO project”[3], redatto sulla base di questionari (che era possibile compilare più volte [4] e mai sottoposti ad alcun controllo o criterio di verificabilità) consegnati e raccolti, per esempio, ad eventi quali il Roma Gay Village [5] e non già sulla base di un campionamento rappresentativo.
Stesso discorso in Spagna, dove molti esperti ed associazioni civili hanno denunciato – con riferimento ai rapporti sulle discriminazioni ai danni degli omosessuali – totale mancanza di rigore nella metodologia e nell’analisi dei dati dell’indagine, oltre alla consistenza statistica [6]. Fonti ben più attendibili come per esempio ricerche condotte negli Stati Uniti una ventina di anni or sono – ovvero quando, in teoria, l’”omofobia” avrebbe dovuto costituire un fenomeno epidemico – attraverso lo studio sulla popolazione omosessuale ci indicano che allora non erano più di un quarto i gay e lesbiche che si dichiaravano vittime di discriminazioni [7]. Quindi tre quarti degli omosessuali già anni fa, in America, dichiarava di non aver subito discriminazioni; e ragionevolmente la situazione oggi è senz’altro migliorata.
Quanto alla situazione dell’Italia – posto che storicamente è nei Paesi protestanti più che in quelli cattolici che si sono verificate discriminazioni o persecuzioni ai danni degli omosessuali [8] – possiamo dire, affidandoci ai dati ufficiali Istat, che quasi sette italiani su dieci – la stragrande maggioranza -, assumendo una presa di posizione molto libertaria dichiarano di essere «molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione secondo la quale “si può amare una persona dell’altro sesso oppure una dello stesso sesso: l’importante è amare”» [9], dunque è altamente improbabile che vi sia chissà quale odio diffuso verso le persone gay; a meno che non si affermi, possibilmente dimostrandolo, che larga parte del campione Istat ha mentito.
In ogni caso, che non vi sia traccia di odio verso gli omosessuali – oltre che dallo scarsissimo numero di segnalazioni di casi di “omofobia” meno di 150 in tutto il 2012 [10] (segnalazioni sulle quali, fra l’altro, manca ogni accertamento) – è suggerito da un recente sondaggio Swg finalizzato a rilevare le categorie sociali più odiate ed effettuato lo scorso 14-15 maggio su un campione di 1500 persone: sono comunque emersi dati preoccupanti – il 12% degli interpellati, per esempio, considera «nemici» gli immigrati e c’è persino, strano ma vero, un 1% (numero minimo ma comunque grave) che considera «nemici» i meridionali e un 1% che considera «nemici» i settentrionali– ma non c’è traccia di alcuna forma di odio verso degli omosessuali. Nessuno, su 1500 persone, ha dato questa risposta [11]: tutti bugiardi?
Ulteriori indizi contro l’ipotesi dell’Italia “omofoba” ci giungono infine da un recentissimo lavoro comparativo a livello internazionale a cura del Pew Research Center dal quale è emerso che siamo addirittura l’ottavo Paese al mondo quanto ad accettazione sociale dell’omosessualità. Non solo: se osserviamo l’andamento di siffatta tolleranza per gli ultimi cinque anni scopriamo come, mentre in Germania ed in Spagna – Paesi nei quali, in aggiunta alle legali unioni civili e nozze gay, la lotta all’omofobia risulta presente rispettivamente nella Costituzione e nel Codice penale [12] – fra il 2007 ed il 2013 l’apertura verso l’omosessualità è aumentata dal 6%, da noi il fenomeno sia stato ancora maggiore: più 9% [13].
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma dov’è la fantomatica omofobia? Lo chiediamo senza voler negare che dei cittadini omosessuali possano purtroppo aver subito delle discriminazioni – episodi da condannare senza titubanza e ai quali, fra l’altro, la stampa offre «grande risalto» [14] -, ma nella consapevolezza, suffragata da quanto abbiamo sopra ricordato, che probabilmente una legge contro l’omofobia, anche sorvolando sulle non trascurabili implicazioni che avrebbe sulla libertà d’opinione, sarebbe inutile per il semplice fatto che l’Italia non sconta alcuna intolleranza diffusa ai danni dei cittadini non eterosessuali, liberi come gli altri di amarsi e come altri tutelati dal Codice penale nella misura in cui fossero vittime di aggressioni, oltraggi o offese [15].
Fra l’altro quello della discriminazione, a ben vedere, è un versante meno definito e rettilineo di come spesso viene rappresentato – non mancano neppure, per esempio, casi nei quali le persone omosessuali, raccontando le loro esperienze di vita, segnalano di aver trovato più apertura nelle coppie eterosessuali che in certe coppie gay [16] -, ragion per cui c’è da ritenere che, a lato pratico, una legge contro l’omofobia servirebbe realmente a poco, salvo che a incidere nella cultura, ossia nel modo di vivere di un popolo [17], in questo caso quello italiano. Ma questo nulla ha a che vedere coi diritti delle persone omosessuali e parecchio, semmai, con chi si sente in dovere di forgiare una mentalità; di stabilire, non già eseguendo ma sostituendosi alla volontà popolare della maggioranza dei cittadini, cosa sia meglio per loro. Se non è l’anticamera di un totalitarismo, poco ci manca.
Note: [1] Cfr. Weinberg G.H. (1972) Society and the Healthy Homosexual, St. Martin’s Press; [2] Cfr. ILGA-Europe Annual Review 2013: Italy, p. 129; [3] Cfr. AAVV. NISO project. Fighting homophobia through active citizenship and media education. National report on homophobic attitudes and stereotypes among young people Italy; 1-58; [4] Cfr. Arcuri G. Europa: 370.000 euro pubblici versati alla lobby gay per un sondaggio dall’esito stabilito a tavolino (e costato quasi nulla: dove finiscono allora i soldi).«La Bussola Quotidiana», 18/04/2012; [5] Cfr. AAVV. NISO project, p. 9; [6] Cfr. La Agencia Europea de Derechos Fundamentales financia con 370.000 eurosun estudio a la medida del lobby gay, «Hazteoir.org», 29/4/2013; [7] Cfr. AA.VV. National Gay Task Force (1993), Employment Discrimination in New York City: A Survey of Gay Men and Women in William B. Rubenstein (ed.), Lesbians, Gay Men, and the Law (New York: The New Press). First printed as an unpublished handout/flyer (1980); AA.VV. OUT/LOOK (1993), Queery, Work, and Career: The Results in William B.Rubenstein(ed.), Lesbians, Gay Men, and the Law (New York: The New Press). First published in OUT/LOOK (Fall 1988), p. 94; AA.VV. Seattle Commission for Lesbians and Gays (1991), A Survey of the Seattle Area Lesbian and Gay Community: Identity and Issues (Seattle, WA: Seattle Commission for Lesbians and Gays); [8] Cfr. L’omosessualità in Italia. «Istoreto.it»; [9] AA.VV. La popolazione omosessuale nella società italiana. «Istat» (2012); 1-19:7; [10] AA.VV. Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni (2013 -2015); [11] Cfr. AA.VV. Scenari di un’Italia che cambia, «Swg», giugno 2013; 1-9: 6; [12] Cfr. queerblog.it/post/97917/i-paesi-europei-che-hanno-leggi-contro-le-discriminazioni-omofobe; [13] Cfr. AA.VV. (2013) The Global Divide on Homosexuality. Greater Acceptance in More Secular and Affluent Countries. «Pew Research Center»; 1-25; [14] AA.VV. Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni…p. 12; [15] Infatti – oltre alla L. 25/6/1993 n. 20 contro i crimini d’odio – già vige il reato di ingiuria per chi lede l’onore di una persona (art. 594), la diffamazione (art. 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) nonché l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61); [16] Cfr. Cavina C. – Danna D. Crescere in famiglie omogenitoriali, FrancoAngeli, Milano 2009, p. 112; [17] Cfr. Herskovits M.T. Man and his works. The science of cultural anthropology, A.A. Knopf, New York 1948, p. 29.
Grazie mille Ivan per il tuo importantissimo lavoro per avanzare lentamente i diritti civili in Italia.
Fra qualche anno le resistenze di chi sta ora opponendo resistenza saranno viste come arretratezze culturali ed insensate fobie di un lontano passato.
[…] alcuni paradossi che andavano realizzandosi nel progetto finale di questa legge. Paradossi che, onestamente, lo stesso Scalfarotto ha riconosciuto esistere e di cui si è lamentato, ma nel senso di dire: Questo è il rospo più grande che ho dovuto inghiottire per ottenere […]
@Adriano: sei cortesemente pregato di tenere per te i tuoi toni professorali ed in senso connotativamente negativo preteschi, poiche’ con tale ridicola metolodogia stai sottraendo elementi preziosi di razoinalit’ alla discussione.
Del resto chi posta un migliaio di parole come se fossero pallottole dum dum [ piu’ che certo che non sara’ mai letto.
Te lo dico io dove e’ la fantastica omofobia, adrianuccio: e’ nell’essere spostati di mansioni e ridotti perche’ sei dichiaratamente omosessuale: e’ nell’essere costantemente addittati sul posto di lavoro, posto che riesci a troartelo, e’ nel ricevere / se si appartiene ancora a quel gruppo che un tempo vedeva l’omosessualita’ come evidente e quindi etologicamente da separare e separarsi dal resto del sociale\ trattamenti diversi da quelli degli altri. E’ nella mancata accettazione di amici e parenti. Tutto questo esiste ancora, e il terreno non e’ quello dei lividi /troppo semplice/ ma quello delle turture psicologiche e del mobbing di secondo livello che tante categorie e generi colpiscono.
Saluti.