16 Novembre 2013

Un ascensore per l’Italia

Appunti

Il mio post per “Il Post”.

Mi ha molto colpito la lettera che il professor Salvatore Settis, già direttore della Normale di Pisa, ha scritto al Cardinale Arcivescovo di Milano dalla prima pagina di Repubblica di giovedì. Un vero e proprio anatema, con minaccia di scomunica finale, rivolto al capo della chiesa ambrosiana affinché stoppi la costruzione di un ascensore che dovrebbe consentire ai turisti arrivati a Milano per l’Expo di godere del panorama dal tetto del Duomo. La struttura incriminata, in acciaio e cristallo, non si aggancerebbe né si appoggerebbe all’edificio sacro e potrebbe essere smontata alla fine dell’Expo. Dov’è il problema, allora? Secondo Settis si tratterebbe niente meno che di un’ipotesi “impraticabile, anzi barbarica, di fare del Duomo il mero supporto di attività commerciali, nel segno di una resa di ogni altro valore (perfino della fede cristiana) al Dio Mercato”. Prosegue il professore: “Dobbiamo forse immaginare che ogni campanile, ogni cattedrale, ogni palazzo pubblico debba essere svilito aggiungendovi ascensori e terrazze-bar e noleggiando i monumenti a ditte private che non vi vedono altro se non un’occasione di profitto?”

La mia risposta a questa domanda è: “E perché no?”.

(Continua a leggere qui).

5 risposte a “Un ascensore per l’Italia”

  1. Enrico ha detto:

    Il tema di come conservare e valorizzare l’immenso patrimonio artistico-paesaggistico italiano è complesso, ed eviterei di metterlo in burletta come fa Scalfarotto, per di più considerando il fatto che si sta rivolgendo ad una delle massime autorità mondiali in materia.
    Certamente ci sono incrostazioni e rigidità mentali da superare, ma attenzione a non scivolare all’estremo opposto.
    Altrimenti si rischia di fare come un certo sindaco di una certa città che, nel delirio della propria onnipotenza, credendosi Dan Brown, sforacchia allegramente un affresco di un genio del Cinquecento per trovare sotto di esso, forse, qualche traccia di un altro affresco che, probabilmente, è ridotto talmente male da non esistere più. Il tutto a maggior gloria sua (sua del sindaco, ovviamente, non certo degli artisti).
    A proposito: chissà se lo conosce, Scalfarotto, questo sindaco…

  2. piernicioso ha detto:

    Peccato, Scalfarotto, che lei si dimentichi di citare le argomentazioni più forti dell’articolo di Settis sull’installazione dell’ascensore:
    “La prima ragione è la legalità: le norme di tutela della Repubblica vietano di imporre a un monumento storico queste e simili sconvenienti escrescenze. Lo confermano le forti perplessità espresse dalla Direzione Regionale ai Beni Culturali nonché i pareri negativi della Soprintendenza ai Beni Architettonici (che ha rilevato l’ incompatibilità delle progettate strutture con la sicurezza dei visitatori, per la limitatezza delle vie di fuga) e della Soprintendenza Archeologica, che ha fatto notare che il previsto scavo nel sottosuolo (per circa 30 metri), oltre a creare problemi statici, inciderebbe in una preziosa zona archeologica.”
    Poi, invitare Salvatore Settis a visitare la Tate Modern o il British Museum è una mossa che mi aspetterei da Antonio Razzi, non da un deputato minimamente consapevole del mondo che lo circonda.

  3. Gianfilippo ha detto:

    Scalfarotto, non è corretto portare gli esempi del Tate, del British o del Louvre. Non sono chiese. O ha scarsa capacità analitica o è in malafede. Per chiarire la mia posizione ci tengo a precisare che sono ateo.

  4. roberto pinto ha detto:

    Caro Ivan
    come prima cosa volevo farti i complimenti per la passione con cui vivi il tuo impegno politico. Ho potuto anche constatarlo dal vivo ieri in un circolo del PD milanese. Sono assolutamente d’accordo con te, la metafora dell’ascensore è perfetta. Vorrei però sollevare un problema che tocca, forse solo lateralmente la tua riflessione e che, sicuramente, non ti è estranea, data la tua profonda conoscenza di cosa succede fuori dall’Italia. Il problema è che all’estero non sono i politici (o almeno non solo loro) a decidere come deve essere gestito un museo, o quali le priorità per un’istituzione culturale (e a maggior ragione religiosa). Credo che uno dei problemi in Italia è che non si sia mai voluto dare autonomia, quindi credibilità, ai musei e alle altre istituzioni culturali. Per costruire un luogo importante per cittadini e turisti (come avviene per la Tate a Londra) bisogna dare fondi e autonomia alle istituzioni, riservandosi il dovere/diritto di controllare la qualità. In Italia, invece, queste istituzioni continuano ad essere un territorio di scambio e appartenenza politica dove il merito è solo un fastidioso intralcio. Non bisogna aver paura di cambiare (insegno arte contemporanea non potrei essere più d’accordo con te), ma bisogna anche avere rispetto per ciò che abbiamo. Settis può anche essere eccessivamente conservatore nelle sue posizioni, ma è insieme a gente competente e che ha a cuore il nostro patrimonio che dobbiamo ripartire. I tecnici non servono solo in economia ma anche nella cultura.

  5. Jekke ha detto:

    Gentile Scalfarotto,
    Prima di dare aria alla bocca con paragoni tanto assurdi quanto triti, la prego, si informi.
    Il British Museum e la Tate Modern NON sono delle cattedrali, e almeno per quel che riguarda il primo, la struttura è ben più recente, già pensata come un museo e vista la sua natura, adattabile a vari utilizzi. Non parliamo poi della Tate: era una centrale elettrica. Per continuare con l’esempio che porta, non ricordo invece terrazze o ascensori panoramici che arrivino in vetta a strutture come Westminster o St. Paul: gli inglesi non se lo sognano proprio, perché oltre a uno spiccato senso della promozione ne hanno anche uno molto profondo di rispetto verso i loro monumenti. E non voglio nemmeno commentare la stucchevole questione dei depositi italiani “pieni di tesori”. Noi non siamo il Regno Unito, la natura e la specificità del nostro patrimonio artistico sono ben differenti da quelli dell’Inghilterra.
    Il duomo di Milano prima di essere un’attrazione turistica è un luogo di fede, un simbolo religioso oltre che artistico. E le parlo da ateo, pensi un po’. Se lei è disposto a sacrificare l’identità e l’integrità del nostro paese per la soddisfazione di qualche turista, non dovrebbe nemmeno alterarsi per lo scandalo delle minorenni che si prostituiscono per soddisfare porci facoltosi. Come vede, ci sono principi NON negoziabili.
    E questo non significa per forza paralisi: si rilegga gli interventi illuminati del ministro Bray di qualche tempo fa sull’Huffington Post. I nostri poli turistici sono già troppo intasati, andiamo avanti così e in 20 anni potremmo scordarci di Firenze, Roma e Venezia come le abbiamo conosciute. C’è bisogno di promuovere un tipo di turismo che conduca i visitatori fuori dai musei, per i borghi e le tante bellezze della nostra bistrattata provincia, per ammirare il paesaggio sempre mutevole e i piccoli tesori che ogni paese conserva. Per farlo c’è bisogno di una struttura di tutela che funzioni, con delle sovrintendenze che con adeguati finanziamenti riescano a proteggere e a promuovere il patrimonio culturale loro affidato, una legislazione più chiara che snellisca la burocrazia e promuova la collaborazione con i privati senza elemosinarne l’aiuto, e infine l’educazione al rispetto e all’amore verso un patrimonio che è offensivo definire petrolio. Il petrolio si vende a barili, ed è destinato a finire, io mi rifiuto di cedere pezzo a pezzo la mia storia, la mia identità di italiano al miglior offerente.
    Cordialmente,

    Uno studente di storia dell’arte, che ancora ci crede.