La vittoria alle primarie di Matteo Renzi e il suo insediamento alla segreteria del partito sono stati per me non soltanto un evento politico di grandissima rilevanza, ma in qualche modo una tappa della mia stessa vita. Ho cominciato a far politica nel 2005, rappresentando un gruppo di italiani a Londra, increduli che il nostro paese si preparasse nel 2006 a votare per gli stessi candidati premier del 1996. A vederla da lì, il fatto che dopo dieci anni ci ritrovassimo davanti alla stessa fotografia, sembrava una specie di sovrapposizione dei piani della realtà.
Luca Sofri ha generosamente descritto la mia esperienza alle primarie del 2005 come uno dei punti di partenza della marcia che ha portato Renzi alla segreteria e al massiccio ricambio generazionale che il PD sta vivendo in questi giorni. Non so se sia vero per la storia, ma certamente lo è per la mia biografia. Ho vissuto la vittoria di Matteo con un’emozione da “missione compiuta”, come se il lavoro cominciato allora e proseguito poi con la riunione di Piombino e quella del Lingotto fosse finalmente arrivato al suo coronamento.
Mi dispiace molto che Pippo Civati non sia stato in squadra con noi. Lo ritengo parte integrante di questo cammino e lui sa che non ho mai concordato con la sua indisponibilità a fare squadra con un gruppo di persone il cui percorso è stato del tutto intrecciato al suo: penso non solo a Renzi, ma anche a Debora Serracchiani, per fare un esempio tra i più fulgidi. Io credo che sarebbe stato assai più giusto essere insieme, e che l’ottanta per cento e passa dei voti che Matteo e Pippo hanno preso separatamente sarebbe stato più utile e significativo se fosse stato acquisito insieme, anche a costo di perdere qualche decimale. Le differenze che si sono manifestate in questi anni sulla linea politica si sono radicalizzate col tempo, ma in partenza le cose che dicevamo erano più compatibili e omogenee di quanto non si possa pensare oggi. Per fortuna queste divisioni non hanno compromesso il risultato finale, ma lo hanno reso più difficile e rischioso quando di ulteriori difficoltà e ostacoli – soprattutto se creati con le nostre stesse mani – non si sentiva per nulla il bisogno.
Renzi domenica a Milano, durante il discorso dell’investitura, si è dimostrato per quello che è: un leader di questo tempo, di questa parte del mondo, e di questa parte politica. La terza era facile, ma le prime due qualità sembravano essere impossibili da reperire sul mercato. E invece ci siamo. Consapevoli soprattutto della responsabilità che l’uragano dell’otto dicembre ha provocato: la richiesta stentorea da parte dell’elettorato di un cambiamento destinato a sconvolgere il partito come lo abbiamo conosciuto e, più in generale, la politica. Chissà se tutti sono consapevoli fino in fondo di cosa abbiano significato queste primarie. Quando lunedì 9 sono tornato a Foggia per l’assemblea provinciale del partito, ho trovato una parte del gruppo dirigente al lavoro per bloccare la nomina della direzione a distanza di un mese dalla conclusione del congresso. Una scena da orchestrina del Titanic.
In ogni caso, che piaccia o no, siamo in un nuovo mondo. Molti hanno detto che questa è l’ultima chiamata per la politica, e io penso che sia vero. E’ un’enorme responsabilità e tutti noi che abbiamo lavorato a questo risultato ne siamo perfettamente consapevoli. Ma domenica a Milano, sentire parlare Matteo non solo dell’Italia di domani, ma di quella in cui vogliamo vivere tra quindici anni mi ha riconfermato che la strada giusta è quella.
11 risposte a “La strada giusta”
Se Debora Serracchiani è “un esempio tra i più fulgidi”, siamo a cavallo!
Una che, da perfetta sconosciuta qual’era, è diventata famosa sparando a zero contro Franceschini, e un secondo dopo è entrata nella sua corrente, grazie alla quale sono anni che incamera poltrone, da quella di parlamentare europeo, mandato che peraltro non ha nemmeno concluso, a quella di Presidente del Friuli, per finire con la nomina in segreteria.
Pippo Civati è di sinistra, oltre ad essere giovane, quindi sul neo carrozzone democristiano-liberista non ci è salito, e ha fatto benissimo.
Auguri per l’approvazione dei matrimoni gay. E auguri per le nuove elezioni: sempre che Napolitano ve le conceda, e non si cucini il “nuovo Blair” a bagnomaria…
Caro Ivan, condivido pienamente quello che hai detto, anche per il fatto che il tuo impegno, nel 2005, è stata la molla che mi ha fatto impegnare un po’ di più in politica.
Concordo tristemente con Enrico. Più che un novo mondo mi sembra solo un ritorno alla DC, e vedo le speranze di riforme di sinistra e conquiste civili allontanarsi ancora di più.
In effetti ci aspettavamo l’endorsement di Renzi a Civati fino all’ultimo momento, ma poi si è voluto proprio candidare. Peccato, potevamo rinnovarla davvero la classe dirigente del Pd.
Ivan, come fai ad affermare che dell’iniziativa di Civati “non si sentiva per nulla il bisogno” e che addirittura avrebbe dovuto far parte di una squadra che, quando ha deciso di candidarsi a segretario (marzo 2013) non era nemmeno nei sogni di Renzi, che dichiarava esplicitamente che della segreteria non ne voleva sapere nulla?
Mi sa che la tua considerazione, da un punto di vista ontologico, dovrebbe essere radicalmente rovesciata: perché non avete aiutato Civati fin dal principio, visto che l’obiettivo di Renzi è sempre stata la premiership?
Il fatto che qualcuno scriva “non se ne sentiva il bisogno” è proprio il motivo per cui c’era un bisogno smodato di quella proposta. Smodato.
Questo passaggio è davvero brutto, caro Ivan Scalfarotto. E mi spiace perché viene da una persona che ho sempre considerato positivamente per la sua lucidità e per il suo profilo intellettuale. Le differenze politiche tra Renzi e Civati erano chiare come la luce del sole, nonché molto importanti, se non altro per la concezione diametralmente opposta di partito e di leadership che portano avanti. E quando le visioni sono differenti, il falso unanimismo è il peggior cancro augurabile ad un partito. E non sto parlando di divisioni politiche (che pure ci sono, e importanti) ma proprio di visioni di partito distinte, che in un Congresso dovrebbero essere il fulcro della discussione, molto più del programma politico.
Al netto di questo, da quando un partito che si auto-definisce “democratico” non sente bisogno di diversità e confronto? Siamo sicuri che a Renzi adesso non faccia comodo un Civati che gli faccia notare le contraddizioni in modo costruttivo, leale e alla luce del sole (come ha sempre fatto)? La bravura di Renzi starà nell’ascoltare (non dico accogliere) quelle obiezioni, invece di ignorarle e fare la fine di un Bersani o un Veltroni qualunque.
Ciao Ivan,
tovo questa tua riflessione un pò “leggerina”, le differenze programmatiche tra Renzi e Civati sono ben più profonde di quanto esponi, partono da un idea di partito diversa e da uno scenario politico quasi antitetico. Noi che abbiamo sostenuto Civati siamo di sicuro una minoranza , come dimostra l’esito delle primarie, ma abbiamo una forte identità programmatica, per semplificare siamo quelli che nel partito stiamo sul confine con l’area alla nostra sinistra. Abbiamo in comune una idea di “come” si fa politica no sempre siamo d’accordo su “cosa” fare.
La tua ricostruzione perde di vista che una delle uniche regole esatte della politica è che sommando ex ante gli elettorati. la politica non è matematica. Per cui di sicuro sia Renzi che Civati vogliono un partito che si liberi dalle cordate di scalatori, ma molto dipende da come riusciremo a gestire i rapporti con i rappresentanti della vecchia guardia che si sono imbarcati durante la battaglia congressuale, in Italia e anche a Foggia.
Il partito nuovo a Foggia non è ancora nato, c’è qualche embrione un pò in tutte le mozioni, ma continuare a dividere in maniera proporzionale gli incarichi di rappresentanza serve solo a cambiare i nomi alle correnti. E’ un sistema autoreferenziale, i capicorrente si sentiranno sempre riconosciuti come negoziatori e riconosceranno cme interlocutori solo i loro simili.
I direttivi non si nominano nelle stanze e nei corridoi, si eleggono in assemblea.
E’ il metodo che è sbagliato.
Potevamo cogliere lo spunto per un modo nuovo di fare partito, in tutti gli organismi, cittadini e provinciali, non si dia più mandato alle correnti di negoziare nomi e numeri.
Si vada in assemblea, chi vuole si candidi e si voti a scrutinio segreto.
Le correnti vanno rottamate, non ringiovanite.
Siamo una coalizione di idee politiche e percorsi diversi, siamo un partito plurale e non saremmo mai omologabili in un pensiero unico, ma è infinitamente più facile trovare un compromesso tra due idee che tra due persone.
Per me il nuovo partito è nato il 9 dicembre e fin quando mi sentirò dentro (ma sul confine) mi batterò perche chiunque aspiri ad un ruolo di rappresentante o pensi di esserlo già non abbia mai paura di sottoporsi al voto di un assemblea. Auguri per il nuovo incarico e buon lavoro.
@Enrico: a me sembra che la Serracchiani non è entrata nella corrente di Franceschini ma che Franceschini ha cercato di approfittare della grande popolarità della Serracchiani e di cercare di placare lo socntento della base più giovane del partito, scontento che la Serracchiani rappresentò perfettamente nel suo intervento.
Le due elezioni della Serracchiani a cui fai riferimento se le è guadagnate con le sue forze: alle Europee fu la più votata visto che esiste la preferenza e a presidente del Friuli, non proprio una regione “rossa”, si è conquistata la vittoria. Non mi pare le sia stato regalato nulla dal partito, più che altro è lei che al partito ha donato le sue forze e la sua freschezza.
Mi sembra molto ingeneroso attribuire al solo Civati l’ “indisponibilità a fare squadra” e mi sembra sbrigativo dire che “in partenza le cose che dicevamo erano più compatibili e omogenee di quanto non si possa pensare oggi”.
In realtà, le differenze di linea politica tra Renzi e Civati erano già molto evidenti alla prima Leopolda; la scommessa era un lavoro comune per ridurle, ma qualcuno ha preferito una “fuga solitaria” in avanti.
Oggi, credo che la mozione Civati sia stata preziosissima ed abbia arricchito il Pd in modo significativo, malgrado l’estrema povertà del dibattito congressuale (tutto incentrato su “chi sta con chi”); e, da qui in avanti, una voce “fuori dal coro” non potrà che giovare al Pd che, dato il risultato quasi plebiscitario di Renzi, rischierebbe altrimenti di trasformarsi in un nuovo partito “personale”.
Conosciamo tutti la generosità di Pippo, che ha sempre messo a disposizione del partito le proprie idee, senza chiedere nulla un cambio. Insomma, non vedo proprio alcuna ragione per dispiacersi della scelta di Civati di non ritirarsi dalla corsa del Congresso davanti alla candidatura di Renzi; anzi il suo risultato, per certi versi eccezionale (in molte regioni ha superato Cuperlo, senza alcun apparato, senza fondi e senza alcun appoggio mediatico), dimostra che è molto più utile al Pd in un ruolo di co-protagonista che in quello dell’ennesimo “amico di Matteo”
Roberto
Per me una che diventa famosa sparando sul quartier generale e poi, qualche mese dopo, al Congresso, fa una lista civetta per appoggiare uno dei massimi dirigenti che aveva criticato, cioè Franceschini, non è il massimo della coerenza.
Ricordo che all’epoca più di uno avrebbe voluto che lei si candidasse in prima persona, traendo le conseguenze delle sue parole. Evidentemente, la scelta gli parve troppo coraggiosa.
Per me, resta una furbina, inspiegabilmente osannata dai media, che mai si è veramente esposta, se non previa assicurazione di avere due o tre paracadute.
Che poi abbia vinto “nonostante il PD”, come disse, più che una realtà è l’ennesima dimostrazione della sua arroganza.
Imbarcare una provocatrice che rema scientemente contro come Marina Terragni, non iscritta al Pd, anzi, ostile, e inseririla nella direzione nazionale non è stata una mossa intelligente…