Nella complessità, è buona cosa rivolgersi alla saggezza di Gabriella Stanchina che dalla Cina maneggia un prezioso cesello con cui modella le sue parole.
“Volevo condividere alcune riflessioni sugli eventi di questi giorni, sull’accelerazione data al processo di riforma elettorale e costituzionale nel nostro paese, e spiegare perché quella notte dell’otto dicembre dal mio studentato a Shanghai ho votato online per Matteo Renzi sperando che il mio piccolo voto contribuisse a dargli l’autorità e la legittimità per agire come sta agendo in queste ore, e perché non me ne sono pentita. Ma non voglio dare motivazioni politiche, di cui nel dibattito di questi giorni, pro e contro, non ci sarà certamente carenza. No, volevo solo cercare di mettere a fuoco una sensazione che mi ha accompagnato in questi ultimi anni, provare a darle un contorno e una voce.
Non so se tutti condivideranno, ma io credo che per me e per molti della mia generazione la caduta del Muro di Berlino sia stata l’evento cruciale, quello che ci ha fatto percepire il vento inarrestabile della storia, il sentimento che il tempo, che ci era stato sottratto e congelato per tutta la guerra fredda, avesse ripreso a scorrere come il sangue in un cuore rianimato, e che cambiare fosse realmente possibile. Ma poi progressivamente quella percezione vitale si è spenta. Perché l’Italia è rimasta lì, sospesa in un’immobilità irreale e paralizzante, in cerchi concentrici sempre più chiusi, sempre più inerti e opprimenti. Voglio spiegarmi con un’esperienza personale.
Sono stata a Berlino all’inizio degli anni ’90 e ho preso un treno regionale per andare a visitare un museo in quella che fino a pochi anni prima era la DDR. Il treno si era lasciato alle spalle l’ultima stazione della ex Berlino Ovest e io osservavo la campagna dal finestrino. Pensavo che tra quei campi coltivati e i piccoli borghi, il muro doveva essere apparso davvero incongruo, con i galli dell’est e dell’ovest che il mattino annunciavano in perfetta sincronia il levarsi di un unico sole, e i cani latranti che si rispondevano, lanciando una rete di echi sopra il bordo del muro, nel cielo indiviso. Il muro era stato abbattuto tre anni prima, dando torto agli uomini, e ragione ai galli e ai cani. Come tutti, aveva visto in televisione le mani scavare nel cemento, frantumare, allungarsi, ricongiungersi. Come tutti, aveva serbato quegli istanti di trionfo conficcati nella memoria come un cippo nel crocicchio del tempo, ed ero andata oltre.
Per questo ero rimasta stupita nell’accorgermi che al di là della cicatrice sepolta della frontiera, il paesaggio non era più lo stesso. Le case contadine restaurate in fretta continuavano a trasudare un sentore di precarietà e abbandono. Ovunque, era come se l’aria avesse una densità diversa lì nell’ex DDR. Rallentava le cose. E c’era un’attesa muta, la calma certezza di una rovina imminente. Mi veniva da trattenere il respiro, quasi fossi in bilico. Tutto aveva il mistero delle cose interrotte, dei mondi morti in sogno che ignorano di essere morti. Più tardi, mentre tornavo verso la stazione camminando nella campagna silenziosa, avevo avvertito la fragilità della luce. Mi ero chiesta cosa sarebbe rimasto di quegli alberi, quelle case, quel paesaggio che durava ma non poteva più crescere, una sfera conclusa nel grappolo del tempo. E intorno l’estate che sembrava non dovesse mai avere fine.
Ecco, in questi anni, nel mio paese, mi sono sentita così, intrappolata in un luogo dove nulla poteva accadere se non una fine dai contorni imprevedibile. E quando, anche per questo, mi sono trasferita in Cina, è stato doloroso vedere che la storia altrove non si era mai fermata, le cose cambiavano precipitosamente, come trascinate da un fiume in piena e altrove c’era il futuro e tra le infinite contraddizioni, la fiducia incrollabile nel potere di trasformare e migliorare se stessi e il proprio paese.
Ecco perché dalla Cina ho dato fiducia a Matteo Renzi. Perché ho avuto la sensazione che non tutto fosse perduto, che quella bolla temporale si potesse incrinare. Mi sbaglierò, ma io in questi giorni ho la sensazione che, dopo tanti anni, il tempo abbia ripreso a scorrere. Che si possa smettere di trattenere il fiato sul bilico del tempo e ridare fiducia a tutto ciò che in questo paese è vivo. Come il primo colpo di piccone contro quel muro che sembrava invincibile”.