Ancora una volta i detenuti (non so come altro definirli: certo non “ospiti”, come spesso ipocritamente si fa) nei CIE devono arrivare a forme di protesta estreme, come quella di cucirsi la bocca. I centri di identificazione ed espulsione sono come delle galere, ma ci si finisce anche senza aver commesso alcun reato – una cosa insopportabile, per un paese giuridicamente civile. Ci si può restare fino a 18 mesi, ma non hanno nessuna organizzazione in piedi che consenta di gestire la permanenza di persone per tempi così lunghi. I CIE andrebbero superati e chiusi, come spiega molto bene Luigi Manconi in questo bel pezzo uscito sotto Natale su L’Unità:
“Se ci si liberasse dal pregiudizio secondo cui ogni straniero irregolare è un clandestino in fuga e che minaccia la nostra incolumità, si potrebbero adottare altri mezzi per l’accertamento della loro permanenza in Italia e per la loro eventuale espulsione. Non c’è nulla da inventare: basterebbe un obbligo di firma o un obbligo di dimora, vincoli e limiti ai movimenti (peraltro si tratta di misure già previste ma applicate solo in casi eccezionali) per verificare che l’irregolare soggetto a identificazione, o che ha contestato un provvedimento di espulsione, sia reperibile dalle forze di polizia. E così i Cie sarebbero ridotti a pochi locali, necessari a ospitare per qualche notte chi sia in attesa del rimpatrio ormai esecutivo. È l’unico modo affinché quelle bocche cucite riprendano a nutrirsi e le nostre voci afone possano riacquistare un po’ di credibilità.”